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Chimica verde, Carbosulcis, Progetto Eleonora e il ruolo nefasto dei sindacati in Sardegna, di Vito Biolchini

Posted By cubeddu On 3 giugno 2013 @ 06:13 In Agricoltura,Blog,Economia sarda,Senza categoria,Società sarda | Comments Disabled

Cosa fare davanti alla crisi di senso che sta travolgendo la nostra società e le nostre istituzioni? Continua il dibattito sui temi della contemporaneità e della Sardegna. Dopo Salvatore Cubeddu (“Il tempo da compiere, in Sardegna”), Fabrizio Palazzari (“Sardegna, contro l’amnesia. Verso la costruzione di un “sè autobiografico“”) e Nicolò Migheli (“Nel mondo policentrico torna la possibilità di una Sardegna originale“) questa settimana ospitiamo l’intervento del giornalista Vito Biolchini che introduce il tema della soggettività degli attori della Sardegna contemporanea. Che trovate anche sui siti di Tramas de Amistade, nel blogo di www.vitobiolchini.it e Aladin Pensiero.

 

Chimica verde, Carbosulcis, Progetto Eleonora e il ruolo nefasto dei sindacati in Sardegna

Di Vito Biolchini

 

Tre follie, una più grande dell’altra. Mettetele voi in ordine di assurdità, il mio intanto è questo: progetto Matrica sulla cosiddetta “chimica verde”, Carbosulcis, Progetto Eleonora. Tre progetti industriali uno più improponibile dell’altro. Perché rischiosi, sorpassati, falsi e bugiardi. Tre progetti che guardano al passato e che rischiano di pregiudicare lo sviluppo futuro della Sardegna.

Chimica verde, riassunto delle puntate precedenti. L’Eni smantella il suo polo industriale nel nord Sardegna e propone, per compensare l’emorragia dei posti di lavoro, la realizzazione di un impianto da un miliardo di euro (secondo loro) in grado di creare (secondo loro) settecento posti di lavoro. Ma cos’è poi in concreto questa cosiddetta chimica verde?

Di fatto, Eni Power e Versalis vogliono creare una centrale elettrica a biomasse alimentata da due caldaie. La prima per la produzione di vapore, alimentata, come combustibile, da un residuo industriale speciale del cracking dell’etilene, denominato FOK (alla faccia dell’ecologia!). La seconda caldaia per la produzione di bioplastiche(e qui viene il bello) dovrebbe invece bruciare la bellezza di 500-600 mila tonnellate di cardi all’anno! Cardi che noi sardi dovremmo produrre, destinando a questa speciale coltivazione qualcosa come centomila ettari del nostro territorio! Mezza Sardegna coltivata a cardo, destinato poi ad essere bruciato: questa è la famosa chimica verde di cui sentite parlare nei telegiornali. Se non è follia questa, ditemi voi come la dobbiamo definire. Come ha raccontato La Nuova Sardegna, il progetto è stato presentato alla commissione del Consiglio regionale. Tutto bene fino a quando non è intervenuto un rappresentante dell’Università di Sassari che ha detto chiaro e tondo due cose: la prima “che il cardo non è la migliore materia prima per estrarre dai suoi semi l’olio naturale alla base della produzione di bio-plastiche” (incredibile!); la seconda che “la coltivazione intensiva del cardo (la centrale a biomasse ha bisogno di grandi quantità) potrebbe avere contraccolpi sulle coltivazioni tradizionali”. Appunto: l’agricoltura sarda stravolta. Una follia.

Carbosulcis: c’è qualcosa che ancora non sapete? La miniera è della Regione e il carbone che si estrae è di pessima qualità: non lo vuole manco l’Enel che lo compra perché obbligata dalla politica e poi lo lascia lì nei piazzali. Per cercare di dare un futuro ai quasi 400 lavoratori della miniera tempo fa qualcuno si è inventato un progetto fantascientifico che prevede l’estrazione del carbone, la sua gassificazione e lo stoccaggio delle scorie nelle gallerie. Il progetto è stato già bocciato tre volte dalla Commissione europea (che dovrebbe finanziarlo), perché evidentemente impraticabile: la produzione a NuraxiFigus dovrebbe salire vertiginosamente e a Bruxelles vogliono garanzie che l’impianto non sia costruito solo per giustificare l’esistenza in vita della miniera ma perché realmente competitivo. Eja.

