Epidemia Covid-19: dal mondo alla Sardegna, di Mario Budroni

Sommario: Premessa. Nuove zoonosi. Non una profezia, ma la previsione logica. Perché il rimedio cinese non ha funzionato altrove allo stesso modo. Uno sguardo a un precedente storico. Dalla Lombardia alla Sardegna. Quale metodo adottare. Soluzioni alternative per convivere col virus. Scenari offerti dai modelli matematici. Conclusioni.

*Il dott. Mario Budruni è epidemiologo e, dal 1992, il responsabile del Registro tumori per la Provincia di Sassari.

Premessa. I criteri per il controllo delle epidemie, in caso non si abbiano farmaci o vaccino, sono conosciuti da tempo e accettati universalmente: 1) identificare i malati; 2) fare gli esami per una  diagnosi certa; 3) isolare i malati; 4) tracciare i contatti, fare  gli esami e metterli in quarantena.

In effetti, questi concetti sanno di vecchio se non di antico. Dopo la Seconda guerra mondiale, la scoperta degli antibiotici, l’introduzione del vaccino contro la poliomielite ed il DDT davano per scontato il controllo delle malattie infettive. A fine anni Sessanta, il World Health Organization promuoveva riunioni di esperti che si ponevano la domanda: “le malattie infettive sono ancora importanti?” (1).  Pochi anni dopo il vaiolo e la poliomielite venivano eliminati, confermando risultati e speranze.  Più o meno nello stesso periodo comparivano nuove malattie da virus animali che con le loro mutazioni acquisivano la capacità di infettare anche gli umani.

Nuove zoonosi. Parliamo dell’AIDS, di Hendra, di Ebola e di SARS. Nel 1983, tre gruppi di biologi erano riusciti in modo indipendente ad isolare il virus dell’AIDS: Luc Montagnier a Parigi, Robert Gallo a Bethesda e Jay A. Levy a San Francisco. Il Nobel per la Medicina, nel 2008, fu assegnato a Montagnier e alla sua collaboratrice Francoise Barré-Sinoussi. Si trattava di un retrovirus, così denominato perché invece di usare il suo RNA come modello, grazie alla transcrittàsi inversa, cioè ad un percorso inverso, sintetizza DNA che penetra nella cellula, si integra col genoma, replicandosi ogni volta che la cellula si riproduce. Nel 1985, una dottoranda della Harvard School of Pubblic Health dimostrò il salto di specie dal macaco all’uomo.

Nel 1994 a Hendra, un paese alla periferia di Brisbane, si manifesta un focolaio di una grave malattia equina mai riscontrata prima. Molti animali morirono e dopo poco tempo cominciarono ad ammalarsi anche gli addetti alle stalle. Sia nei cavalli che negli stallieri si isolò un nuovo mixovirus che fu denominato Hendra. Nel 1996, Hume Field trovò lo stesso virus in diverse specie di pipistrelli. Nel 1996, in Gabon nordorientale, un gruppo di ricercatori gabonesi e francesi trovarono il virus Ebola nel materiale organico prelevato da alcuni pazienti e dedussero che la causa del contagio fosse la macellazione di uno scimpanzé. Il virus fu isolato a Reston, nello Stato di Washington, in un gruppo di macachi cinomolghi di un laboratorio. La SARS (Sindrome Respiratoria Acuta Grave) è stata così catalogata perché non si conosceva l’agente infettante. Nel 1995, a Hong Kong, Mailik Peiris riuscì a coltivare il virus e a definirlo un coronavirus a RNA mai studiato in precedenza. Lo stesso gruppo arrivò alla conclusione che il virus aveva fatto il salto di specie passando dai pipistrelli alla civetta delle palme mascherata e poi all’uomo. Queste zoonosi restavano e restano confinate in ambienti marginali della società o in zone di paesi in via di sviluppo e non hanno creato grosse difficoltà all’Europa e all’America. Tuttavia, siccome sono state in crescendo di frequenza e di gravità, alcuni studiosi agli inizi degli anni 2000 sostenevano che bisognava aspettarsi una grande epidemia difficilmente controllabile.

Non una profezia, ma la previsione logica. Nel 2012, David  Quammen (2) scrive la storia di queste zoonosi e divulga l’idea di una grande epidemia che non tarderà ad arrivare. Non è stata una profezia ma la previsione logica dedotta dagli studi sui virus RNA di origine animale. A gennaio 2020, arriva dalla Cina la notizia di un’epidemia causata da un virus sconosciuto; il resto del mondo è sorpreso e speranzoso che resti confinata. Il virus responsabile è subito isolato e classificato: è simile a quello della SARS, un RNA coronavirus.  La derivazione è sempre dai pipistrelli ma non si conosce al momento l’animale che ha agevolato il salto di specie. La presidenza degli Stati Uniti accusa la Cina di aver prodotto in laboratorio il virus, ma gli scienziati concordemente negano tale possibilità perché il coronavirus dei pipistrelli e della SARS-CoV2  differiscono per poche mutazioni.

