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L’UNIONE SARDA: Alcoa, lampi di guerriglia; LA NUOVA SARDEGNA: Operai Alcoa, rabbia e delusione; Il Corriere della sera: Alcoa, spiragli dopo gli scontri; La Repubblica: Alcoa, esplode la rabbia operaia; La Stampa: Alcoa, dopo gli scontri, l’attesa.

Posted By cubeddu On 11 settembre 2012 @ 11:29 In Blog,Industria,Lotte sociali in Sardegna,Movimenti sociali, sindacati | Comments Disabled

Rassegna della stampa sarda dell’11 settembre 2012

 

 

 

 

 

L’UNIONE SARDA – Politica: La delusione dei sindacati: «Adesso intervenga Monti»

11.09.2012

Se un comunicato può rivelare lo stato d’animo di chi lo scrive, è lecito immaginare volti scuri nelle sedi dei sindacati sardi. I commenti dei reduci dai vertici romani sull’Alcoa trasudano delusione: è «assolutamente negativo» il giudizio del leader Cgil Enzo Costa, mentre la segreteria Cisl, tramite Giovanni Matta, vede di fatto «un nuovo rinvio, senza indicazione da parte del Governo di percorsi certi e immediati per assicurare la continuità produttiva a Portovesme». Ed entrambi chiedono che entri in campo il premier Monti. LA CGIL «L’esito dell’incontro al ministero – scrive Costa – conferma la scarsa attenzione che Governo e Regione riservano al nostro apparato industriale. È urgente spostare il confronto a Palazzo Chigi per affrontare l’intera emergenza Sardegna». Non è arrivata la sospensione dello stop agli impianti, ma solo una «chiusura rallentata»: proposta che la Cgil definisce «non rispettosa del dramma sociale di un intero territorio. Parlare di nuovo progetto di sviluppo del Sulcis mentre si chiude la filiera industriale dell’alluminio – prosegue Costa – è un controsenso: o il piano è aggiuntivo alle strutture produttive esistenti, o il saldo occupazionale sarà negativo». LA CISL Secondo Matta, «il solo modo per chiudere positivamente la vertenza Alcoa è portarla, con la questione industriale sarda, a Palazzo Chigi. Solo un impegno del Governo e del presidente del Consiglio può dare prospettiva di rilancio». Gli «accordi-spezzatino» e i «tavoli settoriali», infatti, «si stanno rivelando inutili». Anche Matta si rammarica perché Alcoa accetta solo di rallentare lo spegnimento: «La Regione – insiste – deve ora mettere in campo tutta la sua forza politica per chiedere al presidente Monti l’apertura, in tempi brevi, di un tavolo di contrattazione sulla vertenza Sardegna». ALTRE REAZIONI Massima attenzione sulla crisi sarda anche dall’Ugl: da domani il leader nazionale Giovanni Centrella incontrerà i lavoratori dell’Alcoa, della Vinyls e di Ottana, in un giro che toccherà Cagliari, Sassari, Nuoro e Oristano. L’ENEL L’amministratore delegato di Enel Fulvio Conti ha assicurato «la disponibilità del gruppo a studiare i progetti che le istituzioni presenteranno sulle questioni energetiche che riguardano la Sardegna, ribadendo il ruolo collaborativo che Enel ha sempre avuto nella regione». È quanto fa sapere il gruppo in una nota nella quale riferisce che il presidente della Regione Sardegna, Ugo Cappellacci, ha incontrato il menager della società elettrica. Durante l’incontro «sono stati esaminati a lungo e in modo approfondito i casi di Carbosulcis e di Alcoa».

L’UNIONE SARDA – Politica: Cala la notte su Alcoa. Poche speranze dopo il vertice romano

11.09.2012

ROMA Il futuro dell’Alcoa resta un grande e drammatico punto interrogativo. L’incontro di ieri al Ministero dello sviluppo economico lascia totale incertezza sul destino della fabbrica di Portovesme, tanto che i sindacati chiedono di spostare il confronto a Palazzo Chigi. Una giornata tesissima dentro e fuori gli uffici di via Veneto. Lungo le strade la protesta dei lavoratori letteralmente circondati dalle forze dell’ordine. Nella sala “Parlamentino” del Mise clima rovente, nella sostanza e, a momenti, anche nella forma. Quasi sette ore di discussione sono servite a ben poco, giusto a prendere tempo rinviando un tantino l’arresto degli impianti e a prepararne una parte per un eventuale rapido riavvio. Alla fine i sindacati si sono rifiutati di firmare il verbale della riunione sottoscritto da Governo, Regione e Provincia. Decisamente un risultato non esaltante. Il primo ad ammetterlo è il governatore Ugo Cappellacci: «Ci sono giusto dei segnali incoraggianti – dice prima di andar via a fine serata – per le attività finalizzate al riavvio delle celle. Purtroppo è ancora poco perché nel frattempo il processo va avanti», Cappellacci spera in un qualche ripensamento di Alcoa e si augura che un eventuale confronto sulla cessione avvenga il più velocemente possibile. «Comunque – annuncia – la battaglia continua: guardia altissima e impegno massimo». Che poco o nulla di nuovo bollisse in pentola lo si è capito fin dall’inizio, quando il sottosegretario Claudio De Vincenti ha fatto il punto della situazione. Niente di più di un riassunto delle puntate precedenti, con la conferma dell’impegno del Governo a facilitare la vendita intervenendo sul costo dell’energia, gli ammortizzatori sociali per gli eventuali esuberi e le infrastrutture. Unica novità, la cassa integrazione anche per i lavoratori dell’indotto annunciata dal sottosegretario al Lavoro Michel Martone. Niente da fare, invece, per i 68 interinali. De Vincenti e Cappellacci mettono insieme Alcoa e Piano per il Sulcis insistendo sulla necessità di difendere l’esistente ma anche di gettare le basi per creare nuove realtà produttive. Esigenza sacrosanta ma ora il problema immediato è l’Alcoa e, in ogni caso, le nuove iniziative devono dare lavoro ai disoccupati attuali e non agli orfani della multinazionale americana. «Col piano Sulcis si deve creare occupazione aggiuntiva e non sostitutiva», taglia corto Enzo Costa, segretario generale della Cgil sarda. Non rassicurano neppure le buone intenzioni manifestate dal vertice dell’Enel al presidente della Regione. Ci vuole ben altro per un territorio che ha perso in pochi anni 4300 buste paga e si ritrova con tremila cassaintegrati. Lo ricorda il presidente della Provincia, Tore Cherchi che chiede «atti coerenti di distensione». Di cui non si vede neppure l’ombra nel successivo intervento dell’amministratore delegato di Alcoa Giuseppe Toia che conferma il programma di arresto della fabbrica. L’atto di distensione chiesto genericamente da Cherchi viene precisato dai sindacalisti: ritardare lo spegnimento degli impianti. Pretesa minima per non presentarsi a mani vuote davanti ai lavoratori. De Vincenti sospende l’incontro alle 14,40 per mediare tra le parti. «Ci rivediamo alle 15,20», dice. La riunione riprende invece alle 17,35. Arriva il ministro Corrado Passera che ripropone quanto già detto in mattinata da De Vincenti e ne approfitta per smentire di aver mai considerato impossibile la soluzione del caso. Governo, Regione e Provincia propongono la bozza di verbale. I sindacati chiedono una pausa, discutono e non firmano. Cala la notte. Buio su Roma e sull’Alcoa.

