«il Corriere dell’Isola» (1947-1957), la testata democristiana sassarese rivale della «Nuova Sardegna», di Andrea Corda

 

Le riflessioni proposte di recente circa la mancata attuazione da parte della Chiesa sarda di un auspicio formulato dal Concilio Plenario regionale – vale a dire la realizzazione di un organo di stampa unitario del mondo ecclesiale isolano, sulla falsariga del modello esperito da «Il Quotidiano Sardo» nellʼimmediato secondo dopoguerra – conducono a un nuovo approfondimento tanto sullo stato del giornalismo regionale di quel periodo, quanto sulla disputa del mercato dei lettori da parte di quello speciale segmento giornalistico allora retaggio degli ambienti cattolici. Pressoché coeva a «Il Quotidiano Sardo» – organo dell’Azione Cattolica regionale, ma, di fatto, voce dell’episcopato del meridione isolano (diocesi di Cagliari, Iglesias, Ogliastra, Oristano ed Ales, e in parte anche Nuoro) – fu una testata che con il giornale cattolico condivideva, allʼincirca, la stessa durata di vita, lʼispirazione politica e la fattura tecnica. Si trattava del sassarese «il Corriere dell’Isola», le cui vicende si intersecano con quelle de «La Nuova Sardegna», nonché con lo sviluppo dell’azione legislativa e amministrativa delle prime giunte regionali di egemonia democristiana e, in particolar modo, con l’attuazione della riforma agraria. Dell’Etfas – l’ente pubblico istituito nel 1951 e chiamato a dar corso ai provvedimenti di legge circa gli espropri e l’assegnazione delle terre agli ex braccianti – «il Corriere dell’Isola» fu unʼespressione concreta.

In quale contesto prese avvio l’avventura del nuovo quotidiano sassarese? Nell’immediato secondo dopoguerra, nel panorama politico di un’Italia divisa in modo netto tra due schieramenti opposti, la Dc da una parte, la sinistra – Psiup (poi Psi) e Pci – dall’altra, la nascita de «il Corriere dellʼIsola» costituì, all’interno del campo giornalistico sardo, la prima novità di rilievo. La testata si affiancò al quotidiano preesistente nell’altro capoluogo, «L’Unione Sarda», pubblicato quasi senza soluzione di continuità dal 1889, eccezion fatta per un breve periodo di sospensione dal maggio al novembre 1943 a causa dei bombardamenti che si abbatterono su Cagliari.

Erano gli anni della guerra fredda, cioè della contrapposizione tra due blocchi (l’Occidente da una parte, l’Oriente dall’altra). La presenza della Chiesa sembrò dare ulteriore forza all’anticomunismo, unendo il conservatorismo politico alle più rigide chiusure sul terreno della cultura e del costume. Il clima della guerra fredda fu icasticamente rappresentato anche nel film italo-francesce Don Camillo (1952), diretto dal regista Julien Duvivier e liberamente ispirato ai personaggi raccontati dallo scrittore Giovanni Guareschi. Si trattava di un’epoca caratterizzata perfino dai dualismi in campo sportivo, in primis quello tra i due campioni italiani del ciclismo, Coppi e Bartali, emblematico della divisione politica del Paese, con Coppi che avrebbe rappresentato i movimenti di ispirazione laica, mentre Bartali sarebbe stato il depositario dei valori cattolici. In secondo luogo, si assisteva ai duelli motoristici tra Gilera e Guzzi, mentre nel calcio erano gli anni del “Grande Torino”, vincitore di cinque titoli tra il 1942 e il 1949.

«il Corriere dell’Isola» esordì a Sassari il 15 febbraio 1947 per iniziativa di Francesco Spanu Satta, già esponente dell’azionismo turritano e fondatore-direttore, nel 1944, del settimanale «Riscossa». Il 1946 aveva segnato, a Sassari, la chiusura (oltreché di «Riscossa») del quotidiano «L’Isola», lasciando evidentemente un vuoto nello spazio informativo del territorio. Per due mesi, «il Corriere dellʼIsola» detenne così il monopolio dell’informazione nella provincia sassarese, essendo l’unico a essere ivi stampato, dato che lo storico quotidiano della piazza, «La Nuova Sardegna», fondato nel 1891, a causa della linea politica antifascista manifestata negli anni ‘20, aveva dovuto cessare forzatamente le pubblicazioni addirittura dal gennaio 1926, dopo aver subito, peraltro, ben diciassette sequestri.

