A proposito di bandiera sarda, di Mario Cubeddu

Le tre ‘pandelas’ dell’Ardia di Sedilo difendono la loro supremazia nella corsa attraverso un lungo bastone in cui è arrotolata la bandiera dei quattro mori. Come mai? Da quando? Perché? Se ne interessava anche Antonio Gramsci dal carcere.

Il 3 ottobre 1927, dal carcere di Milano, Antonio Gramsci scrive alla madre Giuseppina Marcias. Nella corrispondenza con lei cerca sempre degli argomenti che pensa possano interessarle, fatti leggeri, divertenti, che possano sdrammatizzare il dialogo. In quell’occasione le chiede di mandarle i libri sulla Sardegna che aveva comprato anni prima, copie della rivista “Il Nuraghe”, “qualcheduna delle canzoni sarde che cantano per le strade” e: “quali temi vengono cantati nelle gare poetiche?”. E infine: “La festa di san Costantino a Sedilo e di San Palmerio, le fanno ancora e come riescono?…Lasciano portare in giro la bandiera dei quattro mori e ci sono ancora i capitani che si vestono da antichi miliziani?”

Perché Gramsci chiede se ”lasciano portare ancora in giro la bandiera dei quattro mori”? Chi sono i sottintesi protagonisti di questa azione? Chi consente sono le autorità che sorvegliano l’ordine pubblico nei paesi sardi, “minacciato” da ogni fatto estraneo alla norma della vita quotidiana. Il principale di questi fatti eccezionali è costituito dalle feste dei santi, tutta la popolazione in strada per processioni, corse di cavalli, bancarelle, canti in piazza, accorrere di forestieri, grandi bevute, confronti di forza, risse. Chi viene controllato, e a cui viene consentito o proibito di fare, sono i comitati della festa, i giovani e gli adulti che partecipano in maniera attiva seguendo la statua del santo, a cavallo se si tratta di giovani uomini di campagna, a piedi se si tratta di artigiani o delle ragazze e donne mature che reggono la struttura meno visibile della festa stessa.    Chiunque conosca i paesi fatica a credere che una bandiera, così connotata politicamente con il simbolo dei Quattro Mori,  potesse sfilare con quelle di San Costantino, San Palmerio, San Sebastiano, intromettendosi nell’ambito del sacro e di tradizioni millenarie. Gramsci sa bene che con il consolidamento del regime fascista è stata bandita in Italia e in Sardegna qualsiasi altra bandiera che non sia il tricolore. La contrapposizione tra bandiere nel dopoguerra è fortissima. La principale è quella che avviene nella penisola tra la bandiera italiana e la bandiera rossa, che significa socialismo, antimilitarismo, rivoluzione e Russia. L’aggressione fisica dell’avversario, con bastonatura e ingestione di olio di ricino, comporta anche l’imposizione da parte degli squadristi fascisti del bacio obbligato alla bandiera tricolore e del grido “Viva l’Italia!”[1].

In Sardegna le cose sono diverse. Il movimento dei combattenti ha adottato la bandiera sarda, i quattro mori. Era una bandiera che, dopo essere stata l’insegna del Regno di Sardegna, che aveva cessato di esistere con la perfetta fusione con il Piemonte nel 1847, era rimasta disponibile per il catalogo di simboli generici che i candidati sardi dell’età liberale sceglievano per contrassegnare le loro candidature.

I reduci se ne erano appropriati e si erano affezionati ad essa. Rappresentava perfettamente lo spirito di rinascita che animava i reduci che rientravano a casa dopo più di quattro anni di guerra. Ogni sezione degli ex combattenti e poi ogni sezione del Partito Sardo d’azione, nato giusto cento anni fa, nell’aprile del 1921, voleva la sua bandiera. Il partito si preoccupa di fornire la stoffa, il lavoro di cucito di sarti, oppure di madri e sorelle, completa il lavoro.   Nelle poche immagini delle sfilate che i reduci fanno nelle città sarde sono ben visibili le bandiere levate in alto da giovani a cavallo. Il successo è tale che il Partito non riesce a soddisfare le richieste di stoffa.

Esso porta con sé anche il suo risvolto, la critica demolitoria.  Si levano presto le obiezioni di “esperti di storia” a ricordare che i Quattro Mori sono una bandiera di provenienza straniera, assegnata al Regno di Sardegna per un riuso poco dignitoso. Questo argomento polemico, sul carattere “non sardo” del simbolo, lanciato contro gli ex combattenti nel primo dopoguerra, verrà ancora ripreso nella seconda metà del Novecento, dopo l’impetuosa ripresa sardista che porta Mario Melis al governo della Regione, da altri storici sardi e da un piccolo gruppo che coltiva la velleità di sostituire ai Quattro Mori altri simboli.

