PIERLUIGI MAROTTO, Sovranità di proposta di governo e di lotta (dal sito dell’Autore).

I tempi stretti e i ritardi storici della classe dirigente sarda sulle questioni di revisione Statutaria sono un lusso che non possiamo più permetterci esti arribau su foguaispeis, c’è ancora qualche minuto di tempo per organizzare dignitosamente una proposta seria e avanzata che tuteli la condizione di specialità e sposti in avanti il processo di autogoverno e di autodeterminazione del popolo sardo perchè non si ripeta anche questa volta quello contro cui si schierarono saldamente compatti tutti i deputati sardi, i comunisti Velio Spano e Renzo Laconi oltre ad Emilio Lussu, con i democristiani Mannironi e Mastinu  e che Lussu sintetizzò con la sua micidiale e tagliente ironica intelligenzal’Autonomia che i sardi avevano sognato somiglia a quella ottenuta dalla Costituente, come il leone assomiglia ad un gatto che in comune hanno solo il fatto di appartenere ad una stessa razza, quella dei felini”.

Questa sera si riunisce l’Osservatorio sulle Riforme Costituzionali nato dalla proposta della Fondazione Sardinia e composto da diverse personalità politiche  o appartenenti ad  associazioni politico-culturali, con l’obiettivo di monitorare l’evolversi del processo legislativo e proporre, unitariamente al dibattito alle forze politiche e alle istituzioni sarde stimoli e proposte che salvaguardino la natura pattizia e il cammino del processo di autodeterminazione del popolo sardo attraverso sia la difesa che l’arrichimento e la implementazione dei poteri e delle competenze contenuti del nostro Statuto speciale.

Il DDL del governo  di riforma di parti significative della Costituzione a cominciare dal superamento del bicameralismo perfetto sino alla riforma del Titolo V° sono come ci segnalano le cronache nel pieno dell’iter parlamentare incardinato per ragioni squisitamente politiche, al Senato dove, dopo l’ok della competente commissione Affari costituzionali è approdato. Ancora non si è chiuso processo formale in prima lettura che già la ministra Boschi si è affrettata a mettere all’ordine del giorno la questione del Presidenzialismo. Ora visto che i sardi e la Sardegna sono e devono essere molto interessati diciamo cosi per autonome  ragioni speciali a tale importante processo e non per ragioni d’ufficio è  utile una rapido cronogramma che richiami la genesi politica e il dispiegarsi temporale dell’intero processo di revisione per vedere e per capire cosa si può fare, come e perché.

Nel suo discorso di insediamento al Senato, il 24 febbraio, Matteo Renzi ha detto: «vorrei essere l’ultimo presidente del Consiglio a chiedere la fiducia a quest’Aula». Il nuovo accordo tra PD, NCD e Forza Italia sulla legge elettorale che è in discussione in questi giorni alla Camera è collegato a questo tema, dato che prevede che il cosiddetto “Italicum” sia introdotto soltanto per l’elezione della Camera.

Ma quanto tempo è necessario per abolire il Senato? Anche se le forze politiche fossero d’accordo sui dettagli, la procedura per la modifica della Costituzione ha tempi piuttosto lunghi e prevede la possibilità di un referendum confermativo. In Italia, ad ogni modo, è tutt’altro che raro che si modifichi la Costituzione: l’ultima volta fu meno di due anni fa, nell’aprile del 2012, quando sono stati modificati quattro articoli.

Per modificare la Costituzione è necessaria una “legge di revisione costituzionale”, che è prevista dalla Costituzione stessa nei suoi ultimi articoli: l’articolo 139 specifica solo che «la forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale», mentre il percorso per arrivare alle modifiche, stabilito dall’articolo 138, prevede per prima cosa che la legge di revisione sia approvata una prima volta da entrambi i rami del Parlamento con una maggioranza relativa: basta cioè che i “sì” superino i “no”. Bisogna aggiungere che ci sono diversi percorsi con cui la legge può essere elaborata prima di arrivare in aula: in passato sono state istituite commissioni parlamentari, di solito con il mandato di concludere i lavori entro un anno o alcuni mesi; un’altra strada prevede invece la discussione nelle commissioni Affari costituzionali per arrivare a un progetto condiviso, che è quella seguita in questo caso.

Dopo la prima votazione in entrambe le camere, è necessaria la cosiddetta pausa di riflessionedopo almeno tre mesi, si torna a votare lo stesso testo, ma questa volta la maggioranza con cui deve essere approvato è assoluta (la metà più uno dei seggi). A questo punto si aprono due strade:

-Se la maggioranza che ha approvato la legge di revisione costituzionale è dei due terzi sia alla Camera che al Senato, allora il percorso si conclude: -il Presidente della Repubblica promulga la legge e la modifica entra in vigore alla data prevista. In questo caso, l’iter si è svolto interamente all’interno del parlamento; questa sarebbe anche la strada che richiede meno tempocirca tre mesi da quando la proposta è stata presentata alla prima camera, nel caso nostro al Senato.

-Se invece la maggioranza parlamentare non raggiunge i due terzi, allora scatta un’altra scadenza temporale di tre mesi. In questo periodoun quinto dei membri di una Camera oppure cinquecentomila elettori oppure cinque Consigli regionali possono chiedere che sulla modifica si tenga un referendum cosiddetto “costituzionale” per confermare o bocciare la modifica – se invece i tre mesi passano senza nessuna richiesta, la legge è approvata.