La cessazione delle pubblicazioni de «L’Isola», nato nel 1924 per iniziativa dei Gruppi universitari fascisti (Guf) sassaresi e passato nel 1944 al controllo delle forze cielleniste della provincia (con Arnaldo Satta Branca direttore), era stato il preludio alla ricomparsa proprio de «La Nuova Sardegna» (per iniziativa dello stesso Satta Branca). E se qualcuno come Aldo Cesaraccio – allora giovane caporedattore della testata scomparsa – si sarebbe presto trasferito nelle fila della rilanciata «La Nuova Sardegna», un numero più consistente di cronisti, corrispondenti e collaboratori passò invece a «il Corriere dell’Isola».

Poco prima della data di chiusura dell’«Isola» si era verificato uno sciopero dei tipografi per protestare contro la linea di assoluta intransigenza attuata dall’esponente democristiano Giovanni Lamberti, il commissario nominato dalla presidenza del Consiglio dei ministri per la temporanea gestione della società omonima «Giornale L’Isola». Si può ipotizzare che sia la gestione commissariale che lo sciopero organizzato dai tipografi fossero due iniziative studiate a tavolino dai democristiani sassaresi, guidati da Nino Campus, per eliminare un pericoloso concorrente, «L’Isola» appunto, in vista della creazione di un nuovo quotidiano vicino al partito dello scudo crociato, «il Corriere dell’Isola». In questo modo, la Dc avrebbe potuto far uscire un nuovo quotidiano senza dover conquistare i lettori dell’«Isola», avvantaggiandosi, almeno nei primi mesi, di una situazione di monopolio nel mercato editoriale della provincia, in attesa, come detto, della prevista ripresa delle pubblicazioni della «Nuova Sardegna».

In effetti, «il Corriere dell’Isola» esprimeva le posizioni della Democrazia cristiana in Sardegna, in particolare della corrente di Antonio Segni e Nino Campus, sostenendo attivamente la riforma agraria gestita dell’Etfas (Ente per la trasformazione fondiaria e agraria in Sardegna).

Il corpo redazionale era composto dall’avv. Goffredo Santevecchi, legale del quotidiano e, dal 1953 al 1957, anche direttore responsabile della testata, dal caporedattore Paolo Piga, da Giuseppe Congiattu, Manlio Brigaglia, Sergio Calvi, Domenico Panzino e Pino Careddu, colui che nel 1960 avrebbe fondato il periodico di controinformazione «Sassari Sera». I rapporti del prefetto di Sassari certificano che «il Corriere dell’Isola», edito a Sassari dalla «S.E.T.» («Società Editrice Turritana»), aveva un capitale azionario di 900 mila lire e stampava una media di circa 5.900 copie al giorno, con una resa del 14,10%.

Confrontando i dati concernenti l’altro giornale presente sulla piazza di Sassari, si ricava che la tiratura della «Nuova Sardegna» era decisamente superiore, circa il doppio rispetto a quella del concorrente; a titolo esemplificativo, nel dicembre 1956, «il Corriere dell’Isola» stampava 5.800 copie giornaliere e, complessivamente, 145.000 copie mensili, con una resa del 14,5%, mentre «La Nuova Sardegna», nello stesso mese, deteneva una tiratura di 11.900 copie giornaliere e, globalmente, di 297.500 mensili, con una resa del 15%.

Il foglio democristiano aveva cominciato ad attraversare una fase di difficoltà nelle vendite proprio poco dopo la ricomparsa della «Nuova Sardegna», avvenuta il 15 aprile 1947. Notevoli furono le polemiche tra i due giornali, tant’è che Aldo Cesaraccio, rispondendo a un corsivo in cui «il Corriere dellʼIsola» dileggiava «La Nuova Sardegna» e, in particolar modo, i suoi fondatori, lanciò il 20 giugno 1948 una nuova rubrica quotidiana, denominata “Al Caffè”, collocata nella pagina della cronaca sassarese. In quella sede, Cesaraccio commentava i principali fatti che accadevano in città e, più in generale, in Sardegna. Attraverso una scrittura limpida e piana, con un tono talvolta semiserio, egli esprimeva giudizi morali e una concezione della vita fondamentalmente severa. La rubrica apparve per l’ultima volta il 3 novembre 1991, pochi giorni prima della morte di “Frumentario”, come lo stesso Cesaraccio aveva deciso di firmarsi, alludendo al nomignolo che nella Sassari dei primi anni del secolo era stato dato ai soci dell’Unione Popolare, fondata da Pietro Satta Branca e da Enrico Berlinguer nel 1899, i quali di solito si riunivano proprio nell’antica sede della Frumentaria.