L’UNIONE SARDA – Politica: Cariche, scontri e feriti

11.09.2012

ROMA Alla fine tornano a casa stanchi, delusi e divisi. La trasferta romana per gli operai dell’Alcoa si conclude nel peggiore dei modi. Con un’assemblea pubblica davanti a decine di telecamere vicino all’ingresso del ministero dello Sviluppo economico. Ci vuole l’esperienza di un sindacalista di lungo corso come Angelo Diociotti per convincere tutti a tornare a casa. La lotta riprende oggi, ma la delusione è grande. Non mancano i momenti di tensione alla fine del vertice al Mise. C’è anche una tentata aggressione a Marco Bentivogli della Cisl, ma con passare dei minuti gli animi si rasserenano e i quattrocento operai si rimettono in viaggio verso l’Isola. L’ARRIVO L’ultimo atto di una vertenza che sembra non finire si consuma alle 22 di ieri sera al termine di una giornata che inizia molto presto. Alle sei del mattino gli operai arrivano a Civitavecchia. Vengono accolti da alcuni attivisti di Sel e della Cgil che offrono paste di crema e caffè bollente. Sulla banchina un centinaio di poliziotti e carabinieri aspetta i manifestanti per scortare gli otto pullman con a bordo gli operai fino a Roma. TENSIONE L’appuntamento per il raduno è fissato alle 9 in piazza della Repubblica, presidiata da centinaia di uomini in divisa e decine di blindati. L’aria è tesissima. Gli operai intonano i primi cori e vengono fatti esplodere alcuni petardi. Dopo qualche minuto si sente il forte boato di una bomba carta, il primo di una lunga serie. Le esplosioni accompagnano tutta la giornata dei lavoratori Alcoa. I primi screzi con le forze dell’ordine iniziano nel Largo Santa Susanna. Numerose strade sono bloccate dagli agenti in assetto antisommossa e il corteo in diverse circostanze cerca di forzare la barriera degli uomini in divisa. Volano i primi spintoni, ma non accade niente di particolarmente grave. GLI INCIDENTI Le cose si complicano quando i manifestanti arrivano a poche centinaia di metri dal Mise. La sede del ministero è presidiata da tantissimi poliziotti in assetto antisommossa e controllata dall’alto da un elicottero dei carabinieri. Il primo vero scontro è in via San Basilio, dove i manifestanti entrano in contatto con una trentina di finanzieri. C’è qualche spintone, urla e un grande caos. Volano sampietrini che fortunatamente non colpisce nessuno, ma danneggiano un furgone delle Fiamme Gialle. La situazione peggiora attorno alle 13,30, quando circolano le prime voci sul vertice. Indiscrezioni che durante la giornata si riveleranno fondate e destinate ad alimentare il vero momento di tensione. Centinaia di manifestanti si avvicinano ai carabinieri che bloccano l’accesso a via Molise dal lato di via Veneto. Gli animi si surriscaldano e a farne le spese è Chiaro Salaris, un operaio di Portoscuso che viene colpito a manganellate da un poliziotto. «Non ho fatto niente, l’ho supplicato, ma mi ha colpito alla schiena e quando sono caduto a terra mi ha calpestato». Negli scontro è rimasto ferito anche un agente. Alla fine della giornata sono quattro le persone che si rivolgono al 118 e una ventina i contusi. Tra queste anche il sindacalista Massimo Cara, soccorso da un medico in fascia tricolore: il sindaco di Iglesias Ginetto Perseu. SERATA DI FUOCO Gli scontri tra polizia e manifestanti durano giusto qualche minuto, ma i toni della protesta restano sempre altissimi fino a tarda notte. A metà pomeriggio circolano altre voci poco rassicuranti. Gli operai riprendono a urlare a squarciagola e il rumore delle bombe carta contribuisce ad appesantire ulteriormente il clima. Anche gli uomini del servizio d’ordine delle organizzazioni sindacali vivono brutti momenti. Un giovane vestito di nero viene individuato da alcuni operai che lo invitano ad andare via dalla manifestazione. «L’ho visto quando ha preso una bandiera della Uil – racconta Nicola Pisu – il suo atteggiamento ha insospettito tutti quanti. L’abbiamo fermato e poi è stato portato via da una funzionaria della Digos di Cagliari. Sapevamo che c’era il rischio di infiltrazioni nel corteo». PIOVONO PIETRE Intorno alle 17,30 si scatena un intenso tiro al bersaglio contro il ministero. I manifestanti lanciano di tutto: bottiglie (piene) d’acqua, bastoni, panini, mele, caschetti, bulloni d’alluminio. Poco prima delle 18 inizia una nuova fase della protesta, quella certamente più creativa. Gli operai seduti sull’asfalto e disposti in fila indiana intonano cori. Fabrizio Basciu improvvisa uno spogliarello e resta in mutande. «Ecco come ci state riducendo», urla. Qualche ora più tardi l’allegria svanisce. La delusione per l’esito del vertice alimenta nuovamente la tensione. Gli operai delusi tornano in Sardegna, ma assicurano che non è finita. «Non si libereranno di noi facilmente, non ci arrenderemo mai».

