Da Bacaredda a Marcello, dalla protesta antimunicipale alla protesta antigovernativa, di Marco Carta

Con una premessa di Gianfranco Murtas.

I disordini popolari del maggio 1906, di cui fu giusta (?) vittima l’amministrazione Bacaredda, vennero causati dal carovita e dalla crescente disoccupazione a Cagliari. In parte non marginale, certamente non esclusiva, tanto il rincaro dei prezzi quanto la penuria dei posti di lavoro ebbero, a loro volta, la propria origine nei processi di modernizzazione in corso: si pensi alle celle frigorifere che consentivano una più duratura conservazione delle derrate, evitando così la svendita del rimanente a fine giornata, e si pensi ai carrolanti che nei loro trasporti dall’hinterland vinicolo allo scalo portuale furono sostituiti dai vagoni della Tramvia del Campidano (prima Devoto, poi Merello).

Su questi risaputi motivi di malcontento si innestarono altre ragioni di protesta antimunicipale da parte del ceto medio impiegatizio e di tanto fu portavoce e forse amplificatore certo spirito radicale della sinistra politica cittadina, nella persona in prima battuta dell’avvocato e professore Umberto Cao (consigliere comunale e proprietario del quotidiano “Il Paese”, che uscì a Cagliari per tutto il 1905 e il 1906, e anche nei primi mesi del 1907: il giornale finì in contemporanea con il processo che per diffamazione fu intentato dal sindaco, o ex sindaco, Bacaredda e che si concluse con la condanna dell’imputato, ancorché soltanto per il minor reato di ingiurie).

Come anche di recente si è qui delineato, cominciò allora, con le dimissioni della giunta presieduta da Ottone Bacaredda (e però anche dell’intero Consiglio comunale) nella stessa primavera del 1906, la lunga vacanza dal potere del sindaco-mito di Cagliari, il quale – dopo una breve esperienza assessoriale e la presidenza dell’Ospedale – aveva assunto il peso della suprema magistratura civica nell’autunno 1889 per tenerla fino al 1900. Dopo una parentesi di circa tre anni, quando, eletto nel collegio di Cagliari che era stato dell’area liberale avversa a Cocco Ortu (identificandosi per il più con il “partito” di Francesco Salaris), visse, scontento, la vita parlamentare, egli era tornato al governo comunale nel 1905, rilevandolo dal suo sodale Giuseppe Picinelli (del quale peraltro, con apparente retrocessione, si era reso collaboratore con un incarico assessoriale).

La rinuncia da parte della sua giunta a proseguire, dopo i fatti di quel maggio che fu perfino luttuoso, conobbe in verità qualche tentativo di assorbimento che fu però, tutto sommato, sfortunato, fino a farsi definitiva nel corso del 1907. Fu allora che, attraverso altri passaggi commissariali, si arrivò ad uno stabile governo civico affidato a Giovanni Marcello, un ingegnere (figlio dell’avvocato Salvatore, che era stato – per il “partito” salariano – sindaco anche lui negli anni ’80 del secolo precedente), più volte assessore nelle giunte tanto Bacaredda quanto Picinelli.

Meriterebbe a questo punto evidenziare come – forse per qualche refuso nella stampa – sia le tabelle presentate da Giancarlo Sorgia e Giovanni Todde nel loro egregio lavoro “Cagliari sei secoli di amministrazione cittadina” (pubblicato dal Lions club cagliaritano nel 1981) che quelle riportate dal Municipio nei vari siti internet da tutti oggi consultabili portino ampie imprecisioni, soprattutto temporali, circa la sequenza degli esecutivi d’inizio Novecento, arrivando perfino ad annullare (neppure citandola) l’amministrazione Marcello – che pur durò mille giorni, mica poco! – dentro una longeva e inesistente giunta Bacaredda data addirittura quadriennale, dal 1907 al 1910. Pasticci che andrebbero corretti.

Qui in sintesi estrema, ma coprendo almeno parte di quel vuoto, dovrà dirsi che alla cennata rinuncia del maggio 1906 fece seguito, nel governo cittadino, l’amministrazione commissariale di Angelo Sanguino – così per tre mesi, fino alle nuove elezioni – e, dal luglio dello stesso anno, una nuova giunta Bacaredda della durata di appena un mese. Ecco quindi altre gestioni commissariali – prima ancora Sanguino, poi Emilio Podestà.

