Una nuova voce cagliaritana nel web,di Gianfranco Murtas

Ecco così, diciotto anni dopo il primo numero di Chorus, la nuova voce di chiesa sarda.it guidata dal giornalista Paolo Matta.

Con intento pentecostale, e perciò sociale e comunicativo, Paolo Matta – giornalista del gruppo L’Unione Sarda-Videolina e valoroso saggista su temi ecclesiali e di storia cittadina – ha presentato il primo numero del giornale on line chiesa sarda.it uscito giovedì 4 giugno 2015.
Nuova spiaggia del gruppo fondatore e animatore di Chorus, la bella rivista cattolica “di informazione” condiretta, con lo stesso Matta, da Alberto Lecis per quasi tre lustri (dal novembre 1997 al settembre-ottobre 2011), migrata successivamente nella rete delle produzioni e degli accessi, chiesasarda.it anticipa un progetto di cui si parla datempo senza però mai materializzarsi (per notorie ed evidenti contraddizioni di base), ad iniziativa della CES.

Proporrò al solito, per puro dovere, e sostenendo le opinioni con l’analisi dei fatti, alcune considerazioni generali sulla stampa o i canali informativi del cattolicesimo sardo dei tempi recenti e dell’oggi.
E peraltro mi riservo di presentare appena possibile una ricerca molto, molto minuziosa sul decennio circa di uscite de Il Quotidiano Sardo (1947-1958): uscite in perfetta continuità con il settimanale La Sardegna Cattolica (1928-1947, direttore can. Lai Pedroni, condirettore don Lepori), a sua volta erede, con formula ecclesiale, di quel Corriere di Sardegna, organo del Partito Popolare Italiano la cui tipografia era stata incendiata dai fascisti nell’ottobre 1926, e fra i cui direttori era stato quel don Gabriele Pagani amico dell’intimità del futuro Giovanni XXIII (e sul conto del quale mi inviò preziosa documentazione il card. Loris F. Capovilla ai tempi della pubblicazione di Papa Roncalli e la Sardegna).

Perché poi va considerato che la materia – il giornalismo cattolico, quello nostro sardo in particolare – va sempre strettamente inquadrata, nella sua evoluzione, all’interno del contesto storico da cui trae insieme ispirazione, modalità e limiti. Ché la lunga stagione notabilare che segue il caldo risorgimento ed anticipa il fascismo non è, anche con l’ordinamento separatista fra Stato e Chiesa, la stessa cosa della dittatura conciliatorista, né del guelfismo democristiano del quindicennio che segue alla fine della seconda guerra mondiale e all’avvento della Repubblica costituzionale.

Un efficace quadro dei caratteri propri de Il Quotidiano Sardo lo ha di recente presentato, sul sito di Fondazione Sardinia, Andrea Corda, paziente e accurato ricercatore di storia del giornalismo sardo, giustamente connettendone la analisi alla ancora insoluta questione andata all’esame e alla delibera del Concilio Plenario Sardo, circa un ipotizzato organo unitario di informazione cattolica.

Questa nostra degli ultimi cinquant’anni è stata l’età, nel campo della informazione-formazione religiosa, dei giornali diocesani. Si tratta di dieci testate – tante quante sono le diocesi dopo la riforma del 1986 –, taluna settimanale (Il Portico, SulcisIglesiente oggi, L’Arborense, Libertà, Voce del Logudoro, L’Ortobene), talaltra quindicinale (Nuovo Cammino, Dialogo) o mensile (GalluraAnglona, L’Ogliastra) – integrate taluna da riviste di documentazione e studio, ma anche di informazione, di buono standard come, almeno a Cagliari, il trimestrale Notiziario Diocesano (già diretto dal compianto can. Giancarlo Atzei) o il semestrale del MEIC Orientamenti Sociali Sardi (condiretto da Alberto Lecis e Giuseppe Leone). Ad iniziativa di don Tonino Cabizzosu – storico della Chiesa sarda e, oggi, parroco nella beata basilica ardarese di Nostra Signora del Regno –, usciva fino a tre anni fa, con qualche regolarità, l’eccellente Notiziario ASDCA (Archivio Storico Diocesano Cagliari), ultimo il numero monografico Un vescovo tra servizio pastorale e cultura dedicato all’arcivescovo Alberti.

