Nell’Isola quasi 1500 profughi e le strutture sono al collasso, Cristina Cossu

L’articolo è uscito su L’UNIONE SARDA  il 20.04.2015.

Arriva la bella stagione, i viaggi della disperazione fanno il tutto esaurito. «Nel 2015 dobbiamo essere preparati ad affrontare una situazione più difficile dell’anno scorso», ha detto un mese e mezzo fa il direttore di Frontex, Fabrice Leggeri, «ci sono tra i 500 mila e un milione di migranti pronti a prendere il mare». I fortunati, quelli che riescono a sbarcare vivi sulle coste italiane, in Sicilia perlopiù, vengono smistati nelle regioni, spediti con voli charter, secondo le quote decise dal Governo. Alla Sardegna ne toccano tra il 2 e il 3% del totale nazionale: a oggi ce ne sono 1402. Destinati, ovviamente, ad aumentare, da 10 a 20 mila secondo le stime dell’Agenzia europea per la gestione della cooperazione internazionale alle frontiere esterne degli Stati membri. L’emergenza è continua e spaventosa, perché l’accoglienza, ammesso che funzioni, non basta mai. Gli ultimi arrivati, mercoledì, non ancora ricompresi nel conto ufficiale, 82 nigeriani, bambini, donne incinte e ragazzi, sono stati salvati da un cargo greco al largo di Lampedusa e fatti scendere a Sarroch, poi accompagnati in varie strutture, tutte vicine al collasso. A Elmas, accanto all’aeroporto ma in zona militare, c’è il famigerato Centro che fa da primo soccorso e da parcheggio per richiedenti asilo. A febbraio 2015, secondo il Viminale, aveva in carico 294 persone. L’avrebbero dovuto chiudere molto tempo fa, tutti d’accordo – questore, prefetto, assessori, sindaco, associazioni – ma ogni volta si rinvia. Perché la carenza di posti per chi fugge dalla propria terra è tale che bisogna sfruttare ogni buco disponibile. Il nuovo appalto annuale da 3 milioni 381 mila euro se l’è aggiudicato la Casa della solidarietà a ottobre, prevede servizi di assistenza generica, amministrativa, sanitaria, vitto, alloggio, vestiario, generi di uso personale. Inoltre, «tenuto conto della dislocazione decentrata rispetto al centro abitato, assicura anche il collegamento quotidiano con Cagliari». Ogni giorno gli ospiti vengono fatti salire su un pullman, scaricati in viale Trieste e la sera ripresi per far rientro “a casa”. Poi ci sono le strutture temporanee, 30 in Sardegna – alberghi, residence, bed and breakfast, di privati o cooperative – selezionate dalle prefetture. A febbraio scorso contavano 1020 profughi. Funziona così: partono le richieste di manifestazione di interesse, si analizzano le offerte – al ribasso, anche del 30% – e vengono compilate le graduatorie in ordine decrescente di prezzo. Quando il ministero suddivide le povere anime qua e là, i funzionari delle prefetture le inviano alle varie destinazioni fino a esaurimento. E pazienza se sono luoghi sperduti dove nessuno vuole stare (Sadali, ad esempio) «c’è così tanto bisogno di un tetto per i profughi che accettiamo praticamente qualsiasi struttura lo richieda», dice un addetto ai lavori. Prendono una media di 35 euro al giorno a persona (Iva esclusa), e devono garantire un letto, lenzuola e coperte, pulizia e raccolta dei rifiuti, tre pasti al giorno (rispettando le abitudini alimentari religiose), un pocket money da 2,50 euro quotidiani pro capite fino a un massimo di 7,50 euro per nucleo familiare, abbigliamento, biancheria e prodotti per l’igiene, una tessera telefonica da 15 euro, assistenza sanitaria, mediazione linguistica e sostegno psicologico. Chi resiste e aspetta l’esito delle domande di regolarizzazione, a causa di una burocrazia carogna trascorre in questi non-luoghi anche cinque mesi. Se poi la risposta è negativa e si decide di fare ricorso, i tempi si dilatano ulteriormente. Infine c’è il Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati (Sprar), una rete di “accoglienza integrata” per titolari di protezione internazionale, che fa capo agli enti locali e alle organizzazioni del terzo settore che prendono finanziamenti ad hoc. A oggi in Sardegna gli ospiti sono circa 90, vivono in appartamenti o in centri collettivi e partecipano a una serie di attività che dovrebbero favorire l’integrazione e l’occupazione.

 

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