Sarà in quei mesi, proprio all’inizio del 1907, si che svolgerà il processo agli imputati per i moti del maggio. Teatro del dibattimento, la chiesa di Santa Restituta, a Stampace. Un altro processo – quello contro Cao suscitato dalla querela di Bacaredda – si terrà poche settimane dopo avendo come accompagnamento o corollario, se si vuole vederla così, un doppio episodio: uno storico-documentario, vale a dire la stesura di quell’”Ottantanove cagliaritano”, che Bacaredda stesso darà alle stampe però soltanto due o tre anni dopo, nel 1909, con la ricostruzione – ovviamente partigiana – degli eventi luddisti di quel maggio di sofferenza; un altro tutto politico, e cioè l’incontro fra Bacaredda e Cocco Ortu, o fra i rispettivi partiti. (Non si dimentichi il punto di partenza: la vicenda politico-amministrativa di Bacaredda e del suo partito della Casa Nuova nasce, nel 1889, nel segno della opposizione ai cocchiani, i quali utilizzeranno per tre lustri ”L’Unione Sarda” come strumento di polemica verso la giunta). Nella tema del comune avversario social-radicale ormai presentatosi sulla scena civica come interprete di istanze e delle insoddisfazioni insieme popolari e dei ceti piccolo borghesi, i due leader del liberalismo cagliaritano ricompongono le antiche diffidenze od avversioni, iniziando così un condiviso percorso nel dichiarato interesse della città.

Riprese dunque Bacaredda – vincitore effettivo delle elezioni di marzo, anche se quinto classificato nella lista delle preferenze personali  – e il suo nuovo esecutivo durò, nel corso di quel 1907, soltanto pochi altri mesi (fino a dicembre). Altra rinuncia, e rinuncia definitiva, come detto, forse suggerita da nuove tensioni sul fronte degli alloggi popolari che da sinistra si reclamavano con crescente insistenza e tardavano invece a venire.

Finalmente toccò a Giovanni Marcello mostrare il suo valore, del quale peraltro ampie prove si erano avute nel corso dei mandati assessoriali da lui ricevuti negli anni.

L’articolo che segue, a firma di Marco Carta, recupera quelle pagine travagliate della rinnovata Municipalità cagliaritana, nel più ampio quadro descrittivo della città ancora “en marche” e della biografia pubblica di Ottone Bacaredda.

Il focus è sulle fatiche amministrative in capo al nuovo sindaco Marcello – si vedrà quanto gravi e impegnative –, fino alla volontaria interruzione motivata dalla protesta antigovernativa che unì le rappresentanze del tempo per i ritardi nell’adeguamento del servizio ferroviario isolano. (gf.m.)

Cagliari 1908, una nuova risalita

Il 31 gennaio 1908  l’assessore Accardo presenta il bilancio preventivo per l’anno appena iniziato. Il problema delle case popolari non è stato ancora risolto ma molto si cerca di fare per normalizzare una situazione che si trascina ormai da anni,  alla quale  è indissolubilmente legata quella igienico-sanitaria. Ancora vivi sono, a distanza di anni, i ricordi dei moti e di chi li ha fomentati. E’ l’occasione per ricordare, sia pure indirettamente, gli eventi del 1906 come frutto dell’impazienza, la stessa che ancora tallona – da parte dell’opposizione social-radicale – la giunta:

«Uomini troppo fidenti vorrebbero affrettare il cammino verso un ideale di perfezione, in modo da risolvere di un tratto i più complessi problemi che preoccupano oggi le metropoli più progredite; vorrebbero trasformare, quasi per incanto, nella nostra città uno stato di cose che è il prodotto storico economico dell’ambiente.  Non si distruggono con un moto le vestigia di secoli… Se la via del progresso è infinita e tutti vogliono percorrerla senza esitanze e senza pause, tutti dobbiamo commisurare il viaggio  alle nostre forze e ai nostri mezzi, avventurandoci sin dove la prudenza lo consiglia – non vogliamo essere né paurosi né avventati; saremo prudenti e coraggiosi – batteremo la via del progresso, ma riteniamo non sia prudente consentire d’un tratto proposte che vorremmo attuare anche noi se non fossimo convinti che il farlo potrebbe scuotere questa solidità di bilancio faticosamente conquistata da una oculata amministrazione».

 

Richiama alla memoria, Accardo, l’amministrazione dell’inossidabile (ma ora senza incarichi) Bacaredda che, per quanto attaccata, negli anni precedenti ha governato saggiamente il bilancio del Comune ben sapendo come un bilancio sotto controllo sia la premessa di qualsiasi azione riformatrice, compresa quella abitativa. Certo è evidente l’urgenza di un piano edilizio ed è ben possibile farsene una chiara idea semplicemente osservando le vie di Castello e i suoi sottani. E’ necessario eliminare il gran numero di malsani alloggi che danno rifugio ad un esercito di famiglie cagliaritane.

