Antonio Romagnino (1), appunti biografici su di un liberal celebrato nel centenario della sua nascita, di Gianfranco Murtas

 

In un articolo uscito nel sito di Fondazione Sardinia l’11 novembre dello scorso anno annunciavo, con molta convinzione, l’avvio di riflessioni comunitarie fra quanti di Antonio Romagnino erano stati in vario modo discepoli ed amici,

circa la sua ricca esistenza, nell’occasione che andava profilandosi del centenario della nascita avvenuta a Cagliari, nel quartiere di Castello – a un passo dal palazzo De Candia (la famiglia del celebrato tenore Mario, artista del teatro e patrono della causa risorgimentale mazziniana) e quasi dirimpetto alla casa dei De Magistris, il 25 novembre 1917.

Siamo ora all’arrivo, o al primo arrivo. Perché credo che la vicenda umana, oltreché civica ed intellettuale, del professore impegnerà molti – e conterei di essere fra i molti – in un tempo non breve, step by step, come si dice oggi. Insomma, la sua biografia dovrà essere, e sarà, un cantiere aperto che, lavorandoci dentro, consentirà ad ingegneri ed operai di ricostruire, attraverso lui, tanta parte anche della storia moderna di Cagliari e dei cagliaritani.

Nel 2009 abbiamo lavorato, con un apposito e finale convegno svoltosi al Massimo, attorno alla biografia di Francesco Alziator, cagliaritano nato; lo scorso 2016 in diversi, ciascuno a suo modo, abbiamo fatto qualcosa di dignitoso (e più che dignitoso) per onorare la memoria di Francesco Masala, cagliaritano elettivo. L’occasione è stata fornita, in entrambi i casi, dal calendario: il centenario di nascita appunto. Così è stato per l’autore di La città del sole e Folklore sardo, di L’Elefante sulla torre e Attraverso i sentieri della memoria, del compilatore della (fortunatamente) discussa ma certamente anticipatrice Storia della letteratura in Sardegna, del biografo della città di Cagliari antica e moderna, del raccontatore ineguagliabile di eventi magni e di atmosfere di quartiere che soltanto un animo educato potrebbe (per quanto ancora resistente) avvertire; il centenario del poeta di Pane nero e della Lettera della moglie dell’emigrato, dello scrittore e drammaturgo di Quelli dalle labbra bianche, del saggista genialmente letterario della Storia dell’acqua in Sardegna e della Storia del teatro sardo, di S’Istoria, di il riso sardonico, di Il Dio petrolio… (e di “quant’altro”, potrebbe concludersi per entrambi).

Siamo adesso ad Antonio Romagnino e al suo centenario, chiamati a ripensare o considerare certamente i risultati più maturi della sua esperienza umana e dei suoi passaggi pubblici, ma anche a ricostruire, per quanto possibile, i tratti formativi della sua personalità, i pilastri morali della sua vita.

Erano i giorni, quelli che nella famiglia Romagnino venivano allietati dalla nascita di Antonio, che la grande storia aveva fissato nel calendario, per gli eventi drammatici in corso, come fra i più rilevanti dell’anno che era il terzo di guerra, della grande guerra, dell’«inutile» strage secondo Benedetto XV, del faticato compimento nazionale secondo chi si sentiva ancora debitore di patria verso trentini e triestini: alla fine di ottobre l’esercito italiano aveva subito la sua tragica “Caporetto” da un’azione di sfondamento, potente e terribile, messa in atto dal nemico austriaco, e soltanto una decina di giorni dopo in Russia i leninisti, rovesciando definitivamente lo zarismo e quei governi morbidi che cercavano un (impossibile) transito a forme liberali del sistema imperiale ed autocratico, avevano affermato quel nuovo potere assoluto e dittatoriale comunista capace di resistere per ben settant’anni…