Queste critiche nascono da un sostanziale abbaglio: la bandiera dei Quattro Mori sventolata dai giovani reduci è qualcosa di totalmente nuovo, non rappresenta più un Regno defunto, ma l’aspirazione alla rinascita di un popolo. E’ una bandiera segnata dal lutto e dalla speranza. Una fortissima reazione morale e politica grida che in Sardegna le cose devono cambiare, niente può essere più come prima, dopo la morte senza senso di tante migliaia di giovani. I Quattro Mori diventano il simbolo di una Sardegna nuova, fatta propria dal primo partito di massa che la Sardegna abbia espresso. In Sardegna il partito Socialista non ottiene nelle politiche del 1919 e 1921 il grande successo che in Italia ne fa il primo partito, perché il voto di protesta e quello delle nuove generazioni va alla lista del Partito sardo d’Azione.

In Gramsci la domanda sul “lasciano portare in giro la bandiera” si lega strettamente all’altra “fanno ancora la festa di san Costantino a Sedilo?”. Non tutti sanno che le tre bandiere che vengono prese in consegna dai cavalieri che guidano la scorta in occasione dell’Ardia di Sedilo, una delle più seguite manifestazioni pubbliche della Sardegna, portano l’immagine dei quattro  mori ricamata al loro interno. Essa non viene spiegata, ma deve stare strettamente avvolta al bastone, e si dice che questo sia prescritto da un’antica tradizione. Questa spiegazione appare poco credibile, perché la bandiera è fatta per essere esposta, spiegata al vento, e non vengono alla memoria altre occasioni in cui esse, invece di essere usate per i motivi che le hanno originate, vengono invece tenute nascoste.

La bandiera si è trasformata in un bastone che serve a tenere a distanza gli audaci che tentano di sorpassare i capi della festa, ma è un uso e un senso accessorio, non originario. Si è portati a formulare l’ipotesi, a cui l’osservazione di Gramsci porta una conferma importante,  che la consuetudine di tenere la bandiera avvolta nasca dalla proibizione, imposta dal fascismo, di mostrare il simbolo sardista. Il fascismo in realtà non sarebbe riuscito ad eliminare del tutto la bandiera; si può supporre che ci sia stata una forte resistenza, che ha portato al compromesso in base al quale la bandiera restava, purché non si vedessero “sos morigheddos”. Il fascismo che ama presentarsi come intransigente, in realtà si basa soprattutto sul compromesso, ad esempio con le classi dirigenti dell’età liberale.

Dopo la sua caduta, niente è cambiato, le bandiere sono state ancora affidate ai tre capi corsa e la faccia interna è rimasta ancora nascosta.  Si è continuato a fare in questo modo  probabilmente perché nel secondo dopoguerra la bandiera con i quattro mori veniva individuata come simbolo di parte, il Partito Sardo d’Azione, rapidamente decaduto nel favore popolare. Cercando notizie in rete si trova che a Sedilo sembra si sia convinti che “l’effige dei quattro mori sia stata probabilmente inserita negli anni Sessanta” https://www.lanuovasardegna.it/oristano/cronaca/2018/06/13/news/sedilo-espone-le-bandiere-dell-ardia-1.16960536. Ai nostri giorni i quattro mori sono diventati simbolo identitario per tutti i sardi, perché è stato adottato dalla Regione Sarda, e forse anche grazie alla squadra di calcio del Cagliari.

Questo ci dice molto di come si formano le tradizioni e della forza che ebbe il movimento dei combattenti, capace di imporre la propria bandiera in una delle feste religiose più importanti della Sardegna, che celebra San Costantino, santo protettore dei Giudici sardi del Medioevo. I giovani reduci avevano scelto la bandiera del quattro mori per onorare i compagni morti. Oggi la retorica ha cancellato il mare di dolore che queste morti hanno significato per i genitori, i parenti, il paese intero in cui erano nati. Chi era sfuggito alla morte aveva l’autorità morale per inserire i propri simboli nell’ambito dell’elemento a cui la comunità attribuiva i caratteri della maggiore sacralità, la festa del Santo. La inseriva nella sfera cosiddetta “laica” della festa stessa, che sfuggiva in parte al controllo dell’autorità ecclesiastica, provocando per questo frequenti conflitti di competenza, ma non per questo meno avvolta da un’aura sacrale. Cavalli, corse, palio, poesia e canto in piazza, usanze e riti collegati al cibo e alle bevande, costituivano un contorno essenziale della festa. I giovani maschi che seguivano a cavallo la processione era quanto rimaneva della tradizione “militare” sarda dell’età giudicale e spagnola, prima che lo Stato rivendicasse a sé il monopolio della forza. Nel Regno di Sardegna esisteva una cavalleria miliziana e ad essa Gramsci fa riferimento. Che alla fine dei riti religiosi fosse contemplata una prova di bravura in una corsa spericolata, che avrebbe divertito ed eccitato la folla presente, appare come la conseguenza naturale della presenza dei giovani uomini e di cavalli tenuti a freno a stento. Improbabile la rievocazione di oscure battaglie di tempi dimenticati.