Nella sua relazione Accardo ricorda che questo problema, tanto sentito in città, non è solo cagliaritano ma si ripete in altri importanti centri urbani ed in capitali di tutta Europa, tra le quali Roma, sottolineando la drammaticità della situazione proprio nella città eterna per la sua dimensione demografica. Occorre quindi promuovere e non ostacolare l’iniziativa privata, favorirla con aiuti diretti e considerare il problema dal punto di vista industriale per cercarne industrialmente la soluzione più economica di modo che la pigione rappresenti l’equo corrispettivo del capitale impegnato.

Questo ideale percorso è frutto dell’esperienza dell’Inghilterra  e di una legge che aveva conferito ai suoi comuni il diritto di abbattere le case insalubri e di ricostruire nuove abitazioni per proprio conto. L’Istituto Autonomo potrebbe permettere non solo di evitare di cadere nella pericolosa municipalizzazione delle case popolari, ma anche di far convergere le più vitali energie cittadine per raggiungere lo scopo a cui tutti mirano: l’elevazione del livello igienico del capoluogo.

L’indomani – è dunque il 1° febbraio 1908 – viene eletto sindaco l’ing. Giovanni Marcello. Nella seduta del 18 marzo questi, riferendosi alle varie insistenze da parte dei consiglieri dell’opposizione, assicura che le pratiche per le case popolari si trovano ora presso il Consiglio di Stato e che la questione che così tanto preme a tutti i cagliaritani sarà presto portata dinanzi al’assemblea civica.

Nella stessa seduta va in discussione l’impianto del gazogeno municipale. Marcello informa il Consiglio sui costi del progetto approntato dall’ing. Sospizio: sono circa 1.800.000 lire per la costruzione dell’impianto e per le collegate nuove opere di canalizzazione. Sarebbe però necessario un esame accurato del progetto, ed esso andrebbe compiuto dai tecnici, non dal Consiglio comunale che manca della necessaria competenza. Propone quindi che ad occuparsene sia la stessa commissione che si era già occupata della questione dell’illuminazione, magari  integrata dai nuovi consiglieri tecnici che non ne facevano parte in precedenza.

Il consigliere Umberto Cao, dalla minoranza, chiede che venga stabilita una data di riferimento. Marcello, per riguardo verso la commissione, non è dello stesso parere ma gli offre la possibilità di seguire lui stesso il lavoro dei commissari per assicurarsi che questo venga portato a termine nel minor tempo possibile.

La proposta di acquisto delle due aziende è all’ordine del giorno. Il budget si aggira sui 4 milioni di lire,  cui occorrerà aggiungere circa 300.000 lire per i nuovi lavori.

 

Il riscatto dell’azienda bina Gas-Acqua

Il primo cittadino propone un referendum per decidere quale sia la strada più giusta da percorrere. Si dovrà scegliere tra tre opzioni: acquisto delle aziende, nuovo accordo con le società, esecuzione del progetto sospeso. Certo è che debbono essere i cittadini a decidere, implicitamente autorizzando l’ingente spesa che ne deriva.

Il referendum sarebbe fissato per il 19 aprile, ma non tutti sono d’accordo, e tra questi è ancora una volta l’avv. Cao. Egli afferma l’illegalità del referendum e invita la giunta a mantenere viva la trattativa con le compagnie interessate, con l’intento di ottenere migliori condizioni di acquisto (un miglior prezzo e una lunga rateazione del prestito necessario al Comune che eviti, per quanto possibile, un salasso alle casse municipali). Le chiede anche di spingere innanzi, per intanto, i lavori del gazometro già solennemente deliberati dal Consiglio.

A Cao risponde il collega Virgilio Piga, socialista, il quale ne combatte le obiezioni ricordando quanto sia invece necessario portare rispetto al corpo elettorale, soprattutto per una questione tanto importante che riguarda la cittadinanza tutta. Il Consiglio, ad ovvia eccezione di Cao e Guidi – entrambi esponenti radicali –, conclude il dibattito votando a favore del referendum.