Ho sfogliato il nostro giornale cittadino, dico L’Unione Sarda, di quel giorno dolce per gli affetti domestici – dolce perché finalmente compensativo della perdita di Enrico, piccolo di sette mesi soltanto, nell’estate del 1916, dolce per l’evento di vita venuto a contraddire la ferocia programmata sulla scena del mondo. Domenica 25: “Tentativi nemici di traversare il Piave infranti. Il Bollettino di Guerra” (a firma del generale Diaz), “L’asprissima lotta intorno alle Meletta” (sull’altopiano di Asiago), “Consiglio dei ministri”, “Come l’America vuol partecipare al conflitto”, “I massimalisti [di Pietrogrado] chiedono un armistizio. Il Generalissimo [dell’esercito russo] rifiuta”, “Nove aeroplani tedeschi abbattuti”… e altri venti titoletti sparsi in un menabò della prima pagina che pare un cimitero di cattive notizie. Fra le notizie della cronaca cittadina, l’aggiornamento su “Il disastro ferroviario tra Oschiri e Berchidda”, l’elenco nominativo de “I primi profughi” giunti a Cagliari da Napoli e diretti a Sarroch: provenienti dal Veneto, dalle terre invase dall’Austria, in Sardegna avrebbero dovuto ritessere la loro vita semplice; ancora: “Il discorso del Prof. Atzeri nell’inauguraz. dell’Anno Accademico”, “Un solenne funerale per i morti in guerra”, “Asterischi annonari”…

L’indomani e nei giorni immediatamente successivi ancora: “Sul fronte occidentale: il formidabile Bois Fontaine espugnato dagli inglesi”, “Poderoso contrattacco tedesco infranto”, “La valida cooperazione degli aviatori”, “L’equipaggio del sottomarino tedesco affondato da unità americane fatto prigioniero”, “Clemenceau presiederà la prossima conferenza interalleata”, “Per la dichiarazione di guerra degli Stati Uniti all’Austria, alla Bulgaria e alla Turchia”, “L’elezione del Gran Maestro della Massoneria”, e ancora “L’aspra lotta tra Brenta e Piave. Poderosi, ripetuti attacchi nemici vittoriosamente respinti”, “L’inanità degli sforzi nemici per rompere il nostro fronte”, “La situazione italiana secondo un commento inglese”, “Orlando, Sonnino, Nitti, Bianchi e Chiesa partono per la Francia”, “La battaglia di Cambrai. Lo sviluppo dell’offensiva inglese. Il villaggio e il bosco di Bourlon espugnati”, “Sul fronte di Verdun. Forti sistemi di trincee espugnate dai francesi. Oltre 800 prigionieri”, “La pace ed i socialisti danesi”, “Sul fronte macedone”, “L’Intesa di fronte agli ultimi avvenimenti russi”, “Grandiosa dimostrazione franco-italiana a Parigi”, “Nobile manifestazione patriottica a Genova”, “Imponente comizio a Pisa per la resistenza interna”…

Proprio il 26 novembre L’Unione era apparsa condensata in una sola pagina «per un guasto verificatosi all’officina del gas» – sicché, spiegava un box redazionale – «è mancata la pressione agli stabilimenti industriali: le nostre Typograph sono ferme e ci è, perciò, impossibile pubblicare per intiero il giornale. Usciamo […] con i telegrammi più interessanti. Domani, se il guasto sarà riparato, pubblicheremo il giornale in formato grande».

Nella pagina della cronaca cittadina del 27, dunque, ecco lo spazio anche per il testo del discorso del professor Atzeri all’inaugurazione dell’anno universitario: “La protezione della donna e della famiglia nell’ora presente”, e i trafiletti obbligati, a partire da “Il solenne funerale per i morti in guerra” (nella parrocchia di San Giacomo, con l’intervento dell’orchestra civica)…