Il referendum costituzionale ha la particolare caratteristica di non richiedere un quorum per essere valido: in Italia se ne sono svolti soltanto due, nel 2001 per la riforma del Titolo V della Costituzione – che venne approvata – e nel 2006 per la cosiddetta Devolution del governo Berlusconi – che venne respinta. Quello del 1946 tra monarchia e repubblica era un caso particolare e di tipo diverso, un referendum cosiddetto “istituzionale”.

Tra il 1948 e il 1999 sono state approvate dal Parlamento, senza che si ricorresse al referendum, ben venticinque modifiche alla Costituzione, la modifica più recente è stata approvata durante il governo Monti, quando è stato inserito nella Costituzione il cosiddetto principio del pareggio di bilancio. La riforma ha modificato quattro articoli della Costituzione (soprattutto l’art. 81, ma anche gli articoli 97, 117 e 119) per introdurre la necessità «dell’equilibrio strutturale delle entrate e delle spese del bilancio» statale. È stata approvata in via definitiva il 18 aprile 2012 con più dei due terzi dei voti favorevoli sia alla Camera e al Senato, per cui non è stata necessaria la conferma con un referendum popolare. Tutte queste modifiche, però, avevano la caratteristica di introdurre modifiche puntuali e circoscritte nella Costituzione. Negli ultimi quindici anni invece si è entrati in una nuova fase, in cui si sono approvati anche cambiamenti più radicali, che hanno riguardato intere sezioni della Costituzione: e cioè le già citate riforme del Titolo V° e la riforma costituzionale del centrodestra.

Sui temi in discussione oggi le proposte e gli annunci, da parte del parlamento e del governo, risalgono almeno alla fine degli anni Settanta. La prima commissione parlamentare per occuparsi della questione fu la cosiddetta commissione Bozzi, istituita nel 1983; poi ci furono la commissione De Mita-Iotti, a partire dal 1992, e la commissione D’Alema, la notissima e criticatissima “bicamerale” del 1997. Sono state presentate, negli anni, moltissime proposte molto diverse tra loro, ma finora nessuna è riuscita a concludere l’iter parlamentare. Quella che ci andò forse più vicino risale a una decina di anni fa: tra il 2004 e il 2005 il parlamento approvò il progetto di riforma federale voluta dal governo Berlusconi – una radicale modifica di una cinquantina di articoli della Costituzione, la cosiddetta devolution – ma non vennero raggiunti i due terzi dei voti favorevoli necessari a evitare il referendum confermativo: questo si tenne nel giugno del 2006 e bocciò la riforma con oltre il 60 per cento dei voti contrari.

Del superamento del bicameralismo perfetto si è parlato, di recente, con le ”proposte dei dieci “saggi nominati da Napolitano prima della nascita del governo Letta, che vennero presentate più di un anno fa, nell’aprile del 2013. Nel documento sulle riforme costituzionali si proponeva una nuova commissione bicamerale, la trasformazione del Senato in un “Senato delle Regioni” e la riduzione del numero dei parlamentari.

La lettura del cronogramma storico-temporale-normativo dovrebbe suggerire diversi terreni di iniziativa al Consiglio Regionale, alle forze politiche sarde , agli enti locali, alle associazioni e ai cittadini sardi tuttiindistintamente, dalla riscrittura veloce delle parti dello Statuto obsolete e/o carenti in termini di nuove responsabilità e competente delle Regione, salvaguardando intanto tutti i poteri statutari e quelli esercitati in ragione di trasferimenti successivi con la procedura vigente e a Costituzione invariata e  farlo coinvolgendo di pari passo tutte le assemblee elettive sarde e tutte le istanze di rapppresentanza di interessi , notificando al governo centrale ed al Parlamento nazionale l’avvio formale della procedura di revisione dello Statuto vigente, e cosa ancor più utile e necessaria in questa fase mobilitando con le dovute cautele ma in forma molto decisa il popolo sardo circa i rischi oggettivi che corrono i poteri sovrani attuali alla luce delle modifiche in discussione al Senato senza sterili estremismi ma senza neanche riverenti e colpevoli silenzi ossequiosi legati ad appartenenze e affiliazioni a partiti nazionali. Inoltre vista l’aria che tira e la pressochè unanime volontà di larghissima parte delle forze politiche di maggioranza e di opposizione a Roma di ridimensionare il ruolo delle Regioni tutte, sia quelle a regime ordinario sia quelle a regime speciale come il testo in discussione dimostra in nome di un interesse nazionale e financo di politiche finanziarie europee, -è urgente predisporsi al peggio e cominciare da subito a pensare ad attivare la via referendaria sia che si apra la finestra prevista dalla Costituzione nel processo di revisione sia che e a maggior ragione non si apra. Insomma una doppio binario di proposta edirevisone immediata del patto tra Regione e Stato, sia di lotta democratica e di utilizzo degli strumenti istituzionali a tutela dei cittadini, ultimo ma non secondario una compliance intelligente esercitata dai Presidenti di Giunta e di Consiglio affinchè i senatori e i parlamentari sardi  tutti, abbiano a ritrovarsi ed a votare lungo tutto l’iter procedurale di revisione in essere, compattamente ed allo stesso modo dei sardi e  delle Istituzioni rappresentative.