Sardegna perinde ac cadaver. Come stiamo perdendo la nostra autonomia speciale nell’indifferenza (quasi) generale

(L’articolo è stato pubblicato nel sito di Vito Biolchini il 7 luglio 2014)

Il treno delle riforme costituzionali corre veloce. Passa una volta ogni cinquant’anni e oggi la Sardegna rischia clamorosamente di perderlo. Con quali effetti? Nefasti. La nostra autonomia speciale è a rischio: non perché in cambio avremo uno statuto migliore, più moderno e più sovranista (cioè con maggiori poteri di autogoverno) ma perché diventeremo come tutte le altre regioni, cioè una regione ordinaria e per di più in un nuovo sistema politico e istituzionale fortemente accentrato. Non vedremo rispettate né la nostra storia né la nostra condizione geografica, e in un parlamento dimezzato sarà dimezzata anche la nostra capacità di far valere le nostre ragioni.

Il rischio che la Sardegna perda la sua autonomia è reale e concreto, e basta parlare con i nostri parlamentari per rendersene conto. L’ultimo allarme l’ha lanciato Mauro Pili (“L’autonomia sarda rischia la cancellazione”) ma la sua è una delle poche voci che gridano nel deserto.

Senza l’autonomia non avremo più alcun strumento formale per opporci all’assalto dei grandi interessi delle multinazionali dell’energia, né per chiedere lo smantellamento delle servitù militari, o di chiedere che venga colmato il gap di sviluppo con il resto del paese. Un’isola così grande e sempre meno popolata, senza uno statuto di rango costituzionale (quale è quello tuttora vigente) in grado di difenderci, sarà condannata a subire passivamente le grandi scelte strategiche prese dal governo nazionale italiano su qualunque tema. Qualunque.

La situazione è drammatica ma l’opinione pubblica sarda ancora non se ne è accorta. C’è anzi chi segretamente lavora per la fine definitiva dell’autonomia, sperando stoltamente che una maggiore condivisione con le sorti dello stato italiano possa metterci al riparo dalla crisi, oppure perché porta a sostegno di una nuova “perfetta fusione” l’inadeguatezza delle nostre classi dirigenti, come se queste non fossero state in questi decenni una diretta emanazione di quella stessa politica italiana a cui adesso vorremmo affidarci totalmente, perinde ac cadaver.

Il momento è drammatico anche per i sovranisti e per gli indipendentisti che hanno sempre considerato la statuto di autonomia superato se non addirittura dannoso. Si tratta di decidere se giocare in difesa (cioè tutelare con le unghie e con i denti lo statuto del ’48 ritenendo che non ci sono le condizioni politiche per puntare ad una sua revisione e ad una estensione dei nostri poteri di autogoverno) oppure se andare all’ attacco e mobilitare la politica e la società sarda in maniera da scrivere in tempi rapidi un nuovo statuto, più adatto alle nostre esigenze e a quel modello di sviluppo sostenibile che in tanti da tempo chiedono.

L’impressione (terribile) è che al momento non ci siano le forze né per difenderci né per attaccare.

Se non vogliono passare alla storia come gli affossatori dell’autonomia, la giunta Pigliaru e questo consiglio regionale possono e devono avere un ruolo determinante. Il documento sulla riforma dello statuto esitato dalla prima commissione Autonomia è però evidentemente insufficiente, da esso non traspare il senso di urgenza che invece comunicano i nostri parlamentari.

Dicendo no alla firma sul protocollo d’intesa sulle servitù militari il presidente Pigliaru ha inaugurato un nuovo modello di rapporto con lo Stato: potrà essere replicato per opporsi al rischio di morte dell’autonomia? Urge una risposta in tempi rapidissimi.

Poi ci sono i sovranisti che fanno parte di questa maggioranza e sono presenti nella giuntaPigliaru. In che misura combatteranno la battaglia per la specialità? Sarà per loro una questione dirimente nei rapporti con gli altri partiti (specialmente il Pd) e nella valutazione di questa giunta o prenderanno atto dei rapporti di forza e accetteranno senza alcuna conseguenza politica il più che probabile esito nefasto della riforma all’esame del parlamento italiano?

Poi ci sono gli indipendentisti, quelli che hanno sempre considerato l’autonomia una sciagura. Preferiranno combattere per questo statuto (che almeno riconosce la natura pattizia del rapporto fra Sardegna e Italia) oppure favoriranno il suo svuotamento? E in questo caso, quale sarà la loro battaglia politica e con chi la condurranno? Sardegna Possibile e Progres dovranno presto schierarsi.

I due appuntamenti organizzati lo scorso mese di giugno a Cagliari dalla Fondazione Sardinia, dall’associazione Carta di Zuri e da Sardegna Soprattutto hanno dato un quadro chiaro della situazione. Chi (come il sottoscritto) pensava che ci fossero i margini per chiedere la convocazione di una assemblea costituente si è dovuto repentinamente ricredere: quell’opzione è impraticabile.

Così come bisogna prendere atto che i politici che maggiormente si stanno impegnando per difendere l’autonomia sarda fanno parte di tre partiti che si dichiarano incompatibili tra di loro: il deputato di Unidos Mauro Pili, il senatore di Sel Luciano Uras, il senatore del M5S Roberto Cotti.

Questo cosa significa? Che questa situazione non può essere affrontata con il paraocchi della campagna elettorale e che si dovranno per forza aprire scenari nuovi. Che il Pd non stia brillando in difesa dell’autonomia speciale sarda è, al momento, un dato di fatto di cui bisogna prendere atto.

La situazione dunque è estremamente difficile. Eppure questa in difesa della nostra specialità è l’unica battaglia che merita di essere combattuta dalla nostra classe dirigente e politica. Siamo veramente ad un crocevia della storia isolana, esattamente com’è stato nel 1948. Solo che stavolta non faremo un balzo in avanti ma rischiamo di farne cento indietro. Nell’indifferenza generale.