Dalle manchette pubblicitarie, alimento alle finanze del quotidiano, la notizia degli spettacoli in cartellone presso i cineteatri cittadini: all’Eden “Il presagio” («inarrivabile cinedramma moderno in 4 parti di Augusto Genina») e poi “Il Processo Clemenceau” («portato a visione in due fasi dalla insuperabile artista Francesca Bertini»), all’Iris “La traviata” («dramma passionale in 5 atti di A. Dumas. Protagonisti Francesca Bertini e G. Serena»), e, a giorni, “Per tutta la vita”…

Dai Romagnino (in quanto al filone paterno) di remote radici liguri o forse piemontesi, e dei quali ha scritto, tempo fa, a conclusioni di ricerche d’archivio affiancatesi alle memorie familiari, Ludovica – secondogenita del professore e di Anna Maria Pes – stampando il suo Per li rami dell’albicocco, venne nel 1917 quella vita destinata ad intrecciarsi con innumerevoli altre, lungo quasi un secolo intero, nella città e fuori, lasciando impronte certe di protagonista, non soltanto di testimone, lasciando tracce e anzi prove di lealtà, partecipazione, magistero.

Serramannese la madre, educatrice nata, santa custode dei libri del figlio combattente in Africa e fatto prigioniero per due anni in America, nel campo di Weingarten, nel Missouri: salvati quei libri, il solo patrimonio, nella città devastata e quasi distrutta dai bombardamenti nell’apocalisse del 1943, i libri che sarebbero stati la linfa della ripartenza, della vita seconda fase.

Alle elementari, dall’autunno 1923, presso la scuola di Santa Caterina – che era stata la scuola, affacciata al bastioncino, anche di Francesco Alziator, la scuola adesso anche di Gianni Agus compagno di banco – e per un anno anche al Satta, meta felice perché prima immersione – Giorgino a parte, e mercato a parte – nella città bassa, fuori dai recinti castellani. Dal 1928 al ginnasio e poi al liceo, al Dettori sorvegliato dall’erma di un Dante forse incompreso (nonostante la predicazione del professor Valle e soprattutto del professor Azzolina), con abbreviazione dei tempi per la maturità (sette anni invece di otto) per… troppo profitto, nel quartiere della Marina. All’università in facoltà di Lettere (ed anche a Scienze Politiche), nell’edificio ombreggiato dalla torre dell’Elefante e dal collegio già scolopio fattosi, per gli espropri anticlericali del risorgimento, tribunale e corte d’assise… Con Giordano Bruno, per di più, come sentinella, nel nicchione dell’atrio, a garantire ancora, nonostante il fascismo, la conquistata laicità della istituzione.

Studente e collaboratore di Sud-Est, redattore capo della rivista del Guf cagliaritano, cronista ma anche concorrente ai littoriali della cultura e dell’arte, insegnante giovanissimo, ventenne, ventunenne appena, ad Iglesias, e poi volontario universitario carrista a Siena, frequentatore della biblioteca universitaria della città, i pasti alla casa dello studente e la voglia di capire i tempi, pur ancora secondo gli imperfetti schemi forniti alla sua formazione dal regime di dittatura, che già aveva esitato le leggi razziali; poi alla scuola Allievi Ufficiali di Bologna, ed ufficiale di complemento nella divisione Centauro, e il nord Africa…

In vista della giornata che gli sarà dedicata il prossimo sabato 25 novembre – di mattina al Dettori, il pomeriggio nell’aula magna del contiguo istituto Eleonora d’Arborea – vorrei presentare in rapida successione, in questo sito di Fondazione Sardinia, alcuni contributi, forse laterali ma certamente non privi di un loro merito, alla biografia del professore.

Già in altre occasioni ho proposto dei capitoli tratti dalla sua tesi di laurea discussa nel 1939: segnatamente il quarto – “Le voci di cessione della Sardegna nelle ripercussioni, nei commenti, nelle polemiche della stampa” – nel sito Edere Repubblicane, il 15 gennaio 2013, rilanciato sotto il titolo “Mazzini e i repubblicani, la questione della cessione della Sardegna alla Francia nella tesi di laurea di Antonio Romagnino sul giornalismo politico isolano di metà Ottocento”, e l’ultimo“La stampa sarda e gli altri problemi dell’Isola. Conclusioni” – in questo sito di Fondazione Sardinia, l’11 novembre 2016, col titolo “S’avvia oggi l’anno del centenario”.