Si è trattato fin qui di un lavoro lungo e tenace che trova ora, almeno sembra, il plauso della cittadinanza. Di tanto si fa eco anche L’Unione Sarda , che elogia la proposta referendaria in un articolo del 9 aprile:

«…non piccola lode merita quindi la questione del referendum; se essa è riuscita a scuotere dalla tranquilla indifferenza, che pare la caratteristica del nostro spirito, per le cose del Comune e della Nazione. Infatti, da venti giorni a questa parte, con una salutare ripercussione in tutta la provincia, la questione dell’acqua e del gas è l’argomento di tutte le discussioni pubbliche e private; non c’è associazione che non si sia riunita appositamente ed esclusivamente per discutere sul referendum e sul riscatto; il grave e complesso problema è stato esaminato, non più con quel solito facilismo parolaio, che riduce ad un vaniloquio ogni interesse collettivo, ma con serietà di propositi e con sicurezza di studi: insomma, l’iniziativa della Giunta ha vinto l’apatia dei più ed ha svegliato, si potrebbe dire creato, la passione della vita pubblica anche in coloro i quali ritenevano che le questioni comunali fossero il monopolio di pochi iniziati».

Dopo settimane di discussioni tra associazioni e stampa e finalmente il 6 maggio 1908 vengono resi noti i risultati della pronuncia popolare: tra i 1.835 elettori sono stati solo 556 i votanti e tra questi i favorevoli sono stati 286, poco più della metà. Le aziende vengono quindi riscattate dal Comune e, nonostante gli appena 19 voti di differenza fra i sì ed i no, il sindaco Marcello può sentirsi soddisfatto: Afferma infatti:

«Onestamente convinto della convenienza e della opportunità della soluzione proposta, sento e ne sono orgoglioso, di poter trascurare l’accusa, che in modo più o meno discreto mi è stata fatta, d’essermi lasciato cogliere da una febbre di popolarità. Contro questa febbre da lungo tempo ho iniziato e continuo sempre una cura preventiva, e molto amaro chinino ho ingoiato: l’infezione non mi può dunque cogliere. Non l’infezione ma neppure la paura dell’infezione, quella pericolosa paura che spesso fa respingere senza maturo esame obbiettivo le idee più pratiche, le aspirazioni più giustificate, solamente perché possano eventualmente corrispondere ad idee ed aspirazioni che sono comprese nel programma dei partiti popolari. Certo è immorale lasciarsi trascinare, sotto la pressione della folla, a deliberazioni che in coscienza si reputino funeste».

A giugno si ripresenta in tutta la sua urgenza il problema del rincaro dei viveri. Ciro Guidi solleva la questione accusando la giunta di non aver fatto nulla per porvi rimedio. Il problema, va detto, non è facilmente risolvibile dalle competenze specifiche della Municipalità, e presenta aspetti purtroppo comuni a quelli emersi in numerose altre città del continente. Ogni capoluogo conosce ormai da tempo migrazioni importanti che dalle campagne riversano nel proprio bacino urbano migliaia di persone che cercano fortuna e lavoro. Questo spiega, unitamente all’aumento dei prezzi (data la crescita della domanda), anche quello delle pigioni. Inutile quindi che l’opposizione attacchi senza portare proposte valide e utili ad una celere soluzione.

Il Consiglio comunale istituisce una commissione che dovrà studiare a fondo il problema. Tra le idee avanzate c’è quella solita del calmiere, che però andrebbe a  colpire solo l’ultimo anello della catena distributiva. Pare quindi che la sola proposta valida sia quella di agevolare le cooperative di consumo con ogni mezzo, purché ragionevole, in modo tale che siano messe in condizione di fare una lecita concorrenza a quei commercianti che abusano o speculano… La proposta verrà considerata attentamente dal Consiglio comunale.

A fine dicembre il definitivo riscatto delle aziende gas e acqua viene deliberato formalmente (così nella seduta del 21). Una grande conquista per Marcello e la sua giunta che hanno così messo nelle mani della città una grande risorsa atta ad aiutare e ad accompagnare Cagliari nella sua crescita ed è, come riconosce L’Unione Sarda – testata ormai tutta municipalista «una vita tutta nuova, ricca di promesse rampollanti dalla realtà delle cose che sta per sorgere nella nostra città, la quale non può non seguire con simpatia e con plauso l’opera sapiente dell’amministrazione Marcello, che seppe felicemente risolvere il più grande problema cittadino».