La polemica tra «il Corriere dell’Isola» e «La Nuova Sardegna» nasceva per rivalità politiche, oltre che per motivi legati alla conquista editoriale dei lettori sassaresi. «il Corriere dell’Isola» sosteneva apertamente la Democrazia cristiana, mentre «La Nuova Sardegna», testata di origine e tradizione repubblicana, nel secondo dopoguerra si presentò con una linea neutrale e trasversale, mostrando diffidenza nei confronti dei partiti e del loro sistema di potere, non lontano dal qualunquismo, che in quel periodo otteneva discreto consenso nelle classi medie (ciò fu manifesto soprattutto in occasione della campagna per le elezioni politiche del 18 aprile 1948). Diretta, come accennato, da Arnaldo Satta Branca, che era anche fra i proprietari della testata, «La Nuova Sardegna vinse la sfida con «il Corriere dellʼIsola» perché dimostrò di essere uno strumento al servizio dei lettori, aspirando alla maggiore diffusione possibile e rendendo conto di tutte le posizioni dell’arco politico (firmavano editoriali e/o rubriche i democristiani Salvatore Mannironi e Antonio Monni, i comunisti Armando Congiu e Luigi Polano, il repubblicano Michele Saba, i sardisti Bartolomeo Sotgiu e Antonio Bua, il socialista Antonio Borio, il monarchico Giorgio Bardanzellu, il missino Gavino Pinna, gli indipendenti di area laica-progressista Gonario Pinna e Mario Azzena, futuro assessore tecnico della Regione).

A risollevare le sorti de «il Corriere dell’Isola» non bastò neppure la pubblicazione di un falso scoop riguardante il coinvolgimento del Pci, e di Palmiro Togliatti in qualità di mandante, nell’attentato, poi fallito, a De Gasperi nell’aprile 1948. Il leader del Pci decise di querelare per diffamazione l’articolista e il direttore del giornale, Francesco Spanu Satta, quest’ultimo difeso dall’avvocato democristiano Nino Campus, azionista del quotidiano. Il processo finì con una dura condanna del «Corriere dell’Isola», poi sanata in appello, previa ritrattazione.

Tutto era cominciato nel 1949 con un’inchiesta, in ventuno puntate, realizzata da Giuseppe Cossu Pintus, dal titolo: “Sono stato comunista”, in cui il cronista, dopo aver spiegato ai lettori di aver fatto parte in passato del Pci, raccontò storie e retroscena di quanto vissuto dalla sezione sassarese del partito. Il pezzo forte dell’esclusiva, pubblicato in prima pagina il 22 settembre 1949, fu presentato però con un titolo poco significativo, “Quando si vide prescelto dalla sorte il vecchio compagno impallidì”, non facendo presagire i particolari clamorosi emersi invece dalla lettura dell’intero articolo. Il fatto che il titolo non fosse “gridato” e non facesse alcun riferimento esplicito a De Gasperi e a Togliatti può essere attribuito a due diverse ipotesi: la prima è che si trattasse di una precisa decisione assunta dal direttore il quale, non fidandosi totalmente del contenuto delle esternazioni riportate dal suo articolista, preferì optare per un titolo prudente; la seconda ipotesi è che si fosse verificato un errore tecnico di titolazione, sottovalutando l’importanza di quanto contenuto nell’articolo.

In seguito alla querela presentata da Palmiro Togliatti e dal segretario del Pci di Sassari Luigi Polano, il 7 gennaio 1950 cominciò il processo, terminato il 10 marzo con la condanna per diffamazione a mezzo stampa a carico di Giuseppe Cossu Pintus e Francesco Spanu Satta. Questa vicenda ebbe diverse conseguenze: incrinò i risultati positivi ottenuti dalla Dc nelle elezioni del 18 aprile 1948; rilanciò l’immagine del Partito comunista in una provincia, quella di Sassari, considerata un feudo democristiano; avviò la caduta politica dell’avv. Nino Campus e l’ascesa di una combattiva corrente della Dc locale che fu poi chiamata dei “giovani turchi”.

La cessazione definitiva delle pubblicazioni del «Corriere dell’Isola» avvenne il 1° dicembre 1957, quattro anni dopo l’uscita di scena del fondatore-direttore Spanu Satta, chiamato da Antonio Segni a Roma, alla segreteria generale della Cassa per il Mezzogiorno.

