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SU RE, la morte del giusto e la comunità assassina, di Salvatore Cubeddu

Posted By cubeddu On 6 aprile 2013 @ 09:03 In Blog,Cinema | Comments Disabled

Ieri ho visto il film ‘Su Re’ di Giovanni Columbu. Il film dimostra cosa è, cosa può essere, un film. Immagini, emozioni, immersione fuori da te. Sono arrivato shoccato alla fine. L’inserimento nella vicenda era totale, ero tutto dall’altra parte. L’arte, quando arriva, ti porta in una realtà altra. Ti fa osservare quello che sei da una differente dimensione. Alienandoti fa vedere quello che non vedevi. Columbu ti  afferra e non ti lascia. Ci vuole tempo per uscirne.

Scorrevano i titoli di coda e sapevo che avrei dovuto parlare. Ero tra i promotori della visione collettiva, prima di iniziare avevo avvertito dal microfono che al dibattito sarebbe stato presente il regista. Ora era lì in sala. I titoli erano quasi finiti e cominciava a farsi chiaro. Invece il silenzio durava senza che scoppiasse l’applauso, dovuto, anche per cortesia.  L’ho iniziato io con calore. Ma in sala ancora prevaleva il pulsare dei sentimenti, non il battito delle mani.

Non mi son potuto permettere di non spostarmi in avanti. Ho detto, forse in sardo, che ero ancora shoccato, non mi riusciva di mettere in ordine pensieri da sottoporre alla discussione. Che parlasse chi ne aveva voglia e capacità. Forse stavo rendendo un pessimo servizio al film, ma io non la vedevo così. Quell’afasia era il segno che lo strumento aveva raggiunto il suo fine. Colpire lo spettatore.   Ero atterrito. Cosa mi era successo?

Non è semplice né facile dire ancora qualcosa sulla passione di Cristo, che non sia già successo. Mancava alla Sardegna il suo Cristo da raccontare. L’uomo che accetta di essere ammazzato per i suoi ideali. Indipendentemente da quelli che siano.

L’Uomo di Columbu non è un messia religioso. Dice brevemente che ama i poveri e odia i ricchi. E la condanna è la pena inflitta dalla comunità quando la questione arriva al dunque, quando uno vuole affermare idealità non condivise. Quando queste vengano rifiutate da tutti insieme e da ciascuno. Perché nel film i discepoli e le masse che un tempo seguivano Gesù non contano, sono meno di niente. Solo abbandono, tradimento, appena qualche cenno di amicizia da parte del D’Arimatea che richiede da Pilato il suo corpo morto.

Lo svolgersi del racconto suppone che esso sia più che conosciuto dallo spettatore. Che è invece chiamato a soffermarsi sui volti, costantemente presenti nel pieno dello schermo. Lo spettatore deve collocarsi tra di essi. Scegliere quali tra questi meglio rappresenti la sua parte di ‘non innocenza’ nel versamento del sangue di quel Giusto, che ha scelto di farsi ammazzare.

Il tempo del film è quello che va dalla sera del giovedì al dopo pranzo di venerdì, una ventina di ore. Le ore delle tenebre,  senza luce anche secondo i vangeli. Non c’è la buona novella né il successo della resurrezione. Assenti, la gioia dell’annuncio del Regno, come la conferma di esso con la vittoria sulla morte. C’è la morte, chi la riceve, confermando il sospetto che la cerchi, ma soprattutto chi la dà, tutto un popolo con le sue autorità, interne ed esterne, senza differenze.

L’angoscia. In questo film non c’è salvezza. Il giusto muore perché è tale. La gente condanna chi vuole essere migliore. E’ inutile essere giusti. Funziona  così in Sardegna?

Non sono abbastanza aggiornato in cinematografia da poter sostenere la discussione se ci troviamo di fronte al capolavoro del giovane cinema sardo. Difficile, però, trovare un’opera artistica che sia stata finora  in grado  di affermare, come questo film di Columbu, che il cristianesimo del vangelo e della risurrezione non è arrivato nell’Isola. Sconfitta del giusto e cattiveria della comunità. L’aridità rocciosa del Corrasi e le nuvole tempestose di cieli essi pure feroci sostengono e coprono l’impossibilità di una nostra redenzione.

Ritornerò oggi, da solo, a rivedere ‘Su Re’. Cerco la risposta alla domanda che stamane vorrei rivolgere a Giovanni. Ma perché, allora, anche secondo te, è SU RE?

 

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