 

Problemi e soluzioni, anno 1909

Libero da stringenti impegni istituzionali, Ottone Bacaredda è tornato in pieno all’insegnamento nella sua facoltà di Legge e non si nega agli inviti che riceve dal circolo universitario a intrattenere i soci con le sue dotte conferenze. Eccolo così rievocare le fonti della legislazione dei secoli diciottesimo e diciannovesimo, e confermare come l’attuale generale lamento per il caroviveri sia l’eterno ritorno di quei tempi, precisando che i provvedimenti proposti dagli amministratori, anche nella recente congiuntura cittadina, non avevano avuto (né avrebbero potuto avere) la possibilità e la potenza di mutare il corso dei fenomeni economici determinati dalle strutturali condizioni politiche e sociali dell’ambiente. Argomenta che i rimedi offerti si spegnevano nelle dimensioni della “disagevole” carestia accompagnata e forse aggravata dai tumulti popolari, fino all’esaurimento delle risorse della pubblica finanza.

In città si parla di spese non più derogabili. Il preventivo del 1909 include interventi per la viabilità nella zona della chiesa del Carmine (l’area industriale-commerciale del viale San Pietro in continua espansione), la pavimentazione del largo Carlo Felice (nel quale, per fortuna, il Partenone ha sostituito il mercato a cielo aperto). Per le case popolari viene stanziato il saldo di 40.000 lire in modo tale da raggiungere il capitale di 100.000 lire necessario all’Ente Autonomo per avviare i cantieri. Al dormitorio pubblico si dovrebbe provvedere con i fondi raccolti dalle sottoscrizioni per il monumento ad Umberto I: il sovrano ucciso a Monza non avrà il suo busto ma, in compenso, tanti poveracci avranno un letto nel quale riposare.

In città il problema del pane pare irrisolto e irrisolvibile, ed irrealizzabile pare il sogno di una cooperativa di panettieri specializzata in pane igienico e disposta a non rubare sul prezzo (perché è vero che la farina aumenta, ma è anche vero che aumenta a causa del cartello dei fornai). L’idea è quella di acquistare la materia prima per la panificazione, opponendo all’offerta una domanda con capacità negoziale non inferiore. Viene quindi indetto un comizio che, causa la pioggia, si tiene sotto il loggiato del mercato. L’obiettivo degli operai è di trasformare in cooperativa l’attuale forno municipale per poter così aumentare la capacità produttiva. L’idea piace al sindaco Marcello che chiede quindi di presentare un progetto compiuto capace di raccogliere anche il favore dell’intera giunta e del Consiglio, e che possa anche dare risposta alla duplice esigenza di occupare i panettieri disoccupati e calmierare il mercato.

La riunione del Consiglio comunale del 28 aprile porta ancora una volta all’ordine del giorno  il problema igienico, legato in qualche modo a quello edilizio. Esso riguarda specialmente l’area sopra e sotto il Corso e, forse più urgentemente, la zone di Villanova dove si costruisce senza alcun criterio urbanistico. Né manca di riproporsi l’emergenza abitativa di Castello, dove gli ampliamenti sono possibili soltanto abbattendo le vecchie case prive di un qualsiasi valore storico. La città è quasi bloccata dalle sue stesse vie e spesso per percorrere brevi tratti in linea d’aria è necessario effettuare lunghi giri. Le idee atte a risolvere questa situazione sono tante: c’è chi propone la costruzione di una strada che  attraversi Tuvixeddu e di un tunnel che, bucando il quartiere Castello, colleghi il burrone di San Guglielmo e il Terrapieno. Il materiale di scarto di quest’ultima opera potrebbe servire, in logica di… riciclaggio, come pietra da costruzione.

Sembra indubbio che la cittadinanza viva un diffuso malessere al quale molti cercano di sfuggire addirittura con le più tragiche delle soluzioni. Quasi ogni giorno la stampa riferisce di suicidi: c’è chi si spara, chi si getta dai bastioni, chi si immerge nelle gelide, e mortali, acque del porto. La statistica, forse perfino incompleta, conta un a fine anno un centinaio di casi. La mancanza di lavoro fa sempre più vittime e non basterà certo dare un tetto costruendo case popolari se gli operai non avranno di che pagare la pigione. La crisi sociale si acutizza e sono sempre più numerosi i sardi (e anche i cagliaritani) che tentano la fortuna con la partenza per l’America: 25 dollari da cumularsi al biglietto del viaggio sono la cifra che devono risparmiare coloro i quali vogliano tentare la traversata. Senza questa cifra in tasca essi rischiano di venire respinti già al momento dello sbarco.