L’UNIONE SARDA – Politica: La concessione della multinazionale: slitta a novembre lo stop agli impianti

11.09.2012

ROMA «Non si capisce perché siamo venuti a Roma per fare il punto su una situazione che conoscevamo già dai giornali». Trasferta inutile per la presidente del Consiglio regionale Claudia Lombardo che esprime un giudizio negativo sul risultato dell’incontro. «Ci attendevamo che il Governo riuscisse a ottenere la sospensione della fermata degli impianti. Così non è». Il blocco dello stabilimento slitta al 1° novembre. Per altri dieci giorni si lavorerà poi a preparare 56 delle 320 celle per un rapido riavvio e sino alla fine del mese funzionerà la fonderia. Questo è tutto quel che Alcoa ha concesso. Come ha ribadito il ministro Corrado Passera la vertenza sta a cuore al Governo e quindi l’impegno continuerà e verrà intensificato. A breve verrà convocata la Glencore per sollecitarla a formalizzare in una lettera ad Alcoa il suo interesse. Gli americani intanto tratteranno con gli altri svizzeri, il Gruppo Klesch. Ministero e Giunta regionale sonderanno infine le reali intenzioni di operatori indiani e cinesi che si sono fatti informalmente avanti negli ultimi giorni. La grande paura è che una volta mandato a dormire, lo stabilimento sia difficile da risvegliare. Klesch ha fatto sapere di essere disposta a rilevarlo comunque. Lo dice ma non prende impegni formali e vincolanti. Il che insospettisce i sindacati piuttosto che rassicurarli. I tempi comunque sono risicati e le carte dovranno essere tutte scoperte abbastanza presto. A quel punto si capirà se Alcoa avrà o non un futuro. (S. L.)

L’UNIONE SARDA – Politica: Fassina (Pd) insultato e cacciato via

11.09.2012

ROMA La presenza dei politici non era gradita. Ieri mattina erano in tanti alla manifestazione, ma ha pagato per tutti Stefano Fassina, responsabile dell’economia del Pd. Mentre rilasciava un’intervista è stato insultato e invitato a levare il disturbo. Più tardi si è scoperto che a gridare «buffone, buffone» non era un operaio dell’Alcoa, ma una persona estranea alla manifestazione. E stato Marco Broccia a fermare l’uomo e chiedere l’intervento della polizia. «L’ho visto», ha raccontato l’operaio, «e ho capito che non era uno di noi. Mi ha detto che era un professore, poi ha raccontato un’altra cosa. Non so cosa volesse fare, ma ha certamente sbagliato. Penso che anche Fassina non ci facesse niente, come del resto tutti gli altri politici». In precedenza lo stesso esponente del Pd era stato “disturbato” mentre concedeva un’intervista dalle urla di Antonello Pirotto, leader dei lavoratori Eurallumina arrivato a Roma per dare il suo contributo alla protesta dell’Alcoa. È invece andata meglio ad altri parlamentari e consiglieri regionali sardi, se non ignorati sicuramente poco considerati dal popolo dell’Alcoa. «Ho partecipato alla manifestazione per supportare la protesta dei lavoratori della fabbrica di Portovesme», ha commentato Fassina, «ovviamente la violenza non è mai tollerabile». L’aggressione a Stefano Fassina è stata condannata da tutto il mondo politico e sindacale. «Voglio mandare un abbraccio di solidarietà a Fassina, che ha avuto delle contestazioni. Ho opinioni politiche sul lavoro molto distanti da quelle di Fassina, ma questo non significa che non voglia inviargli un abbraccio e la mia solidarietà», ha commentato il sindaco di Firenze Matteo Renzi. «Quando una legittima protesta per l’occupazione», ha detto Sergio D’Antoni del Pd, «viene rovinata da singoli episodi di violenza, i primi a pagarne le conseguenze sono gli stessi lavoratori. L’aggressione a Fassina è il sintomo di una grave e controproducente involuzione che indebolisce le ragioni della lotta». Sull’episodio accaduto ieri mattina davanti al ministero dello Sviluppo economico è intervenuto anche il Partito Democratico della Sardegna con il segretario Silvio Lai che «rinnova la stima per Stefano Fassina ed esprime il suo apprezzamento per l’impegno che il responsabile economia e lavoro del partito sta profondendo per arrivare a una positiva soluzione della vertenza Sardegna». (Fr. P.)

L’UNIONE SARDA – Politica: A Portovesme sit-in degli operai: «Sappiamo già come andrà a finire»