Qualche mese fa la Carbosulcis sembrava avere i giorni contati, poi in piena campagna elettorale il deputato del Pdl Mauro Pili si è barricato nelle gallerie, è successo un gran casino e i lavoratori hanno avuto l’ennesima rassicurazione che il progetto sarebbe stato ritenuto prioritario dal Governo nei suoi rapporti con l’Unione Europea. Da allora cos’è successo? Che l’ennesimo ultimatum posto dall’Europa sta scadendo, il progetto richiesto da Bruxelles non si vede e che dunque la chiusura della miniera si avvicina. Nel frattempo però la Regione, nell’ultima finanziaria, ha buttato nei pozzi di NuraxiFigus altri venti milioni di euro (no comment) mentre i politici del centrodestra (ultima in ordine di apparizione, la Polverini) hanno ripreso il loro pellegrinaggio alla Carbosulcis, perché questa bufala del nuovo progetto sarà in realtà uno dei cavalli di battaglia di Ugo Cappellacci o Claudia Lombardo (chissà chi la spunterà) nella campagna elettorale per le prossime regionali. Cavallo di battaglia solo del centrodestra? Siamo sicuri? Ma andiamo avanti.

Progetto Eleonora. La Saras vuole estrarre ad Arborea un miliardo di metri cubi di metano, mettendo a rischio l’esistenza del polo zootecnico più importante dell’isola. Perché, a parte chi si ritroverà i pozzi di estrazione sotto casa (e a poche centinaia di metri da un’area naturale protetta), ad essere contraria è soprattutto la 3A che teme per le falde acquifere ma soprattutto per l’immagine di un territorio che dovrebbe evocare una situazione ben diversa. Peraltro la 3A non ha nulla contro il metano (infatti vorrebbe realizzare un deposito al porto di Oristano dove stoccarlo, una volta acquistato sul mercato) ma teme i contraccolpi di questa iniziativa. Iniziativa che peraltro riguarderà prestissimo altre zone dell’isola, soprattutto Serramanna, Uta e Assemini, dove la Saras (ma anche altre società) hanno già richiesto l’autorizzazione alle trivellazioni. Perché non mi convince il Progetto Eleonora? L’ho capito parlando ieri con il mio amico Gigi, che mi ha detto: “Il nuovo modello di sviluppo che tutti auspicano si deve basare su un nuovo modello di energia e questo dell’estrazione del metano non lo è. La Sardegna produce già molta energia ma non ne risparmia abbastanza e non punta abbastanza sulle rinnovabili”.

Su questi tre progetti (Matrica, Carbosulcis, Eleonora) la politica sarda è profondamente spaccata. Non nel senso che centrodestra e centrosinistra la pensano diversamente, no: nel senso che sia nel centrodestra che nel centrosinistra ci sono posizioni opposte. Ad esempio, i giovani del Pdl sono contro il Progetto Eleonora, i consiglieri regionali invece a favore. E così anche per gli altri due progetti, sia nel Pd che nel Pdl.

E ora preparatevi perché quello che avete letto finora è solo l’antipasto. Vi faccio una domandina semplice semplice: qual è il soggetto che in Sardegna è a favore, senza spaccature, di tutti i tre i progetti sopra indicati? Rispondete voi? Lo faccio io? Lo faccio io: i sindacati.

Cgil, Cisl e Uil sostengono in misura diversa (ma sostengono) sia la chimica verde, sia il rilancio della Carbosulcis, sia il progetto Eleonora. Laddove gli schieramenti politici hanno dubbi, spaccature e ripensamenti significativi, i sindacati no, sono sempre molto compatti al loro interno. È questa la loro forza vera: sono uniti ad ogni livello.

I sindacati si lamentano (e giustamente) con la politica regionale per la sua inconsistenza. Ma in che misura le tre sigle confederali possono essere considerate responsabili della crisi di senso che attraversa l’isola? Sono credibili queste organizzazioni che sostengono senza batter ciglio ogni iniziativa industriale, anche quella più inverosimile? Perché parlano di “nuovo modello di sviluppo” se poi sono le prime a sostenere con forza quello vecchio?

