A proposito di settanta giorni chiusi in casa. Intervista di Marcello Fois al prof. LUIGI GESSA

Il lockdown? Ci ha resi ansiosi e aggressivi


Gianluigi Gessa (nella foto), farmacologo con la passione per lo studio delle dipendenze, è stato per molti anni direttore del Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Cagliari. Quel preciso settore, sotto la sua direzione ha raggiunto quel livello di prestigio internazionale di cui, grazie alla sua conclamata eccellenza, ancora gode. Gianluigi Gessa oggi dirige il CICAP Sardegna. E’ considerato tra i più autorevoli esperti al mondo di quella precisa branca della ricerca che va sotto il nome di neurofarmacologia. E’ stato consigliere regionale per Progetto Sardegna. Ha pubblicato importanti studi dedicati al particolare settore psicofarmacologico di cui è considerato unanimemente un fondatore.

Professore, vado, come suol dirsi, “dritto per dritto”: lei è uno psichiatra e un farmacologo fra i più prestigiosi, può spiegarci che ripercussioni ha, dal suo punto di vista specializzato, il lockdown sul piano della salute mentale pubblica, soprattutto neurobiologico?”

Non sono psichiatra né psicologo ma un farmacologo stregato dalle neuroscienze, una santa alleanza di farmacologi, anatomici, genetisti, biochimici, psicologi, fisici, filosofi, psichiatri, eccetera che hanno eliminato le tradizionali barriere accademiche e mettono assieme le loro competenze e tecnologie per lo studio del cervello. Le neuroscienze hanno da tempo studiato gli effetti del lockdown (lo chiamiamo social-isolation) sul cervello degli animali da esperimento. Il topo maschio isolato in un ambiente ristretto diventa ansioso depresso e aggressivo, sino a uccidere un altro topo che entra nel suo territorio. Questi sintomi sono sostenuti dalle alterazioni di neurotrasmettitori come la serotonina e la dopamina, in aree del cervello, definite sistema limbico e corteccia prefrontale. Sono eliminati dai farmaci antidepressivi ansiolitici e antipsicotici. Oggi, con le tecniche di “neuroimaging”, quali la risonanza magnetica funzionale (fMri) e la tomografia assiale a emissione di positroni o di fotoni (Pet, Spect), è possibile “vedere” dentro il cervello di un uomo, sottoposto a un forte e prolungato stress psicologico o fisico, le stesse alterazioni dei neurotrasmettitori alterati nel topo. Soprattutto è possibile correggerle o eliminarle con gli stessi farmaci efficaci nel topo. Da giovane marito avevo verificato uno degli effetti del lockdown sul cervello della donna, ogni volta che rientravo a casa dal laboratorio, troppo tardi per la cena o per il concerto”.

Siamo in tempi di distanziamento sociale, cioè di un distacco fisico obbligatorio: cosa sposta sul piano dei rapporti interpersonali un divieto del genere? Cresceranno le nevrosi e le diffidenze anche quando saremo esonerati da quest’obbligo?

”Dovrebbe chiederlo a uno psicologo”.

Si parla spesso, e solo, delle conseguenze psichiatriche nella popolazione in generale e mai, o quasi mai, degli operatori sanitari in prima fila nella gestione della pandemia, tanto che qualche suo collega ha coniato il termine “pandemia psichiatrica” per definire lo strascico che ci attende dopo la cessazione di questa emergenza. Strascico che interesserebbe tutti: la psichiatria italiana è pronta ad affrontare questo nemico strisciante?”

Per l’uomo la pandemia è uno stress psicologico che va ben oltre il lockdown, include la violenza domestica, il dolore per i lutti, l’incertezza sul futuro, lo stress finanziario. Per le categorie più vulnerabili, i vecchi, chiamati anziani, le donne, i bambini, i portatori di patologie fisiche o mentali la pandemia può essere più devastante di un terremoto o uno tsunami: questi sono limitati nel tempo e localizzati in un territorio dal quale si può fuggire, o di una guerra dove il nemico è riconoscibile, nella pandemia il pericolo può essere dovunque e colpire in qualunque momento, il nemico può essere la persona più vicina. La psichiatria italiana ha messo a punto un programma di interventi per il “sostegno psicologico” alle persone affette da coronavirus e quelle in condizioni socioeconomiche disagiate sulle quali la pandemia ha peggiorato la patologia psichiatrica o indotto sintomi depressivi, ansiosi, aggressivi, ossessivo-compulsivi. Purtroppo, gli interventi di sostegno psicologico sono ostacolati dal distanziamento sociale e sono affidati soprattutto alla telecomunicazione. Ma per le persone più vulnerabili, gli anziani, i poveri, i malati di mente, i vecchi isolati, i tossicodipendenti, l’accesso a queste psicoterapie virtuali non è facile. Un veterano tossicodipendente mi ha confessato: la differenza fra le tele-parole dello psicologo e il metadone è che «il metadone lo posso rivendere!»”.

Dobbiamo aspettarci un boom di ansiolitici e antidepressivi o siamo già ai massimi storici? Esistono droghe, seppur temporaneamente, “necessarie”?

”Per l’industria degli psicofarmaci,la pandemia è stata una benedizione, l’industria farmaceutica non ha fretta che la pandemia psichiatrica finisca ed è preparata ad affrontarne lo strascico dopo l’epidemia.

Un noto psicologo-psichiatra-psicoterapeuta offre ricette alternative agli psicofarmaci nei suoi numerosi libri dai titoli seducenti per le donne in sovrappeso, sul “potere curativo del digiuno”, su come “dimagrire senza dieta”, sul potere dimagrante dell’amore. “La vera cura sei tu”.