11.09.2012

PORTOVESME Tensione e preoccupazione ieri per tutta la giornata davanti all’Alcoa. A tenere banco tra gli operai rimasti a Portovesme non solo le notizie sul vertice di Roma, ma anche i disordini, i tafferugli, le notizie di feriti che si rincorrono per ore. Davanti ai cancelli c’è un presidio di lavoratori, molti sono in contatto diretto con i colleghi a Roma, c’è chi segue in diretta la manifestazione sbirciando dalla postazione Sky davanti alla fabbrica. Nel piazzale anche alcune donne: mamme in apprensione per i figli a Roma, mogli preoccupate per una basta paga (in molti casi l’unica entrata familiare) che vacilla. L’umore non è dei migliori, la preoccupazione aumenta mano a mano che arrivano le notizie dal vertice tra Governo, sindacati e Alcoa. Nel pomeriggio gli operai hanno bloccato la strada davanti allo stabilimento: per circa un’ora hanno impedito a singhiozzo il passaggio di auto, pullman e mezzi. Altra iniziativa nel tardo pomeriggio. CAMION BLOCCATI Le notizie in arrivo da Roma sono nere, nerissime: «Alcoa non vuole saperne di bloccare la fermata delle celle», la notizia peggiore per i lavoratori che invece vorrebbero più tempo per far sviluppare le trattative di vendita della fabbrica. Una trentina di operai si sono allora diretti verso il porto industriale di Portovesme, piazzandosi davanti all’ingresso della banchina Enel, bloccando l’uscita dei camion con carbone e biomasse diretti alla centrale termoelettrica. La scelta non è casuale: dall’inizio della vertenza- Alcoa i lavoratori puntano il dito contro l’azienda elettrica, invocando un accordo bilaterale per ridurre il prezzo dell’energia, problema numero uno nella produzione di alluminio. SIT-IN PACIFICO Il sit-in pacifico davanti ai cancelli del porto è andato avanti per alcune ore, impedendo lo scarico della nave attraccata a Portovesme. Al porto sono arrivati anche due blindati della polizia, da circa due settimane a Iglesias è presente un reparto anti-sommossa. Gli agenti però non si sono schierati ai cancelli, sono rimasti a distanza, la situazione è sotto controllo. I lavoratori hanno incassato la solidarietà degli autotrasportatori, rimasti bloccati. Per lo scarico della nave bisognerà aspettare questa mattina. Alle 20 gli operai hanno sciolto il sit-in e hanno abbandonato il porto, tornando davanti ai cancelli Alcoa. RABBIA OPERAIA «Siamo arrabbiati neri, non ci sentiamo per niente italiani», accusa Stefano Ansaldi, 40 anni, da 7 dipendente di un’impresa che opera all’interno dell’Alcoa, «il Governo non è stato in grado di tutelarci come cittadini, parlano di ripresa ma come si può immaginare una ripresa se ci stanno togliendo il nostro reddito. Qui esploderà la disperazione più nera, non c’è niente oltre queste fabbriche, non sono stati neanche capaci di programmare un’alternativa e adesso è troppo tardi». Impossibile trovare operai ottimisti, tutti credono che l’Alcoa fermerà le celle. «È un’agonia per noi e per le nostre famiglie», gli fa eco Pietro Caredda, 55 anni, «bastava sentire le dichiarazioni dei ministri nei giorni scorsi, per loro è già finita, altro che soluzione». RASSEGNAZIONE «È tutto già scritto, si capisce benissimo», sentenzia Serafino Biffa, «la fabbrica sta andando verso la fermata, fino a questo momento non si intravede una soluzione, ma ci sarà ancora da lottare». Stando all’accordo del 27 marzo Alcoa garantisce la presenza in fabbrica dei suoi dipendenti fino al 31 dicembre, dopo scatterà la cassa integrazione. (Antonella Pani)

L’UNIONE SARDA – Politica: «La violenza non serve»

11.09.2012

«Il ministro Passera è latitante da otto mesi sulla vicenda Alcoa ma il Governo deve dare risposte». Mauro Pili , parlamentare del Pdl, è intervenuto ieri alla Camera sulla situazione del Sulcis dove «lo Stato non esiste e il Governo non ha fatto niente per arginare l’avanzare del deserto economico, sociale ed ambientale». Per l’Ilva ha emanato un decreto-legge urgente ad agosto, per il Sulcis nulla. «Peggio: avete disposto manganelli e violenza», ha detto l’ex presidente della Regione a Montecitorio, davanti ai ministri Corrado Clini (Ambiente) e Fabrizio Barca (Coesione territoriale). CONDANNA «La repressione della grave situazione sociale del Sulcis è un atteggiamento gravissimo che condanno. Mai a Roma ho visto uno spiegamento di forze così consistente come quello per arginare i lavoratori, che rischiano di perdere il proprio lavoro e il proprio stipendio». Anche perché – ha argomentato il deputato di Iglesias rivolgendosi ai due rappresentanti del Governo – «avete perseguito la strada di due pesi e due misure: per l’Ilva e Taranto emanate un decreto urgente, per il Sulcis, non solo non avete fatto niente, ma avete messo in campo un’azione dilatoria di perdita di tempo e una gestione della vertenza da dilettanti allo sbaraglio, altro che professori». LE RICHIESTE Pili ha chiesto inoltre «per quale motivo il Governo interviene con sollecitudine su Ilva e invece per il costo energetico del Sulcis non fa nulla dimenticandosi di applicare il decreto del presidente della Repubblica risalente al 1994 che prevede un percorso già definito nei tempi e nei modi». LE ACCUSE Nel Sulcis stanno chiudendo unità produttive per oltre 5 mila posti di lavoro che – secondo il parlamentare sulcitano – «proporzionalmente rispetto all’Ilva sono molti di più perché concentrati in una realtà piccola, povera e marginale rispetto al nostro Paese. Quindi, non possiamo accettare che il ministro Passera continui a disertare la strada delle risposte per seguire invece quella strabica verso una parte marginale o comunque parziale del Paese». A fermare il Sulcis però ci sono anche altre realtà, non solo il Governo. «Ci sono, per esempio, le lobby, quelle che agiscono a Taranto, ma anche quelle che aggirano e che perseguono, attraverso i canali istituzionali più strani, le logiche dell’Enel». Quindi la conclusione: «Se il Governo ritiene necessario un provvedimento legislativo, lo faccia ora nel decreto dell’Ilva e smetta di perdere tempo». ALTRE REAZIONI «Chi è sceso in piazza a Roma chiede lavoro, non assistenza. Purtroppo, la vertenza dello stabilimento di Portovesme dimostra», dice Antonio Di Pietro , leader dell’Idv, «che l’Italia non è arrivata alla fine del tunnel della crisi, come vorrebbero farci credere i tecnici e i banchieri del governo. Monti, Fornero e Passera si assumano la responsabilità di quanto sta accadendo oppure si facciano da parte per il bene dell’Italia». Tocca poi all’ex ministro Paolo Ferrero , segretario nazionale di Rifondazione comunista: «La protesta degli operai è sacrosanta: in Sardegna la situazione è drammatica, in particolare nel Sulcis. Il governo deve prendere un impegno chiaro: o trova un acquirente serio subito oppure deve nazionalizzare l’azienda e garantire la continuità produttiva». Quindi Maurizio Lupi , vicepresidente della Camera: «Comprendiamo lo stato d’animo e le ragioni dei lavoratori dell’Alcoa che stanno vivendo un momento drammatico e che hanno tutto il diritto di difendere il loro posto di lavoro, ma dall’altra parte non possiamo che condannare con fermezza ogni forma di violenza che può sfociare in tensioni gravi e ingiustificabili». Emanuele Collu , segretario dei Responsabili sardi (il movimento di Scilipoti) dice: «I lavoratori hanno il nostro sostegno, speriamo che si risolva tutto per il meglio». Chiude Nichi Vendola , leader di Sel: «La vicenda Alcoa e il dramma che stanno vivendo da troppo tempo centinaia di lavoratori e le loro famiglie è la cartina di tornasole dell’incapacità che ha avuto la politica del centrodestra in questi anni, e anche l’attuale governo, nel porre in atto politiche concrete di sviluppo e per il lavoro». (Lorenzo Piras)