Oggi torno in argomento, ancora la tesi di laurea, non senza aver ricordato che il titolo complessivo del lavoro era Lineamenti storici del giornalismo politico sardo dal 1848 al 1870 e che l’indice dei capitoli era il seguente: I, Il giornalismo politico sardo avanti le libertà costituzionali; II, Le Riforme del ’48 e le ripercussioni sulla stampa. Il Giornalismo sardo del ’48; III, Storia dell’Indicatore Sardo. La Gazzetta Popolare; IV, Le voci di cessione della Sardegna nelle ripercussioni, nei commenti, nelle polemiche della stampa; V, La stampa sarda e gli altri problemi dell’isola. Conclusioni.

Di tanto riespongo stavolta il capitolo introduttivo, che guarda alle prime prove di un giornalismo molto sui generis, certamente premoderno, che si sviluppa lungo una settantina d’anni e collega la stagione ante-rivoluzione (sia quella francese che quella sarda ed antipiemontese) alla fusione perfetta del 29 novembre 1847.

Gli annuari universitari danno conto dei nominativi di chi, nella stessa sessione di Antonio Romagnino e nella stessa facoltà di Lettere – suo collega e forse anche amico –, concluse le proprie fatiche universitarie, nonché degli argomenti portati in discussione. M’è occorso di sfogliarli questi libroni quasi ammuffiti. Eccoli dunque, nomi e temi, rivelati qui come per ideale omaggio ad una generazione cui gli eventi della storia, le intervenute avvisaglie della guerra hitleriana cioè, imposero, già in quell’estate 1939, di arrestare immediatamente le giuste soddisfazioni del lauro e porre domande difficili al suo domani: Elena Marongiu, Le strade romane in Sardegna; Livia Piroddi, Oristano dalla sua origine sino alla fine della dominazione spagnola; Sara Cocco, Rapporti fra Stato e Chiesa da Vittorio Amedeo II a Carlo Felice; Alma Sanna, Giovanni Marghinotti; Filomena Loria, L’opera del Bogino in Sardegna dal 1759 al 1773; Giuseppe D’Alessandro, Precedenti e sviluppi storici dell’economia Sabauda in Sardegna con particolare riguardo alle riforme di Carlo Alberto; Maria Raimonda Casula, L’invasione longobarda nella penisola italica e le imprese navali longobarde in Sardegna.

 

Il giornalismo sardo nel buio della restaurazione

Non si può parlare prima del 1848 in Sardegna di vero e proprio giornalismo politico, rigide essendo le misure restrittive del governo che ne impedivano ogni libera vita.

Le condizioni della stampa isolana furono per molto tempo analoghe a quella della Spagna, ove per lungo periodo si potevano contare solo quattro periodici, ben poca cosa per un così vasto paese.

Comunemente da tutti viene ammesso che il primo giornale ad apparire nell’isola sia stato il Giornale Enciclopedico che vide la luce nel 1777 durante il regno di Vittorio Amedeo III. Il titolo ne compendia il programma a cui rimase fedele, e per gli argomenti trattati esula dal mio tema.

Con maggiore probabilità di accostarci al vero, possiamo citare come primo germe del nostro giornalismo politico quel Gazzettino Ebdomadario che uscì nel 1793 sotto la direzione del piemontese avv. Sartoris. Sebbene non si discostasse di molto dal primo nostro periodico suaccennato, pure la descrizione dell’invasione francese nell’isola, ce lo fa apparire più del primo come un più degno iniziatore del giornalismo politico.