Aggiornamenti anche grafici, e qualche avvicendamento nella direzione editoriale o responsabile si sono avuti di recente in qualcuno dei periodici diocesani, ed è interessante notare la “scommessa” che questo o quel vescovo si sente di fare o non fare caricando i pesi della fattura editoriale a laici o a preti. Salvo errore sono attualmente laici i direttori de L’Ortobene, de L’Arborense, di SulcisIglesiente oggi, de L’Ogliastra (che ha inaugurato di recente un bel formato magazine); ecclesiastici gli altri. Interessante sarebbe commentare le migrazioni da testata a testata di direttori o columnist, quando nuovi orientamenti s’affermano in diocesi e le storie personali di qualcuno si chiudono in loco cercando però compensative reviviscenze altrove.

Va soggiunto che ogni Chiesa locale ha naturalmente anche il suo sito internet, taluno con pagine od opzioni di discussione e confronto fra gli utenti, talaltro con parvenze piuttosto ingessate nelle regole del bollettino di curia.
Non ho più trovato, e ignoro se ancora esca, il Bollettino Ecclesiastico della Sardegna, che ha una storia onorevole, risalendo a quel Monitore Ufficiale dell’Episcopato Sardo, fondato dall’intercuria isolana nel 1909 e assorbito di fatto, dal 1958 agli anni ’60, nelle edizioni del Bollettino Diocesano di Cagliari, ad impero dell’arcivescovo Paolo Botto.
Il periodico regionale, dopo la lunga direzione – 34 anni! – di don Pier Giuliano Tiddia (protrattasi per svariati anni anche dopo la sua promozione a vescovo ausiliare di Cagliari e poi a metropolita di Oristano) passato nel 1988, e per un decennio, alla responsabilità di don Cabizzosu e quindi di don Carlo Cani di Iglesias, don Giovanni Carta di Nuoro (direttore fino ad epoca recente de L’Ortobene), don Antonino Zedda di Oristano, è finito, per quanto ne sappia, nelle secche in cui l’ha relegato la presidenza CES in capo all’arcivescovo Mani (2006-2012).

E’ notorio come il nuovo arcivescovo di Cagliari (dal 2003) mise in non cale le risultanze del Concilio Plenario Sardo derubricando paradossalmente la stessa istituzione ch’egli presiedeva, tante volte irridendo – con le frecciate toscane peraltro briose e simpatiche – i vescovi di serie B (o delle diocesi di serie B) con cui gli toccava fare i conti, peraltro per… sconfiggerli sempre, ai voti, quando osavano controargomentare rispetto alla sua linea e proposta. Così, se aveva indebolito in via diretta e speciale il seminario regionale e la facoltà di Teologia a conduzione gesuitica, egli aveva anche monopolizzato la voce della Conferenza Episcopale Sarda. Non è un caso che in quegli anni della sua presidenza non siano usciti i comunicati dei lavori svolti dal collegio dei vescovi (di qui il vuoto del Bollettino Ecclesiastico) e che non si sia dato in alcun modo attuazione a quanto il Concilio Plenario Sardo aveva statuito secondo la convenzionale formula dell’auspicio (cap. II, titolo I, § 11): «Si auspica che le riunioni [della CES] si tengano talvolta nelle sedi delle diverse diocesi, prendendo spunto da particolari occasioni significative e con una celebrazione liturgica partecipata dal popolo. I Vescovi, in vista delle riunioni della Conferenza, nello spirito di comunione e partecipazione ecclesiale, trovino i modi opportuni di coinvolgere le rispettive Chiese locali nella consultazione sui temi che dovranno trattare. Anche circa le conclusioni delle riunioni la Conferenza episcopale dia comunicazione adeguata, secondo criteri ispirati dalla prudenza e insieme dall’esigenza di rendere il popolo di Dio parte attiva nella vita ecclesiale».

Non sarà seppure un caso se nello stesso paragrafo si faccia riferimento alla necessità di verifiche decennali della operazione “comunione” interdiocesana. Impegno disatteso alla grande dai vescovi isolani – compresi i firmatari degli Atti del CPS –, ubbidienti (nel peggio) ai processi di governo ecclesiale di don Giuseppe Mani, in questa scivolata accompagnato in primis dall’arcivescovo Sanna, che censurò addirittura, insieme con il direttore (laico e oggi candidato, sembra, a pilotare l’informazione cattolica regionale), la semplice informativa dello svolgimento di un convegno, a Cagliari, sul decennale del Concilio. Quando l’arcivescovo Tiddia, padre Turtas, don Antonio Pinna, l’indimenticato don Efisio Spettu, Bachisio Bandinu e molti altri vennero a conferirono le loro esperienze e osservazioni circa l’evento celebrato e le sue conclusioni e conseguenze.