Eppure… nonostante questo esteso disagio sociale, c’è chi riesce, in controtendenza, a dare motivi di speranza circa la ripresa. Si aprono nuovi negozi, il commercio sembra voler proporsi come il volano d’un recupero di chance materiali e immateriali. Sono azzardi forse tentati da qualche temerario che non rinuncia a combattere e vuole offrire almeno un esempio di coraggio. Perché davvero di coraggio c’è bisogno in un quadro di paralisi delle attività private come anche, in parte almeno, di quelle pubbliche. Ferma l’edilizia, nonostante l’agenda presentata dalla stampa non manchi certamente di segnalare questa o quella necessità, foss’anche di manutenzione straordinaria, ora per  il palazzo dell’intendenza di Finanza ora per la facciata del convento di Santa Rosalia.

Marcello, uomo risoluto e dalla parlata schietta, riceve in municipio un gruppo di operai e promette che prestissimo si avvieranno i lavori della fognatura e quelli sul bastioncino, dove fra l’altro s’è alzato il cantiere della nuova scuola elementare di Santa Caterina, che sostituisce tra la via del Fossario e la via Canelles l’antico monastero di clausura delle domenicane. Alle parole del sindaco i lavoratori paiono rasserenarsi: per alcuni mesi potranno contare su un salario. Colgono l’occasione per chiedere all’amministrazione un aiuto finanziario che ritengono potersi attingere dal fondo costituitosi risparmiando sui fondi deliberati per l’illuminazione stradale. Ma è una richiesta non accoglibile: Marcello risponde sconsolato che i risparmi sono già stati investiti a beneficio delle cucine economiche per assicurare le minestre e il resto durante il mese di maggio a vantaggio. Si tratta comunque di risorse destinate ai ceti poveri della città, di questo occorre tener conto.

Per il resto? Oltre alla via Roma, eterno cantiere, le attenzioni municipali si concentrano sul Terrapieno, lungo il quale sorgono in questo periodo palazzine e ville eleganti. L’idea non è certo nuova, L’aveva già avuta l’ing. Mura nel 1901. Ad essa si era aggiunta quella di un lungo rettilineo carrozzabile della lunghezza di 700 metri e dalla larghezza di 9 con viali pedonali ai lati. Un lunghissimo parco-striscia che avrebbe collegato l’inizio della via San Giovanni con i Giardini Pubblici e avrebbe permesso il riutilizzo del terreno rimosso per il rimboschimento del viale Buoncammino.

L’intero 1909, come anche l’anno precedente (e bisognerebbe dire: gli anni precedenti), rivela questa pressione sociale su un’amministrazione che, per quanto volenterosa, non ha obiettivamente né mezzi né competenze per risolvere il deficit strutturale della economia locale, disoccupazione e caroviveri in testa. La stampa cittadina continua a riflettere, con cronache e commenti, iniziative e proteste, promesse e delusioni.

Il mercato del largo Carlo Felice è, per quanto bello, disorganizzato nella sua gestione del commercio al banco. Il pesce viene venduto e conservato in siti malsani, è coperto da panni sudici sopra i quali poggia il ghiaccio. Latitano le guardie municipali e non si ha notizia di alcuna attività del laboratorio chimico che pur dovrebbe assicurare la cittadinanza della buona igiene in specie delle pubbliche rivendite. Il bestiame viene fatto entrare nel recinto ancora vivo anziché macellato, luridi sono cestini e cassette di frutta e formaggi, mentre patate e pasta sfusa vengono vendute all’interno del mercato ma anche nelle vie e viuzze, tutte ampiamente e irrimediabilmente sozze, dell’area circostante. Insomma, i generi alimentari vengono trattati senza rispettare le più elementari norme sanitarie.

A giugno si torna a parlare di forno comunale e di adulterazione degli elementi, anche  se da più parti si sostiene che si tratti di calunnie da parte dei soliti mestatori intenzionati a denigrare il capoluogo della provincia. Il problema è però reale e non limitato alla sola piazza cagliaritana. Nello stesso mese alcune sedute del Consiglio comunale sono dedicate al pacchetto acqua-gas, stimolate dalla necessità di meglio regolamentare le prestazioni degli operai ai quali si chiede maggior efficienza per assicurare successo all’ormai avviata gestione diretta.