Ma saremmo ancora di più nel vero se ricercassimo piuttosto l’origine vera di questo nel Giornale di Sardegna che si diffuse ben presto per tutta l’isola. Il Manno lo giudicò “uno dei più curiosi monumenti del tempo” (Appendice per gli anni dal 1793 al 1799 alla Storia della Sardegna Capolago – Tipografia Elvetica – 1847 pag. 433) e non doveva essere cosa del tutto infelice per quei tempi se si meritava ampie lodi da uno dei migliori periodici del continente quale il Giornale diplomatico universale di Firenze.

La forma non è certo delle più moderne: mancano titoli e divisioni in rubriche; ma ogni numero offre un lungo discorso che occupa tutto lo spazio disponibile del giornale.

Soprattutto di informare il pubblico delle deliberazioni stamentarie era lo scopo del giornale, che non evita però con ciò le polemiche con Sassari, che oppose al giornale di Cagliari una sia pubblicazione dal titolo Vero giornale di Sardegna, forse neppure stampato ma semplicemente manoscritto, in cui veniva fatta la parodia del giornale di Cagliari. Ma non era il tempo di affidare alla pubblica stampa gli affari riguardanti il pubblico governo, per cui la vita dei giornali suaccennati si fa difficile fino a decisamente scomparire.

E le ultime pubblicazioni nostre del sec. XVIII sono ben altro che pubblicazioni politiche ma si riducono ad essere Almanacchi, come l’Almanacco Parnasiano (1795) e il Calendario Sardo (1798).

Prima che possa nascere un nuovo giornale passano ben 16 anni, allorché nel 1812 nasce la Gazzetta politica. Veniva scritto da certo Adolfo Palmerio, di dubbia nazionalità, o polacco o inglese, che si schierò decisamente contro Napoleone, chiaramente dimostrandosi avverso ad ogni riforma.

Il Manno, che fece parte della redazione, avuto chiaro sentore dei principi del suo direttore, si ritirò sdegnato. La vita di questo nuovo periodico fu breve come quella dei predecessori.

Dopo questa breve parentesi è fatale che si ritorni ai calendari e agli almanacchi, mentre in altra parte dell’isola si assiste ai tentativi rimasti vani per la mancanza di associati del Masala e dell’Azuni, il primo di dar vita ad un giornalismo letterario (1807), il secondo ad un giornalismo scientifico (1821), che doveva far nascere la Biblioteca Sarda, prudente organo, i cui argomenti trattati sarebbero stati di fisica, medicina, chimica, agricoltura, e che avrebbe evitato espressamente qualunque cenno politico o teologico.

Il suo motto era “Nihil de Principe, nihil de Deo”.

Nel 1827 appare un vero e proprio giornale dal titolo Giornale di Cagliari. Il formato è quello del Giornale di Sardegna ma in esso per la prima volta troviamo la divisione in rubriche e una maggiore varietà di articoli.

Lo dirige Stanislao Caboni che fu mosso nella sua opera da un vero e forte amore di patria.

Si occupa variamente di questioni diverse, dalle agricole alle industriali, dalle letterarie alle commerciali. Merita ugualmente di essere annoverato tra gli organi politici, perché la prima parte è tutta dedicata alle notizie straniere ed interne e riporta gli editti e i pregoni governativi.

Per la sua attività si meritò ampie lodi tra gli isolani e i continentali e visse più a lungo dei giornali precedenti durando per tre anni.

La fortuna di questo giornale è principalmente dovuta al suo direttore, uomo di grande talento, che buon letterato e magistrato, ebbe chiara la visione delle tristi condizioni dei suoi conterranei, che per lungo tempo soggetti alla dominazione spagnola, male erano assuefatti all’uso della lingua madre.

Riabituarli allo studio della lingua italiana non fu uno dei meriti minori di questo periodico.

Un altro giornale apparve di lì a poco: la Gazzetta di Sardegna diretta dal Prof. Giovanni Meloni, che nata il 18 Agosto 1832 durò sino al 15 Agosto 1835 e pubblicò notizie politiche, economiche, di curiosità, seguendo in tal modo da vicino il programma del Giornale di Cagliari.

