Padre Samir: quella di al-Baghdadi è vera “guerra santa”, di Sandro Magister

Da L’ESPRESSO 18 maggio 2015

 

L’islamologo gesuita Samir Khalil Samir non ha smesso di commentare da par suo gli sviluppi della guerra in Medio Oriente neppure dopo che papa Francesco l’ha inaspettatamente nominato rettore “ad interim” del Pontificio Istituto Orientale:

> Terremoto tra i gesuiti, al Pontificio Istituto Orientale

L’ultimo suo intervento, apparso su “Asia News”, è di grande interesse, perché commenta il messaggio audio di 33 minuti diffuso a metà maggio dallo Stato islamico con la voce del suo capo supremo Abu Bakr al-Baghdadi.

La sintesi del messaggio – che chiede a “ogni musulmano di ogni luogo di attuare la hijrah (emigrazione) verso lo Stato islamico o di combattere nel proprio paese, ovunque esso sia” – è in questo servizio di “Asia News”:

> Al-Baghdadi: L’islam è una religione della guerra

Mentre questo che segue è il commento di padre Samir Khalil Samir.

Il quale in quanto rettore del Pontificio Istituto Orientale non parla più da semplice privato ma da rappresentante – non unico ma comunque autorevole – della Santa Sede

E fa giustizia di tutti gli abbagli di chi continua ad asserire – come il direttore de “La Civiltà Cattolica” Antonio Spadaro, anche lui gesuita – che “questo non è islam” e che l’offensiva dello Stato islamico “non è una guerra di religione”.

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UN MESSAGGIO MOLTO ASTUTO

di Samir Khalil Samir S.J.

Questo di Abu Bakr al-Baghdadi è un messaggio molto astuto perché corrisponde alle aspettative di una parte del mondo islamico. Senz’altro i gruppi salafiti, che cercano di riportare la società allo stile e alla pratica del tempo di Maometto, saranno contenti e diranno: Finalmente ritroviamo il vero islam!

Va notato che quando parla di emigrare (hijrah), egli indica l’emigrazione di Maometto dalla Mecca a Medina, quella che noi chiamiamo “l’egira”, che segna l’inizio della cronologia del mondo musulmano a partire dal 622, l’inizio dell’era islamica.

Questa emigrazione è il passaggio dall’islam pacifico a quello combattivo. Alla Mecca, Maometto non ha mai fatto guerra; ma vedendo che il suo messaggio non passava e che poca gente lo ascoltava, e che anzi vi era rischio per la sua vita, ha invitato un gruppetto di suoi seguaci a emigrare in Etiopia, un paese cristiano che li avrebbe ben ricevutiu. Poi è emigrato lui a Medina. Lì ha cominciato a predicare e un anno dopo ha iniziato la lotta militare prima contro i meccani, poi contro le tribù per convertirle.

Maometto ha vinto tutte queste guerre: la maggioranza delle tribù dell’Arabia l’hanno seguito. Ma bisogna precisare: esse lo hanno seguito più come capo militare che come capo religioso. La prova è questa: quando Maometto è morto, nel 634 (?), molte tribù si sono ritirate non sostenendo più la guerra e non pagando le tasse. E allora, il nuovo califfo Abu Bakr ha dichiarato guerra contro di loro per costringerli a ritornare nell’islam.

E loro si rifiutavano: Noi abbiamo fatto il patto con Maometto, non con l’islam. Ma Abu Bakr li ha vinti e li ha costretti a ritornare nell’ambito dell’islam. Ed è interessante che questo nuovo “califfo” abbia scelto come nome Abu Bakr e voglia lanciare la guerra santa in tutto il mondo, per sottomettere tutti all’islam.

Il suo appello significa risvegliare qualcosa che dorme nel pensiero profondo dell’islam, per dire: facciamo tutti la nostra hijrah, lasciamo tutti coloro che vogliono un islam di pace, e passiamo all’islam autentico che ha conquistato prima l’Arabia, poi il Medio Oriente, e poi il Mediterraneo. Questa sarebbe l’ultima fase della lotta del profeta attraverso il suo nuovo rappresentante.

Il tutto è molto simbolico.

È vero che vi sono notizie secondo cui lo Stato islamico sta perdendo adepti, che diversi giovani, dopo essere arrivati in Siria e Iraq a combattere, ora si stanno distaccando e vengono imprigionati dagli stessi miliziani dell’ISIS. Il messaggio cerca allora di risvegliare ancora più musulmani per recuperare altri giovani più decisi.

Quasi sicuramente il richiamo di al-Baghdadi scuoterà i musulmani salafiti, che hanno come modello l’islam primitivo. Essi prendono come modello la prima generazione dell’islam, e ciò spingerà molti musulmani tradizionalisti a diventare salafiti e a combattere.

Davanti a questa chiamata alle armi, cosa fare?

La lotta militare può essere necessaria, ma non risolutiva. Azioni militari potranno ridurre le violenze, spargere meno sangue, far regredire lo Stato islamico, ma il movimento continuerà perché fa parte dell’islam. L’unica soluzione radicale è una riforma interna della lettura della storia islamica.

Quando al-Baghdadi dice che “l’islam non è mai stato una religione di pace”, esagera: l’islam ha avuto anche periodi di pace. Dire che l’islam è solo guerra, è un errore. L’islam è pace e guerra insieme ed è tempo che i musulmani rivedano la loro storia.

Inoltre, va precisato che la guerra islamica non è paragonabile alle crociate: Le crociate sono state al massimo una guerra limitata per salvare Gerusalemme e i luoghi santi, ma non una guerra totale, santa, ispirata dal Vangelo.

Invece la guerra dell’islam è sempre santa se viene fatta per allargare i confini dell’islam e recuperare la terra dell’islam.

 

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