Si parva licet, anch’io suggerisco una terapia: è una droga non proibita, più efficace dello yoga, della meditazione e della mindfulness, meno efficace dell’amore. Si chiama theobroma cacao (cibo degli dei), meglio conosciuta come cioccolato. Ha ammaliato i Maya, gli Aztechi, Papa Pio V, Luigi XV, Mozart, Casanova e Fidel Castro. Maria Antonietta perse la testa per il cioccolato prima che per la ghigliottina. Produce dipendenza, ma le sue vittime non hanno alcuna voglia di guarirne”.

Ma in quanto esperto di tossicodipendenze può dirci se risulta una reazione particolare da parte dei consumatori abituali? I Serd lombardi, per fare un esempio, sono stati presi d’assalto.”

Ai tossicodipendenti il virus ha resola vita ancora più dura. Quelli che devono recarsi al Serd per ricevere la loro dose settimanale o bisettimanale di metadone, se non hanno la patente o l’automobile devono raggiungerlo, a piedi o in bicicletta, spesso nel vicino paese, muniti di autocertificazione, cartella clinica e urine “pulite”. Il ministero della Salute ha istituito un servizio di “ascolto psicologico”, ma molti tossicodipendenti non sono in grado di seguire colloqui psicologici o di gruppo attraverso teleconferenze. Per quegli infelici che dipendono dalla droga illegale, reperirla è diventato più difficile perché lo stesso spacciatore può essere in lockdown e i controlli per le strade sono più severi. Questo spiega perché numerosi tossicodipendenti si sono riversati ai Serd e numerosi operatori dei Serd sono a rischio di burn out, una condizione esasperata di esaurimento psico-fisico. Se il tossicodipendente è confinato a casa da solo, senza la sua droga, sviluppa ansia, depressione e, a differenza del topo, auto-aggressività (idee suicidarie). Se invece è in famiglia, i sintomi saranno condivisi. Una signora di cui leggo con piacere “questioni di cuore”, si lamenta perché il lockdown le ha tolto la Scala, il teatro, la pedicure, il profumo irresistibile della vicina bottega di salumi”.

Lei cosa consiglierebbe in questo frangente?

Una studiosa della NewYork University, Gabriele Oettingen propone il Realismo come unica soluzione. Dal suo punto di vista sia Ottimismo che Pessimismo conducono allo stesso genere di passività impotente.

Lei è d’accordo?

Confesso che sono allergico a chi prescrive ricette per essere felici, ottimisti, realisti, a cominciare da Seneca che mi spiega quanto è bella la vecchiaia, o come raggiungere la felicità. Il mio scetticismo sull’efficacia delle ricette della principessa Gabriele-Elisabetta-Aloisia-Notgera di Oettingen-Spielberg non nasce da invidia proletaria ma dalla convinzione che ottimismo, pessimismo e realismo si formano nel nostro cervello soprattutto durante l’adolescenza quando i geni che abbiamo la fortuna o la sfortuna di ereditare interagiscono con l’ambiente in cui ci tocca di vivere. È in quel periodo che uno può diventare consumatore o studioso della cocaina”.

Cambiando argomento: lei ha accettato la scommessa del coinvolgimento diretto nella politica locale durante la gestione di Renato Soru alla Regione. Che esperienza è stata?”

Ho accettato di militare nel Progetto Sardegna quando ho capito che l’uomo di Sanluri non aveva a cuore solamente gli alberi, gli animali, le coste, i paesaggi e le tradizioni della Sardegna, ma anche il suo bene più prezioso: le giovani intelligenze a cui offriva la possibilità di esprimersi. Vorrei che quel treno ripassasse nella storia della Sardegna”.

Non le chiedo giudizi sulla gestione della Sanità nella nostra regione, ma un contributo che lei si sentirebbe di dare in questo momento?”

Meno tele-medicina. Più contatti umani. Meno Mater Olbia. Più medici di famiglia”.

Perché noi sardi abbiamo la percezione così netta che le eccellenze dal punto di vista non solo sanitario siano sempre altrove? È una sindrome sociale che ha un nome?”

Non ho la competenzaper rispondere sulle cause, ma so come ne sono guarito. Quando a 28 anni arrivai negli Stati Uniti, nel mitico Laboratory of Chemical Pharmacology, il grande Bernard Brodie mi assegnò alla guida di un famoso ricercatore di cui avevo letto i lavori scientifici. Era giovane come me, non più intelligente di un mio compagno di università che era “finito” medico della mutua. Ho capito che lì iniziavano presto e correvano veloci. Molti anni dopo, militando con Renato Soru, quella cura è stata offerta a tanti giovani laureati sardi con il programma Master&Back. Purtroppo, il percorso di ritorno, Back, non si è realizzato in modo soddisfacente”.

Quali sono le discipline che concorrono a rendere più efficace la sua lettura del mondo? Lettura, musica, teatro, arte? Quanto conta la cultura in senso lato nella sua professione?”

La mia lettura del mondo è quella indicata da Charles Darwin, mi ha insegnato a trasgredire all’anatema di Cartesio “il peccato più grave che allontana gli spiriti deboli dal retto cammino della virtù è pensare che l’anima delle bestie sia consimile alla nostra”. L’anima del topo, il cervello, ci ha insegnato tante cose sull’anima dell’uomo. Don Chisciotte, il Cavaliere dalla Triste Figura mi ha insegnato che, alla fine del viaggio, il cammino è meglio dell’arrivo. Il cammino della ricerca scientifica non ha arrivo, è questo il suo fascino, che ci fa dire« grazie a Dio è lunedì»”.

L’intervista è stat apubblicata su La Nuova Sardegna 1 giugno 2020

 

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