Perché il rimedio cinese non ha funzionato altrove allo stesso modo. Come i cinesi affrontano l’epidemia? Non seguono i criteri citati ma obbligano i cittadini a stare in casa per diminuire i contati tra persone, per far crescere il numero di casi lentamente e curarli in ospedale. L’OMS comincia a chiedersi se sia un’epidemia o una pandemia. La prima è definita come la presenza di più casi rispetto a quanto atteso di una particolare malattia in una determinata area, o in uno specifico gruppo di persone, in un determinato periodo. La seconda è un’epidemia che si diffonde in più continenti o in tutto il mondo. In poche settimane i dubbi svaniscono: si tratta di una pandemia. Il 25 di febbraio abbiamo la prima diagnosi di Covid-19 in Lombardia.  Questa regione ha un’eccellente rete ospedaliera e una struttura sanitaria territoriale quasi inesistente e quindi la cosa più ovvia è stata quella di seguire le orme dei cinesi per contenere la malattia.

Il rimedio non ha funzionato allo stesso modo per tre ordini di cause: 1) il controllo sulla nostra popolazione non è quello cinese; 2) la catena di comando cinese non è la nostra; 3) i cinesi hanno costruito un ospedale nuovo per i malati di Covid-19 per non mescolarli con pazienti di altre patologie. Resta ora da chiarire chi ha preso la decisione della scelta. A rigore la decisione dovrebbe essere del ministro della Sanità, ma il presidente del Consiglio interviene senza chiarire quali sono le funzioni della Sanità e quali invece della presidenza del Consiglio. Ministro e presidente devono fare i conti con i governatori di Regione; questi devono poi confrontarsi con i sindaci. Abbiamo quindi letto DPCM, ordinanze regionali e comunali. A queste vanno aggiunti tanti comitati di esperti quanti sono gli attori. Ora non vorrei scomodare Sabino Cassese per avere un parere giuridico, ma in situazione d’emergenza è scontato che la catena di comando deve essere chiara e rapida.

Uno sguardo a un precedente storico. Se andiamo a leggere i documenti della peste di Firenze del 1630 (3), troviamo che, in casi d’epidemia, la responsabilità veniva affidata al  Magistrato di Sanità con compiti precisi, con una definizione chiara di chi comanda e degli obiettivi da perseguire. In particolare questi erano: 1) ricorrere alla Maestà di Dio, all’ intercessione della Beatissima Vergine e dei santi; 2) inzolfare e profumare le case dove sono stati i morti o i malati; 3) subito dopo la scoperta del male, separare gli infermi dai sani; 4) levar via le robe servite per uso del morto o del malato e bruciarle subito ; 5) serrare subito quelle case dove è stato l’infetto e tenerle così almeno per 22 giorni perché chi vi è dentro non infetti gli altri; 6) proibire i commerci.

Oggi si hanno più conoscenze e alcuni concetti sono superati, ma ancora oggi resta valido il principio dell’isolamento e quello della rapidità dell’esecuzione delle azioni da intraprendere.

Dalla Lombardia alla Sardegna. Al problema politico, in Italia,  si è aggiunta la spettacolarizzazione dell’epidemia nei media. Non solo abbiamo diversi comitati di esperti nominati dalla politica, ma numerosi scienziati che ruotano da una TV all’altra formulando ipotesi spesso non suffragate da esperienza specifica. Nei curricula di tanti opinion leaders non si trova esperienza di epidemiologia sul campo. Bisognerebbe sapere quanti di questi scienziati si sono cimentati con epidemie vere in passato. L’epidemia è arrivata in Lombardia e quindi in tutto il paese. Il Veneto applica la chiusura delle attività ma contemporaneamente esegue gli accertamenti sui contatti. In Sardegna stiamo alle disposizioni nazionali e seguiamo pedissequamente il modello lombardo. Assistiamo alle frequenti conferenze stampa del presidente della Regione, leggiamo ordinanze comunali finalizzate non si sa bene a che cosa. Intanto non ci sono le protezioni personali degli operatori, non ci sono percorsi separati per i sospetti infetti e non c’è un ospedale dedicato ai malati di Covid-19.

L’epicentro dell’epidemia in Sardegna è stato nelle strutture che dovevano garantire e proteggere la popolazione: gli ospedali e le case di cura. Bisogna pure dire che le strutture sanitarie territoriali non sono state molto efficienti e in concreto, almeno in provincia di Sassari, le loro funzioni sono state svolte dai medici dell’esercito. Gli accertamenti di laboratorio sia sui malati, sia sui contatti sono pochi e di un’eccessiva lentezza. Alla base di questo problema forse c’è un attaccamento all’ipotesi iniziale d’intervento: tenere la popolazione a casa, lasciar crescere lentamente l’epidemia e potenziare gli ospedali per eventuali focolai. Si fanno convenzioni onerose con i privati a Sassari, Olbia e Cagliari per avere altri posti letto di terapia intensiva anche se i malati gravi sono stati sempre al di sotto di trenta con una disponibilità di 150 posti  negli ospedali pubblici.