LA NUOVA SARDEGNA – Politica: Operai Alcoa, rabbia e delusione

11.09.2012

L’intervento in serata del ministro dello sviluppo economico Corrado Passera presso i vertici dell’Alcoa ha ottenuto il risultato di rallentare ulteriormente lo spegnimento delle celle elettrolitiche. Contemporaneamente è giunto l’invito alle due società interessate (Glencore e Klesc) perché presentino subito vere offerte per gli impianti di Porto Vesme.

LA NUOVA SARDEGNA – Politica: Alcoa, stop rinviato: corsa contro il tempo

11.09.2012

La giornata più lunga per i lavoratori Alcoa si è chiusa alle dieci e trenta di ieri sera, un’ora dopo che la delegazione sindacale da sei ore impegnata in un durissimo braccio di ferro con l’azienda era scesa nel budello di via Molise per portato una notizia attesa, ma non del tutto positiva: Alcoa ritarda le operazioni di spegnimento delle celle e lo fa solo per alcune settimane, anche i tempi sono nebulosi. Nel frattempo proseguiranno a tutta velocità le trattative con le due multinazionali in campo, Glencore e Klesch, per arrivare ad avere concrete e solide manifestazioni di interesse entro l’anno. Nessun vincitore. La giornata più lunga, e più violenta, che questa vertenza ricordi, non ha avuto né vincitori né vinti: ciascuna delle parti in campo, azienda, governo, regione e sindacati, si era così spinta in avanti che pensare di strappare un risultato pieno sarebbe stato impensabile. Mai come ieri la trattativa si è giocata su più tavoli: quello ministeriale, e quello della piazza, in certi frangenti ancor più determinante. Alla fine l’intesa, se così la si vuol chiamare, ha prodotto solo uno slittamento di tempi e un arrivederci. Forse il massimo che si poteva strappare a quella riunione con una piazza che ribolliva come non mai. Lo scontro del primo pomeriggio e i mancati scontri serali, sono stati quasi la prova generale di quello che sarebbe potuto accadere in caso di totale fallimento della trattativa. Un rischio che nessuno poteva permettersi di correre. Né il governo, che non a caso a governare l’ordine pubblico ha inviato i massimi vertici della questura di Roma (presente il vicario del questore), né gli enti locali, che sarebbero usciti con le ossa rotte da un fallimento su tutta la linea né soprattutto il sindacato, che doveva dare dimostrazione di forza ma nel contempo doveva anche far vedere che la sua capacità contrattuale era rimasta inalterata. Ecco perchè l’allungamento dei tempi, pur non soddisfando nessuno,non è stato rigettato dai protagonisti della trattativa. Azienda messa all’angolo. L’unica parte che ha cercato in tutti i modi di mantenere le posizioni iniziali è stata Alcoa. Una scelta, quella della multinazionale americana, che ha due diverse chiavi di lettura; il no al ritardo nello spegnimento delle celle, che non pregiudica la fermata dell’impianto, si può spiegare solo con la volontà di Alcoa di non favorire alcuna trattativa, o con l’interesse a consegnare ad un eventuale compratore un impianto non al meglio. Ma questa posizione è stata messa all’angolo dalla pervicace ostinazione di governo e sindacato. I delegati presenti alla riunione hanno anche minacciato di lasciare la sala riunioni del ministero se non fosse stato raggiunto l’accordo. Anche la Regione, con il presidente Cappellacci, aveva espresso la stessa intenzione. A quel punto anche i lavoratori in via Molise sarebbero rimasti tutta la notte. Una minaccia ripetuta anche ai delegati usciti a illustrare l’accordo. «Il ritardo nello spegnimento è una presa in giro, tanto vale chiudere tutto subito. Noi da qui non ce ne andiamo». A turno, a tarda notte hanno preso la parola tutti i delegati sindacali di Cgil, Cisl Uil e Cub, uniti nel rimettersi alla assemblea ma decisi a far valere le ragioni dell’accordo, e quindi a lasciare in nottata Roma. L’accordo. Si basa su alcuni punti, i primi dei quali sono tutti legati ai tempi: il governo infatti ha sollecitato le due multinazionali interessate, a presentare nei tempi più brevi possibili le loro manifestazioni di interesse, e per questo ha chiesto e ottenuto da Alcoa uno spegnimento più graduale delle celle e l’allungamento dei tempi di chiusura totale dell’impianto, da completarsi non più entro metà ottobre ma entro il 30 novembre. Nel verbale di intesa c’è scritto infatti che “il processo di spegnimento delle celle avverrà in modo più graduale rispetto a quanto previsto dalla società, evitando consistenti blocchi giornalieri in precedenza previsti”. Nel testo si stabilisce inoltre che la fonderia resterà attiva per tutto novembre e che, oltre a garantire la tenuta in efficienza di tutte le celle, per molte di esse Alcoa predisporrà un processo per l’immediata rimessa in marcia, che avverrà a carico degli americani. Da ultimo, ma non meno importante, la cassa integrazione in deroga per i lavoratori dell’indotto. Favorevoli e contrari. Questi i risultati raggiunti al termine di una serata interminabile, scandita dai botti per strada, dai finti assalti alle forze dell’ordine, dai fuochi e dai bivacchi degli operai lungo la via Molise, il budello dietro al ministero per un giorno terreno di battaglia virtuale e reale. A tarda sera l’assemblea degli operai ha deciso di lasciare il presidio, così come invitavano a fare i sindacati. «Dobbiamo tornare a casa – avevano detto Franco Bardi, Rino Barca e Daniela Piras –, la lotta deve proseguire in Sardegna». Le loro parole hanno convinto tanti lavoratori ma non tutti. Pronti a occupare a oltranza la piazza romana. Sarebbe stata in quel caso una prova di forza con polizia e carabinieri che sino a quel momento avevano ricevuto ordini dal Viminale di non accettare provocazioni. Ma niente è stato ancora portato a casa. Ne è consapevole il presidente della Provincia Tore Cherchi, che dopo aver criticato Alcoa per non «aver dimostrato maggior comprensione» richiama i prossimi appuntamenti tra governo e possibili acquirenti. «Le trattative devono partire al più presto. Dalle lettere si passi ai primi incontri». Si spera a carte scoperte.