 

L’orgoglio di un’isola, le dimissioni delle rappresentanze

Un anno dopo. Nel giugno 1910 una commissione della quale fanno parte alcuni deputati della Provincia, e con loro il sindaco Marcello, si reca nella capitale per essere ricevuta dal presidente del Consiglio Luzzatti, dal Ministro dei lavori pubblici Sacchi, quello dell’agricoltura (vale a dire dell’economia, avendo egli anche la competenza sull’industria e il commercio) Raineri, nonché dal sottosegretario della marina Bergamasco. Recatisi a Roma per portare all’attenzione del Governo la grave emergenza nella quale si trovano i collegamenti sardi da-e-per il continente, gli esponenti isolani chiedono, fra l’altro, che venga istituita almeno una nuova linea marittima settimanale per la tratta Cagliari-Civitavecchia. Il fatto che vi siano già tre linee tra Sicilia e continente è la chiara dimostrazione che la richiesta non sia poi così esagerata. In Parlamento prevale però la tendenza ad avere una marina libera ed è quindi difficile che la richiesta venga accolta.

La delegazione sollecita pure l’istituzione di una terza coppia di treni per la tratta Cagliari-Golfo Aranci. L’on. Sacchi s’è già detto pronto ad accogliere la richiesta anche se ha fatto presente non esser tutto nella disponibilità piena del Governo, vincolato da un contratto con la Società delle Ferrovie Reali. Nonostante la buona volontà manifestata dal ministro (che assicura di aver interposto i suoi buoni uffici verso il maggior vettore), si può solo aspettare. Il 19 si riunisce la giunta e Marcello, mostrandosi fiducioso, propone al voto assembleare un ordine del giorno che afferma :

« di rinnovare  calde e vivissime istanze al Governo del re perché, senza indugio, indipendentemente dall’assetto definitivo che dalla futura legge potrà essere dato ai servizi marittimi sovvenzionati, sia provveduto in armonia di voti reiteratamente espressi a marzo di tutte le legali rappresentanze delle popolazioni di questa provincia, ad istituire una linea postale almeno settimanale con velocità di 15 miglia all’ora fra Civitavecchia e Cagliari adibendo a turno per tale servizio i piroscafi dello Stato, che a partire dal primo luglio venturo saranno destinati alla linea Civitavecchia-Golfo Aranci. 2° di farsi eco del generale compiacimento di tutta l’isola plaudendo all’azione spiegata dal ministro del Lavori Pubblici S.E. Sacchi in riguardo all’istituzione della terza coppia di treni sulle linee delle Ferrovie Reali Sarde, nella ferma fiducia che in qualsiasi evento il Governo vorrà intervenire con più energici provvedimenti d’ufficio ad assumere per il prossimo primo luglio la precisa osservanza degli ordini impartiti alla Società Reale delle Ferrovie Sarde».

Nella stessa seduta viene ricordato che un primo atto di ingiunzione è già stato notificato alle Reali perché, entro l’11 giugno, compilasse e presentasse gli orari relativi alla terza coppia di treni. Una seconda ingiunzione è stata inoltrata il 12 dello stesso mese, a riprova dell’atteggiamento energico in favore dei sardi.

Purtroppo però il Governo non può mantenere le promesse e lavora ad un acceleramento di alcune tratte ferroviarie ma «è chiaro che le ingiunzioni sacchiane hanno fatto cilecca e che la Compagnia delle Reali si è divertita a canzonare Governo e Sardegna con una dimostrazione del suo disinteresse  alla riforma dei servizi che è ridicola». La linea Cagliari – Civitavecchia verrà coperta dallo stesso piroscafo che viaggia tra Golfo Aranci e Civitavecchia, venendo così a creare una lunga tratta che il Ministro vuole lasciare così. Una linea commerciale i cui vantaggi saranno relativi e non certo atti a soddisfare le esigenze di comunicazione per le quali era stata richiesta soluzione. Le reazioni sono immediate e il 27 giugno la giunta delibera all’unanimità di convocare il Consiglio comunale in seduta straordinaria. Il che avviene effettivamente il 1°luglio, quando il sindaco Marcello indirizza a Sacchi dure parole di rimprovero per l’inadempienza manifesta e inammissibile:

«Dalla Sardegna tutta, unita in un solo palpito, in una sola coscienza, deve elevarsi un grido solenne e sdegnoso di protesta, che, varcando il mare, ammonisca il Governo e gli dica che i sardi non sono disposti a subire nuove umilianti sopraffazioni ed a tollerare più oltre ingiuriosi abbandoni, che vibra altissimo nei nostri cuori e nelle anime nostre il sentimento della dignità e delle fierezza, e che questi sentimenti di tutto un popolo non si possono impunemente offendere. Superbi di lanciare per primi questo grido che, non ne dubitiamo, desterà un’eco larghissima di adesioni in tutta l’isola, coi colleghi di Giunta abbiamo unanimi deliberato di presentarvi oggi le nostre dimissioni in segno di protesta».