Nacque contemporaneamente all’Indicatore Sardo, di cui ci occuperemo più oltre, e rinato nel 1852 (6 luglio) scomparve insieme al giornale col quale era nato, il dicembre del medesimo anno.

Nonostante che le leggi di restrizione della libertà di stampa siano sempre rigide tra il 1835 e 1840 si assiste nell’isola ad un vivace risveglio intellettuale che se non porta alla luce organi politici, [consente] comunque pubblicazioni degne di nota per l’apporto veramente grande alla conoscenza e al miglioramento delle condizioni dell’isola.

A migliorare le attività industriali ecco nascere tra il 1835 e il 1839 il Compilatore dl cognizioni utili di Stefano Todde, e in diversi periodi, nel 1836, nel 1837 e nel 1841, le Memorie dell’Accademia Agraria Economica.

E notevole valore scientifico hanno puro gli Annali di Giurisprudenza Sarda (1838-41) e la Biblioteca Sarda diretta dal p. Vittorio Angius, che trattò con vivo interesse di diverse materie, dalle scientifiche alle storiche e alla letterarie.

Ma a capir bene la rivoluzione che si attua nella stampa nell’isola dopo la ripresa del 1848 è necessario accennare ai due periodici che la preparano e la preannunciano. Sono essi il Promotore di Sassari (1340-41) e la Meteora (1843-45), vita breve ma feconda di germi, in cui si sentono pulsare le nuove idee a lungo tenute latenti dalla più feroce reazione.

Il Promotore rievoca nel primo numero la vita del famoso Caffè milanese e tale riesumazione vuol riuscire lieto auspicio per l’isola.

Il suo motto è il ciceroniano “ad docendum parum, ad impellendum satis”. Tratta quasi esclusivamente argomenti letterari, ma l’aver nel programma proclamato di volere scuotere gli isolani e di promuovere il progresso della Sardegna per porla al livello dello più colte nazioni e giovare all’isola che per ragioni politiche e geografiche è parte d’Italia, ci induce a ritenerlo come uno degli organi più decisamente contrari al vecchio ordine di cose e decisamente volti a creare quell’atmosfera di libertà che solo le riforme del 48 dovevano portare.

Fu questo giornale la palestra del Sulis che vi fece le prime armi e fu tale l’entusiasmo che l’organo portò nel trattare ogni più diversa questione da meritarsi giustamente il favorevole giudizio del Siotto che lo chiamò “l’ottimo fra tutti i fogli pubblici” isolani -  La Meteora di Cagliari fu forse un organo più innovatore del precedente.  “Giornale sardo di scienze, lettere, arti e varietà”, come si annunziava, usciva per la prima volta il 14 Gennaio 1843.

Portare la Sardegna ad abbeverarsi alle grandi correnti del pensiero italiano ed europeo è il nobile sforzo dei redattori. Vengono così pubblicati larghe tradizioni di prose e versi di Victor Hugo, si riportano brani di Mittennaier, Thibaut, Savigny, Cousin e dei nostri Balbo e Cantu….

Viene recensito nel fascicolo 19 gennaio 1844 il Primato del Gioberti e se ne loda il forte amor di patria, pur evitando di giudicarne la dottrina e il pensiero. Con quella del Canonico De Castro, che sarà una delle figure più eminenti del periodo seguente, è pure attiva la collaborazione di Pasquale Tola, che si occupa della Storia moderna della Sardegna del Manno e di Alberto De Gioannis, che recensisce la Storia letteraria del Siotto Pintor.

L’organo ebbe un gran numero di aderenti e riuscì vivace portavoce delle novelle idee, che maturate nelle terre d’Italia e d’Europa portate nel suolo dell’Isola, dovevano ridestarne le nascoste ma non assenti energie.

 

 

 

 

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