LA NUOVA SARDEGNA – Politica: Petardi e bombe carta: feriti agenti e lavoratori

11.09.2012

«Tamburi sardi, duri e testardi» urlano gli operai dell’Alcoa arrivando fin sotto lo sbarramento della polizia che da via Molise blocca l’accesso a via Veneto. Sono le 13.30. Nella lunga giornata di protesta sotto il ministero dello Sviluppo economico sarà lo scontro più duro. È lo scontro dell’esasperazione. Quella di sentirsi trattati come «delinquenti», scortati fin dalla partenza da Cagliari, impossibilitati a muoversi per le strade di Roma, confinati in una strada a T, in un budello di trecento metri. Per ore. Ore interminabili in cui si decide del loro futuro, consapevoli di quanto siano flebili le speranze portate dall’isola fino al continente. Ore 10. I 500 manifestanti sono tutti in piazza della Repubblica. La loro rabbia ti investe come il frastuono della loro protesta. Il dispiegamento di forze dell’ordine è imponente: esattamente il doppio degli operai. La piazza è blindata, come tutto il percorso che li porterà fino al ministero, ogni strada che non sia quella prevista dal corteo è sbarrata dalle camionette di polizia, carabinieri e guardia di finanza. L’elicottero della polizia volteggia già da qualche ora. Si sparano i primi petardi e fumogeni. Un gruppetto di ragazzetti facinorosi, che nulla c’entra con i sardi, tenta di infiltrarsi. Sarà lo stesso “servizio d’ordine ex Alcoa” ad allontanarli. Ore 11.11. Il percorso tracciato innervosisce i manifestanti che più volte, prima dell’arrivo a destinazione, tentano di deviare strada. Gli agenti in tenuta antisommossa li respingono. Ore 11.23. La tensione inizia a salire. Ora sono tutti davanti l’ingresso laterale del ministero. Intrappolati in quella T tra il Mise e la storica via Veneto. Il lancio di petardi e bombe carta è incessante, alcuni botti superano lo sbarramento infilandosi negli spazi vuoti della cancellata ministeriale. Un manifestante si fa male cadendo per evitare una bomba carta. Incessante è anche il frastuono dei fischietti e dei caschi sbattuti sull’asfalto, tamburi e trombe da stadio a scandirne il ritmo. Ore 12.34. L’incontro sulla vertenza non è ancora iniziato. Comincerà da lì a breve. In via Molise fa capolino Stefano Fassina, responsabile dell’economia per il Partito democratico. E mentre rilascia un’intervista alcuni operai si avvicinano. «Bastardi, ci avete deluso» urlano all’indirizzo del politico. Poi lo spintonano. Gli agenti lo portano via scortandolo dietro i blindati. «Rivendicare diritti non vuol dire contestare qualcuno» replica Antonello Pirotto, rappresentante Rsu Euroallumina ridimensionando l’episodio e le reazioni dei colleghi politici. Ore 13.30. Fino a un attimo prima i lavoratori di Portovesme erano seduti a terra, ai piedi del cancello del Mise, picchiavano i caschi. Poi si alzano e inneggiando «Tamburi sardi, duri e testardi» si lanciano verso i poliziotti che chiudono l’ingresso su via Veneto. È una questione di secondi. Uno di loro strattona via con forza una transenna, questa si trascina dietro le altre attaccate. Scatta il lancio di bottigliette d’acqua mezze piene, di mele, petardi e una pioggia di dischetti d’alluminio, quelle della fabbrica. Gli agenti non si aspettavano quell’attacco, vengono presi di sorpresa. Lo sfondamento non riesce e le guardie reagiscono. Con una carica. Un operaio finisce subito a terra, prende una manganellata nella schiena. Si rialza, mostra a telecamere e giornalisti il livido tondo e dice: «Io per dare il pane ai miei figli mi farei ammazzare». Ore 15.05. I feriti sono una ventina, di cui 14 esponenti delle forze dell’ordine. In realtà si tratterà solo di contusi. Ore 17.50. Si leva del fumo da terra: gli operai danno fuoco a una divisa e a delle bottiglie di plastica. Ma non c’è bisogno di intervenire. Ore 20.15. La riunione fiume sta per finire. Fuori, gli operai “disposti a tutto”, come urla la scritta sulle loro magliette, lanciano petardi infilati nelle mele. E aspettano di sapere che fine faranno

LA NUOVA SARDEGNA – Politica: Ugo Cappellacci: «Possibile salvare la fabbrica ma servono ancora più sforzi»

11.09.2012

«Credo che l’Alcoa si possa salvare ma vanno intensificati gli sforzi su più fronti: uno su tutti, quello delle trattative con nuovi possibili acquirenti. A Roma oggi si gioca la partita importante di poter rallentare il processo che sta portando allo spegnimento delle celle. Rispetto ai manifestanti, sono tutti padri di famiglia, giovani, manifesteranno nel modo più civile possibile». Così il governatore Ugo Cappellacci (foto), poco prima dell’inizio della manifestazione nella capitale. « Non voglio fare previsioni azzardate. Lo sforzo perchè tutto vada a buon fine lo stiamo mettendo tutti. Abbiamo fatto mille ed è il caso che ci si sforzi di fare qualcosa di più». All’arrivo a Roma Cappellacci aveva lanciato un messaggio su Twitter: «L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro. Lo ribadiremo oggi con gli operai Alcoa e tutta la Sardegna».