Fra gli applausi dei consiglieri e del pubblico presente, il Consiglio accetta ad unanimità le dimissioni della giunta e del sindaco il quale, uscito dal municipio, viene accolto da una folla acclamante.

Anche Bacaredda fa sentire la sua voce: «La Sardegna – dice il 6 luglio – non è disposta a morire, e nemmeno a star ferma: essa vuol vivere e camminare e correre, magari in coda a tutto il mondo civile; perché questo è il progresso. Legge o diritto, bisogno o dovere, vessillo e trofeo dell’umanità combattere per il più reale degli ideali». Il discorso è lungo, vibrante di rabbia e d’orgoglio non tanto e non solo per le promesse non mantenute nei confronti sì del sindaco della città, ma soprattutto verso la città stessa e l’ isola intera.

La protesta delle istituzioni sarde (si dimette anche il Consiglio provinciale e, nei giorni successivi, lasciano altresì la giunta della Camera di Commercio e diversi Consigli comunali della provincia) ha eco nell’intera nazione, tanto che il presidente del Consiglio in persona cerca di correre ai ripari riavviando un certo dialogo: « Io voglio continuare a ragionare coi miei amici di Sardegna, e così li chiamo (…) ora partirà il commissario incaricato dal mio collega dei Lavori Pubblici di stabilire e regolare la terza coppia di treni».

Per la giunta Marcello è, comunque, il crepuscolo. Agosto è mese di elezioni e il 28 L‘Unione Sarda, a poche ore dalla chiusura delle urne, esorta i cittadini a votare senza lasciarsi «suggestionare dalle scempiaggini dei citrulli e degli istrioni» e a fare la giusta e facile scelta nel dare il voto a chi ha «un programma serio, fattivo, ispirato ai supremi interessi del paese, e uomini che affidano per l’onestà della vita pubblica e privata, per l’altezza dell’ingegno, per il disinteressato amore alla propria città».

Dal canto suo Bacaredda conferma l’estraneità a qualsiasi ritorno con ruoli di primo piano. Afferma in un’intervista: «Non sono affatto disposto a ritornare al governo dell’azienda municipale, soprattutto a cagione degli studi ai quali ora attendo, né sentendomi più lena sufficiente per condurre a buon porto i gravi interessi che attualmente premono sulla città di Cagliari. Aggiunga anche un doveroso riguardo verso gli amici caduti, l’azione amministrativa dei quali non potei coscientemente condannare, perché intesa, secondo la mia opinione alla tutela della cosa pubblica».

I suoi avversari, non sapendo a quali armi ricorrere, mettono in giro voci su un presunto scontro tra lui e i suoi amici (in testa ai quali sarebbe proprio Giovanni Marcello), salvo ricevere smentita da una lettera dello stesso Bacaredda, pubblicata sempre da L’Unione Sarda il 28, indirizzata a Giovanni Marcello: «Caro Marcello, nessuno mi chiese, a nessuno diedi il consentimento di presentare la mia candidatura alle elezioni generali. Se non fossi oggi più che mai fermo nel mio proposito di fuggire i rumori e la responsabilità della vita pubblica, il mio posto sarebbe di fianco degli antichi amici, dei quali terrei ad onore di condividere la sorte».

Chiara appare quindi la fiducia di Bacaredda in quel sindaco che negli ultimi anni ha occupato il posto che per molto tempo è stato suo. Dalle urne, comunque, esce per lui, un’altra volta ancora, un consenso plateale: sono 1.595 le preferenze segnate sul suo nome, tre volte di più di quelle che premiano Marcello, fermatesi a 550. Nonostante il buon lavoro svolto, fra mille difficoltà, nell’ultimo triennio, la sua caduta è evidente. Ci si domanda quali le cause. Fra le maggiori certamente è stato l’innalzamento del limite di non tassabilità. Coloro i quali, furbescamente pagavano poco o nulla, messi dinanzi alla possibilità di dover pagare, alla pari dei meno abbienti, il giusto sugli affitti incassati, rinfacciano l’esosità dei tributi a lui e all’assessore Accardo. Ai proprietari di case si aggiungono gli appaltatori che, temendo di non poter più taglieggiare le finanze comunali per accumulare grossi guadagni, si sono stretti in coalizione facendo andare deserte le aste del Comune. Ma queste sono, appunto, cause, non certamente colpe.

 

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