Quale metodo adottare. Il problema andava invece risolto nel territorio e, considerato che non abbiamo un elevato numero di casi,  si poteva adottare il metodo seguito per le malattie infettive soggette a denuncia. Se succede un caso di TBC, di epatite, di meningite o altra malattia, sulla base delle disposizioni, bisogna rintracciare tutti i contatti e fare gli accertamenti clinici, radiologici e di laboratorio per escludere altri casi. Bisogna infine ricordare che Taiwan, Corea del sud e Germania hanno seguito la procedura standard di tracciare e fare gli accertamenti a tutti i contatti e hanno avuto migliori risultati. Infine è opportuno porre l’accento sul caso della Svezia che si affida alle conoscenze e al buon senso dei cittadini per garantire il distanziamento sociale, senza DPCM e ordinanze.

Soluzioni alternative per convivere col virus. Dopo due mesi di blocco totale delle attività e della vita sociale, per le conseguenze sull’economia e per rispetto della libertà dei cittadini, bisogna pensare a vie alternative, trovare soluzioni per convivere con il virus.  Penso che ci siano indicazioni studiate e precise da parte delle istituzioni preposte alla sorveglianza sanitaria e non sia necessario inoltrarsi in una giungla di comitati e di esperti per arrivare a una decisione politica. L’Istituto Superiore di Sanità ha valutato l’indice di riproduzione Rt (probabilità che un infetto contagi altre persone dopo contatto) sull’intera popolazione italiana, considerando diverse ipotesi di aperture di attività e di diversi livelli di socializzazione (4). La prima ipotesi, con apertura di manifatture, edilizia, commercio e alloggi / ristorazione, con parziale rilascio delle restrizioni sulla popolazione in generale, produce un Rt>1; la seconda, con apertura di manifatture, edilizia, commercio e alloggi / ristorazione, con restrizioni sulla popolazione intera, genera un Rt<1. Restrizioni basate su alcune classi d’età della popolazione (persone di età sopra i settanta anni) non cambiano le condizioni della popolazione generale. Valutazioni eseguite da un gruppo di economisti hanno dato risultati simili per la popolazione inglese (5).  Le previsioni sono basate sul numero di contagiati, il tempo trascorso tra infezione e comparsa dei sintomi, la velocità di guarigione, la letalità e la mortalità generale. Il modello è chiamato SIR (S per suscettibili, I per infetti, R per recovered-guariti). A queste variabili principali se ne aggiungono altre che si ritiene influenzino l’andamento della  malattia. I punti critici del modello sono gli infetti asintomatici e il periodo intercorso tra contagio e comparsa della malattia per i quali bisogna fare una stima non avendo dati certi.

Scenari offerti dai modelli matematici. In nessun’altra epidemia della storia degli ultimi cinquant’anni v’è stata una tale produzione di modelli matematici. Non solo epidemiologi, ma anche fisici e matematici si sono cimentati, anche se pochi hanno visto i loro risultati pubblicati su riviste scientifiche. Indiscutibilmente il gruppo dell’Imperial college di Londra è quello che ha prodotto il maggior numero di modelli matematici applicati a epidemie. I suoi modelli sono stati i più pubblicati e i più ascoltati da politici di tutto il mondo. Come sempre nella primissima fase di qualsiasi epidemia, la vera conoscenza dei fattori epidemici è in gran parte sconosciuta, quindi ogni modello ha necessariamente una vasta gamma di scenari da considerare. Le previsioni sono elaborate con modelli matematici che non ci danno la certezza assoluta, ma un’idea approssimata che può essere però aggiornata e migliorata man mano che le informazioni diventano più precise e numerose. Certo, i modelli matematici non predicono numeri assoluti, ma offrono scenari con un range molto ampio e, di solito, chi prende decisioni politiche per precauzione sceglie l’ipotesi peggiore.

Conclusioni. L’attuale allentamento delle restrizioni ha bisogno di essere accompagnato da comportamenti responsabili della popolazione. In primo luogo, i cittadini devono essere informati sui rischi e si devono sentire partecipi e attori nel superamento dell’epidemia. Bisogna definire le misure di prevenzione e le distanze di sicurezza nei luoghi di lavoro e il rischio d’importazione del virus (6). Sicuramente abbiamo bisogno di una struttura sanitaria territoriale forte ed efficiente che sia in grado di monitorare tutti i casi di Covid-19.

Note

1 – W. Howie, Infectious disease, does it still matter?, in «Public Health», 82, 1968, pp. 253-260.

2 – David Quammen, Spillover animal infections and the next human pandemic, W. W. Norton & Company Inc., 2012.

3 – Carlo M. Cipolla, Contro un nemico invisibile, Il Mulino, Bologna, 1985.

4 – Stefano Merler, Valutazione di politiche  di riapertura utilizzando contatti sociali e rischio di esposizione professionale, News ISS, 2020-04-30.

5 – Paolo Surico, Andrea Galeotti, L’enigma del Covid-19, London Business school, 2020-03-28.

6 – WHO / Europe, Publishes considerations for gradual leasing of Covid-19 measures, 2020-04-24.

 

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