LA NUOVA SARDEGNA – Politica: Gli operai cacciano Fassina (Pd)

11.09.2012

ROMA Gli hanno gridato «bastardi ci avete deluso, ci avete venduti», poi l’hanno spintonato. Stefano Fassina, responsabile per l’economia e il lavoro del Pd, è stato aggredito da alcuni manifestanti dell’Alcoa sotto al ministero dello Sviluppo Economico mentre era impegnato a rilasciare un’intervista. Scortato dalle forze dell’ordine Fassina è stato costretto ad allontanarsi inseguito da un gruppetto di operai che gli urlavano contro. Ma nonostante la contestazione, l’esponente del Pd è rimasto nella zona della protesta, senza allontanarsi. «È dura, capisco la tensione ma non la violenza. Mentre parlavo – ha spiegato Fassina – un gruppetto di lavoratori è stato piuttosto aggressivo e alcuni di loro mi hanno scortato oltre le transenne». Quanto alla vicenda dell’azienda dell’alluminio di Portovesme, Fassina ha tenuto a sottolineare che «il Pd c’è, è l’unico partito che c’è e si prende responsabilità non sue. Noi sosteniamo i lavoratori – ha concluso –, bisogna chiarire l’impegno del governo in questa vicenda».

LA NUOVA SARDEGNA – Politica: Cgil e Cisl: «Delusi» Pd: «Risposte subito»

11.09.2012

CAGLIARI Sindacati sardi delusi dall’esito del vertice al ministero, il Pd sollecita al governo Monti risposte concrete e a non farsi distrarre dalle logiche delle multinazionali, l’Idv critica le promesse di Corrado Passera, le sigle comuniste chiedeno la nazionalizzazione dell’impianto di Portovesme, il «no» alle violenze è corale così come è unanime la solidarietà a Stefano Fassina. Sono numerose le prese di posizione sull’Alcoa-day a Roma. E oggi il punto della vertenza sarà fatto in Consiglio regionale: nel pomeriggio il presidente della giunta Ugo Cappellacci, che ieri ha partecipato alle riunioni nella capitale, riferirà all’assemblea su questa e sulle altre vertenze industriali dell’isola, da Vinyls a Ottana energia. Subito dopo la conclusione del vertice al Mise, il segretario regionale della Cgil sarda, Enzo Costa, ha affermato che «si conferma la scarsa attenzione che governo e Regione riservano al nostro apparato industriale». A suo avviso «è urgente spostare il confronto a Palazzo Chigi per affrontare l’intera emergenza Sardegna». Costa ha aggiunto che «la chiusura rallentata con il fermo impianti definitivo alla fine di ottobre strappata dal ministro Passera alla multinazionale americana non è rispettosa del dramma sociale che l’intero territorio sta vivendo, la politica rinuncia a svolgere un ruolo attivo nella gestione delle vertenze industriali: in primo piano ci devono essere il lavoro e la continuità produttiva, non solo gli ammortizzatori sociali». Del caso Alcoa ha parlato ieri Susanna Camusso al direttivo nazionale della Cgil: ha sollecitato un intervento pubblico immediato da parte delgoverno per riunificare le tante vertenze aperte nel Paese («a cominciare da Alcoa») e trovare soluzioni di tutela delleattività produttive accompagnandole fuori dalla crisi». Per la Cisl sarda Giovanni Matta ha confermato che «il solo modo per chiudere positivamente la vertenza Alcoa è portarla, insieme con la questione industriale isolana nel suo complesso, al tavolo di Palazzo Chigi. Gli accordi-spezzatino e i tavoli settoriali si stanno rivelando inutili». Moltev reazioni politiche sono state sul caso Fassina. Il responsabile dell’economia e del lavoro per il Pd nazionale ha ricevuto solidarietà da tutti i partiti, dall’Idv (con Antonio Borghesi) al Pdl (Maurizio Lupi) allo stesso Pd: il sindaco di Firenze, Matteo Renzi, ha detto che «tutti sanno quanto io la pensi in modo diverso da Fassina, ma per lui oggi c’è il mio abbraccio di solidarietà». Tutti i dirigenti di partito, che però hanno chiesto al governo di dare risposte urgenti ai lavoratori, si sono stretti attorno a Fassina. Tra questi Silvio Lai, segretario regionale sardo: «Il Pd d rinnova la stima per Stefano Fassina ed esprime il suo apprezzamento per l’impegno, anche in queste ore, per arrivare ad una positiva soluzione della vertenza Sardegna». Silvio Lai ha aggiunto: «Siamo certi che gli operai dell’Alcoa in presidio davanti al ministero dello Sviluppo economico, pur nella difficilissima situazione, condividano nella loro totalità il ripudio per la violenza e condannino gesti isolati che rischiano di offuscare le ragioni della protesta e compromettere gli esiti della stessa». Gli stessi concetti sono stati espressi da altri esponenti, tra i quali l’ex leader sindacale D’Antoni. Il segretario nazionale della Uil, Angeletti, ha giustificato l’«esasperazione» dei lavoratori ma ha condannato ogni ricorso alla violenza. Che, hanno detto tutti, «finisce per danneggiare le vertenze sindacali». L’ex ministro Cesare Damiano (Pd) ha invitato il governo a uscire dagli interventi episodici sulle vertenze industriali: «Serve una politica industriale con adeguati investimenti». E sul caso Alcoa ha aggiunto: «Il governo dovrebbe esere capace di convincere una grande industria a rimanere, è sbagliato inseguire le logiche delle multinazionali». Molto critico con il governo è stato l’Idv: in una nota congiunta, Antonio Di Pietro e Federico Palomba hanno affermato che «il ministero non ha un progetto credibile» e che «le promesse di Passera non convincono nessuno». Il leader di Sardigna Natzione, Bustianu Cumpostu, ha detto che «non è con i manganelli che fermeranno la ribellione di un popolo». Gli operai «sono vittime di scelte economiche improprie». Dura reazione, nel Pdl, da parte del sindaco di Roma, Alemanno. «Non è possibile – ha detto, esprimendo disappunto per i blocchi che la capitale ha dovuto subire – che il governo abbia atteso tanto tempo per dare la risposta che ha dato, queste cose devono essere fatte prima, non bisogna aspettare che i lavoratori siano costretti a manifestare in piazza con simili modalità per farsi ascoltare».