Ma il punto non è neanche solo questo, il punto è (scusate se ho la fissa) culturale. Nel momento in cui sempre di più ci si rende conto che la Sardegna ha bisogno di un progetto di autogoverno, che nulla o poco di buono potrà arrivare dall’Italia ormai incasinata di suo e non certo attenta alle esigenze del due per cento della sua popolazione, nel momento in cui sarebbe invece opportuno realizzare uno “strappo” dalle grandi organizzazioni nazionali per rimettere al centro realmente le necessità dei sardi, i sindacati confederali (quanto se non più dei grandi partiti italiani) restano fedeli ad una logica nazionale e subordinano tutto ad essa.

Al pari dei partiti, la crisi di senso che la Sardegna sta attraversando è provocata anche dai sindacati che, per miopia o convenienza, continuano a riprodurre dinamiche ormai fallimentari. Ecco perché i loro quadri appoggiano Matrica, Carbosulcis ed Eleonora: perché stanno in Sardegna ma sono stati formati a Roma e a Milano, questo è il guaio.

Lungi da me ovviamente sminuire il ruolo del sindacato per il suo impegno a difesa dei diritti dei lavoratori, ci mancherebbe pure, il primo che mi fa dire cose che non penso neanche lontanamente lo attacco al muro. Ma anch’io, come ha scritto bene e con coraggio l’esponente della Federazione delle Sinistre, Enrico Lobina nel suo post “Rivoluzioniamo la Cgil”, penso che

“la Cgil rivoluziona se stessa o declina (…)  Bisogna porsi pochi obiettivi, ma chiari. Unificare il lavoro, rivoluzionare l’organizzazione e la trasparenza totale sono i nostri obiettivi. Uni­ficare il lavoro significa parlare a tutti coloro che hanno meno di 40 anni, non hanno sindacato e non lo possono avere. È la parte più sfruttata del mondo del lavoro, e non lo rappresentiamo. (…) Non si può rispondere alla fine di un modello di sviluppo con la difesa di quello stesso modello. Su questo aspetto siamo al capolinea”.

I sindacati che difendono la Carbosulcis, ad esempio, si allontanano drammaticamente dalla nuova classe egemone di lavoratori di oggi, concretamente rappresentata da quelle migliaia di giovani che non sono riusciti ad accedere agli stage da 500 euro al mese, e anzi sostanzialmente li condannano alla loro condizione di lavoratori senza rappresentanza e senza consapevolezza. Quelli per la Carbosulcis, con tutto il rispetto che va dato ai lavoratori della miniera, sono ormai soldi buttati e tolti ai giovani senza lavoro, quello vero però, non quello assistito. Con le loro posizioni inverosimili, i sindacati sardi sono oggi un elemento di conservazione del sistema, non di innovazione. Sono un tappo al nuovo sviluppo dell’isola.

E se ci aggiungiamo che i sindacati, questi sindacati, con i loro apparati simbolici e concreti, sono l’unica vera organizzazione rimasta a sinistra, ci rendiamo anche conto dei motivi della crisi di senso e di consenso che conoscono i partiti della sinistra storica e lo stesso Pd (che a Roma oggi ha come segretario l’ex segretario nazionale della Cgil, per dire).

Conclusione: se non cambiano i sindacati sardi, non cambia la politica sarda, e dunque l’isola resta quella che è. Forse qualcuno passerà dal sindacato al consiglio regionale o al parlamento e siamo contenti per lui, ma per la Sardegna non mi sembra una grande cosa avere l’immobilismo come prospettiva. Se non cambiano i sindacati sardi (e dunque la politica, perché i partiti non hanno oggi la forza di contrapporsi alle organizzazioni sindacali e ne sono invece succubi), bisognerà inventarsi in fretta qualcosa di nuovo perché qui la barca sta affondando e la gente, come si è visto bene ad Arborea, ha voglia di partecipare e non si beve più come se niente fosse ogni cosa che arriva dai partiti, dalla Saras e dall’Eni. E da Cgil, Cisl e Uil.

Fine del ragionamento.

 

 

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