Il Concilio Plenario Sardo si era espresso per un organo informativo unitario interdiocesano; la cadenza avrebbe potuto essere settimanale, e nel concreto la foliazione avrebbe potuto contemperare le opposte esigenze del generale e del particolare: un foglione di copertina (quattro pagine) comune, un inserto diocesano da diffondere in ogni territorio particolare, onorando tradizioni non da soffocare. Chissà che non sia venuta l’ora di fornire al pubblico isolano, cioè all’opinione pubblica che non coincide o non si esaurisce nel range della sola opinione ecclesiale, della militanza clericale o laicale, uno strumento di discussione, fra analisi e opinioni, all’interno di coordinate conciliari, sinodali, partecipative, esemplari. Io, cristiano di periferia ed ecumenico, non granché simpatizzante dei vescovi e di molto clero che mi è occorso di incontrare nelle più varie circostanze delle vita, lo auspico.

Per lunghi anni – decenni anzi – l’informazione religiosa è stata affare di curie e il giornalismo cattolico è stato null’altro che applicazione di addetti stampa, se è vero che il giornalismo è, di sua natura, indipendente. Il giornalista cattolico io credo onori il suo mestiere proprio marcando con la sua scrittura la propria indipendenza che è poi anche metro di intelligenza, di cultura, di consapevolezza e qualità del suo servizio alla comunità dei lettori. Non è neutrale il giornalista cattolico, non lo può essere, come nessuno di noi è mai neutrale rispetto ai valori orientativi, e dunque mai si può chiedere a un giornalista cattolico di oscurare, nella pratica del mestiere, i riferimenti ideali della sua formazione e delle sue credenze; con la stessa forza gli si deve chiedere autonomia di giudizio, schiena dritta sempre – evidenza di lealtà – e, appunto, distanza dalla pia consuetudine della acritica obbedienza.

Ecco così, diciotto anni dopo il primo numero di Chorus, la nuova voce di chiesa sarda.it. Sotto il titolo di “Perché un nuovo giornale in diocesi”, quella volta si scrisse: «Chorus non è la voce ufficiale di nessuna associazione, movimento o parrocchia né, tantomeno, della sua redazione. Perché il peso e l’importanza di un’iniziativa editoriale di tale portata dipenderanno esclusivamente dall’apporto di ciascun fedele della nostra Chiesa». Fra alti e bassi l’esperienza del giornale ha onorato chi ci si è impegnati, promuovendo partecipazione. Tornano quelle intenzioni, esse si confermano, nei tempi nuovi che viviamo, con la nuova testata on line.

«Nulla, dopo Internet, soprattutto nella comunicazione, sarà più come prima – scrive Paolo Matta nell’editoriale di presentazione del sito –. Per chi pensasse di esorcizzare questa realtà, puntando ancora su schemi, metodi e dinamiche pre-rivoluzionarie è destinato a una marginalizzazione, a un analfabetismo senza ritorno.
«Perché, allora, chiesasarda.it? Intanto perché comunicare è obbligo evangelico. Per tutti, nessuno escluso. Da Pietro, oggi Francesco, fino all’ultimo dei battezzati.

«La Pentecoste è questo fuoco che arde, incontenibile, che spinge ad annunciare, superando barriere di lingua e di cultura; a uscire dai nostri comodi cenacoli verso le periferie dell’uomo avendo come unica bussola il servizio alla Verità; a creare comunione e condivisione, dialogo e prossimità con un universo, fino a ieri irraggiungibile, oggi alla portata di tutti.

«Assieme alla consapevolezza di essere appena una goccia in questo sconfinato, moderno, lago di Galilea. Niente di più del minuscolo, evangelico, granellino di senape».
L’augurio, se mi è consentito di formularlo – e perché non potrei? –, è quello di insaporire la comunione con la critica, o di finalizzare sempre la critica alla comunione. La lezione di un profeta come padre Ernesto Balducci, già dagli anni in cui lo avemmo qui a Cagliari, relatore e presidente degli intellettuali cattolici a convegno in municipio, è stata questa, resta questa. Direi che l’augurio di buon lavoro potrebbe prendere la forma bella della lezione che a molti di noi ha dato nel suo tempo fecondo, senza alzare i toni, ma con tanta civiltà dialogica quanta chiarezza argomentativa, il caro nostro don Efisio Spettu: la critica nella comunione sempre, sempre la comunione alimentata non dalla riduzione delle originalità riflessive ed espositive ma dalla fierezza dolce dell’anticonformismo e della disomologazione, al modo di don Tonino Bello, stella alta dell’esempio, titolare anzi del magistero dell’esempio.

 

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