Provando a cercare il momento nel tempo in cui fu imposto che le bandiere rimanessero sempre avvolte, e non distese, si può immaginare questo: il sardo-fascismo mantenne “il culto” dei quattro mori associando a quel simbolo il fascio littorio. La cosa fu accettata da Mussolini, ma i fascisti sardi di stretta fede nazionalista la subirono malvolentieri. Per loro non poteva esistere un’alternativa al tricolore. La svolta nella Sardegna interna, a partire da Nuoro, avviene con la creazione della Provincia nel 1926 e con l’arrivo, a gennaio del 1927, del primo Prefetto, Ottavio Dinale. Costui era amico intimo di Mussolini che aveva deciso di normalizzare la situazione sarda, visto che Paolo Pili si stava guadagnando troppo spazio e veniva osannato come “Il Duce della Sardegna nuova”. Dinale scatena la guerra contro il sardo-fascismo, rappresentato a Nuoro da Salvatore Siotto, in Ogliastra da Virgilio Pirastu, a Isili da Giuseppe Giovannelli. Il nuovo Prefetto li perseguita, sino al punto di fare arrestare e mandare al confino alcuni di loro. Questa è la prima impressione dalle venature razziste della realtà nuorese che il nuovo Prefetto manifesta in una relazione inviata a Roma: la materia prima è ottima: sono popolazioni primitive che non sono mai state prese né da correnti né da visioni politiche, le quali nella loro generosità e verginità sentimentale, vedono, con una specie di stordimento religioso, nel fascismo, la sintesi di tutte le loro speranze. E’ possibile che l’occultamento dei simboli presenti nella bandiera sia stato uno dei risultati della guerra a ciò che rimaneva di sardista nell’azione di Paolo Pili e dei suoi compagni. Che non era poco, se si presta fede alle parole ancora una volta di Gramsci che considera la sua sconfitta come l’eliminazione dalla politica sarda del programma sardista che Pili “cercava di acclimatare nelle nuove forme politiche attualmente dominanti”.


[1] E’ quanto avviene il 3 dicembre 1922 all’avvocato Sotgiu, socialista, costretto dai fascisti a bere l’olio di ricino e a salire su un pilastro per gridare alla folla viva l’Italia, L. Nieddu, Dal combattentismo al fascismo in Sardegna, Vangelista 1979, p. 209.

 

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    2 Comments to “A proposito di bandiera sarda, di Mario Cubeddu”

    1. By Costantino Mongili, 8 aprile 2021 @ 06:20

      Riguardo alle pandele con la stoffa arrotolata, per non vedere i 4 Mori non mi sembra plausibile. sembrerebbe più che altro una questione di sicurezza le bandiere al vento in una corsa come l Ardia sarebbero alquanto pericolose.. Osservando l Ardia a piedi le pandele non sono avvolte all asta vengono avvolte al momento della discesa e dopo i giri intorno alla Chiesa prima della discesa a ‘Sa Mureddaì

    2. By Costantino, 8 aprile 2021 @ 06:07

      Che il fascismo si sia intromesso nella ‘Festa’ di S.Antinu non c’è dubbio,In un articolo dell Unione Sarda del 1922 dopo la descrizione della Festa si legge. La maggior parte dei cavalieri portano ricchi stendardi e bandiere di broccato e i due capitani che dirigono l Ardia hanno uno la bandiera gialla collo stemma del Santo e l altra di seta collo stemma dei 4Mori. e continua…. Da alcuni anni in modo sacriligo, si tenta di istituire altra festa per il ritorno dei mori. La tradizione dice che questa festa è stat istituita in memoria della cacciata dei mori dalla Sardegna e quindi è da ritenersi la festa nazionale dell isola.. Da qualche anno in modo sacrilico si tenta di istituire una altra festa per il ritorno dei mori sotto la protezione di un certo San Emilio. Si tenta anche di costruire un tempio elettorale ove i combattenti trasformatisi in partito Sardo d’Azione scioglerenna i loro voti deponendo nelle meritrici e quadrupe urne una piccola scheda per i lorro affezionatti moretti., Ricordatevi o Sardisti che a Costantino gli apparve lacoce col motto ‘in hoche signo vinves’. Anche a voi apparià umna specie di Croce beffarda e avrà il motto Morus est in camiciola’. Cogli spirit del ciel non si contende.