Il «Corriere dellʼIsola» fu una presenza puntuale, ancorché secondaria, nell’edicola sarda per undici anni. Assolse degnamente la missione che si era dato, accompagnando la Democrazia cristiana nella presa amministrativa di molti comuni del nord isolano (e della stessa Provincia) e nel controllo della politica alla Regione, dopo la fine dei lavori della Consulta e il varo, da parte della Costituente, dello Statuto speciale di autonomia.

La testata sassarese partecipò con impegno (ma sempre da un’ottica di partito) al dibattito sui più urgenti e impegnativi problemi, soprattutto agricoli ed infrastrutturali, che riguardavano la Sardegna, la quale, di lì a poco, avrebbe intrapreso, con il Piano di rinascita economica e sociale, il primo esperimento di programmazione regionale “globale” della storia del secondo dopoguerra.

Sul piano dei contenuti, merita ricordare la settimanale pagina dedicata ai problemi agricoli dell’Isola. Si trattava di articoli concordati dal giornale con gli uffici dell’Etfas, al tempo a presidenza Pampaloni e a fortissima influenza del “biancofiore”. Dalla metà degli anni ’50 alla pagina economico-agricola si aggiunse quella – talvolta doppia tanto da costituire un vero e proprio inserto – curata dalla Coldiretti di Paolo Bonomi, organizzazione anch’essa a pieno dominio, tanto a livello nazionale quanto a livello regionale, della Democrazia cristiana.

Priva, tanto più dopo l’abbandono di Spanu Satta, di un respiro culturale e politico adeguato era anche la foliazione destinata allʼinformazione locale e, in particolare, cittadina. Qui era prevalente la cronaca minore, anche se non mancarono inchieste a puntate su talune istituzioni civiche operanti da un secolo a Sassari (come la Società operaia di mutuo soccorso, o l’Ospedale SS. Annunziata), così come sul sistema dei trasporti ferroviario, annoso problema non soltanto del Sassarese.

Assai meno evidente, rispetto a «Il Quotidiano Sardo», era l’influenza degli ambienti ecclesiastici diocesani. Ciò forse perché, a differenza di quanto accadeva a Cagliari, nel capoluogo turritano la Chiesa poteva contare su un proprio settimanale – «Libertà» – che raccoglieva in via ufficiale la voce della curia locale e in generale della Chiesa sarda. Così «il Corriere dell’Isola» era chiamato soltanto a una più generale, o generica, difesa degli interessi cattolici “mediati” dal partito cosiddetto “di riferimento”. Interessi politici – va comunque sottolineato – di quell’area o galassia democristiana che era sensibile, tanto nella parte moderata quanto in quella piuttosto progressista, agli orientamenti dell’episcopato e, soprattutto, dell’anziano monsignor Arcangelo Mazzotti, al tempo presidente della Conferenza Episcopale Sarda.

Quella del «Corriere dell’Isola» è stata una storia certamente datata. Presi dalle sollecitazioni del contingente e dell’utile immediato, i suoi uomini furono incapaci di collegarsi alle più dinamiche correnti presenti nella società regionale ed anche all’interno del mondo cattolico isolano, compromettendo così il proprio futuro. Esaurita la fase più importante dell’attuazione della riforma agraria – come anche si è ricordato su questo sito (www.fondazionesardinia.eu) recensendo lo scorso 18 maggio la tesi di laurea di Alberto Medda Costella (“Oltre la minaccia delle trivelle”, di Gianfranco Murtas) – ed alla vigilia del processo di industrializzazione dell’Isola, mentre la Sardegna stava per avviare, con Efisio Corrias, la politica di centro-sinistra, il quotidiano sassarese considerò conclusa la sua missione. Ciò comportò un immediato allargamento dello spazio di vendite, tanto più nel nord isolano, della concorrente «Nuova Sardegna», e soprattutto un aggiustamento della linea di quest’ultima: non importava più, infatti, marcare una distinzione e perfino unʼavversione alle modalità correnti del “far politica” seguite dal partito di maggioranza e difese dal «Corriere dellʼIsola», occorreva adesso ricollocarsi all’interno dell’area moderata, perfino sostenendo la Dc di Antonio Segni (presidente del Consiglio, ministro degli Esteri, capo dello Stato) nella sua cautela verso gli scenari di apertura ai socialisti che gradualmente, a Roma come a Cagliari e Sassari, andavano profilandosi, sempre decisamente avversati dalle gerarchie della Chiesa sarda.

 

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