LA NUOVA SARDEGNA – Politica: Le donne: «I nostri uomini lottano per noi»

11.09.2012

PORTOVESME Sui volti delle donne del Sulcis è facile leggere un’attesa mista all’angoscia. O quanto sia pesante per mogli e madri restare aggrappate alle telefonate che da Roma devono dirti se la tua famiglia ha un futuro, se il tuo uomo continuerà ad avere uno stipendio, se potrai comprare i libri di scuola per i figli. Al banchetto del presidio davanti al cancello dell’Alcoa, c’è l’altra metà della protesta, quella che non ha attraversato il Tirreno perché c’è sempre una casa da tenere in ordine. Nel piazzale i telefonini sono caldissimi sin dalle prime ore della mattina e quando da Roma arrivano i primi frammenti di notizie sugli scontri , c’è una madre che fra le lacrime dice: «Perché li trattano così. Sono lì solo per chiedere un lavoro. Non siamo barbari. Mio figlio non è un violento». Il tam-tam via etere è incessante: nomi e cognomi che si accavallano, coperti dall’eco di petardi che sfondano i timpani. Mentre gli occhi si riempiono delle foto scaricate dalla Rete in cui ciascuna donna cerca un viso amico, qualcosa che faccia intuire che il «suo inviato» in via Molise, a Roma, sta bene, non è stato manganellato. «Il mio compagno – dice una ragazza incinta – è lì in mezzo al caos. Lo fa per noi, per i nostro figlio, che nascerà fra un mese. Lo stipendio dell’Alcoa è l’unica nostra possibilità per dare una speranza a questo bambino che porto in grembo. Se perdiamo anche quei soldi, in questo territorio martoriato, tutti noi saremo condannati alla povertà». Parole forti, ripetute più volte nella lunga e faticosa giornata da chi, come gli operai a Roma, non è disposta a fare un passo indietro. Lo dicono anche le poche tute blu rimaste a Portovesme, perché nonostante lo sciopero aziendale, il ciclo continuo dell’alluminio deve andare avanti e la fermata delle celle è stata programmata dalla multinazionale americana con un calendario che sa di condanna a morte per la fabbrica. L’attesa è lunga e nessuno qui riesce a stare fermo: il via vai è davanti alla cancellata, dove fra le bandiere del sindacato, c’è chi ha allestito un ufficio stampa volante per raccontare quanto accade a Roma, dov’è appena cominciato il vertice decisivo e tutti sanno che «dalla riunione al ministero bisognerà uscire con certezze: non vogliamo il salvagente della cassa integrazione – dicono – ma l’impegno dell’Alcoa a non chiudere l’impianto e a trattare con gli svizzeri, Glencore o Klesch poco importa». Ma li operai in collegamento continuo con la pancia della protesta non sanno rimanere con le mani in mano. E così, alle 18, in venticinque marciano a passo svelto sino al porto industriale, dove ha appena attraccato una nave spagnola, è partita da Taragona, con nella stiva tonnellate di carbone estero e bio-masse extra-europee destinate alla vicina centrale dell’Enel, che è un altro bersaglio della lunga ed estenuante vertenza Sulcis. Ebbe, il manipolo che fa: blocca le operazioni di scarico della merce, impedisce l’accesso ai camion e dice: «Da qui non ci muoviamo. Il carbone è sequestrato, non arriverà mai in centrale». Presa di posizione non molto lontana da quella che rimbalza dopo dodici ore dal’altra sponda del Tirreno, dove molti operai non vogliono abbandonare Via Molise, perché non li soddisfa il risultato finale del vertice e soprattutto per loro è «deludente l’aver costretto Alcoa a rallentare solo di un mese la fermata definitiva delle celle». E nell’incertezza il comandante spagnolo che fa? Dà l’ordine di scaricare il carbone in banchina.

LA NUOVA SARDEGNA – Politica: RINNEGATO IL VALORE DEL LAVORO

11.09.2012

di GIULIO ANGIONI Un’idea di questi tempi è che il lavoro stia scomparendo e con esso gli operai: che il lavoro si stia smaterializzando perché ormai a regolare le attività umane sono la scienza e le tecnologie digitali all’interno del mercato mondiale, dove la forza lavoro è merce come le altre. Decenni di ideologia liberista ci hanno fatto perdere di vista la centralità del lavoro nella definizione di ogni possibile modello di civiltà Ma soprattutto non ci sarebbe più bisogno di masse di operai riuniti in grandi fabbriche. Cosa che renderebbe obsolete anche le antiquate, ma temute, lotte di classe, di cui si ridecreta o si invoca la fine in pro della produzione in crisi. Scienze e tecnologie digitali, tra l’altro, consentirebbero di produrre una nuova merce, immateriale, frutto di un lavoro prevalentemente o solamente cognitivo. Questa ennesima crisi, che si presenta nei panni di crisi finanziaria globale, mostra anche in Sardegna come il lavoro salariato, che sia manuale o intellettuale, continui ad esistere sempre più frammentato, decentrato, delocalizzato dal sistema produttivo capitalistico del mondo globalizzato, e con esso si acuisce il problema della componente sociale del lavoro, cioè i lavoratori e i rapporti sociali tra lavoratori e altre figure sociali. Compresi i governi degli stati nazionali, come oggi in Italia, che ha a capo un esperto economista che tra le sue convinzioni portanti ha quella che l’assetto neocapitalistico del mondo è una fattispecie della natura delle cose del mondo da sempre e per sempre. Ma le cronache del disastro produttivo di luoghi come la Sardegna fa riflettere proprio su concetti e temi del lavoro nei suoi significati più generali e profondi, niente affatto antiquati, ma di prepotente attualità. Tanto più che la crisi socio-economica del mondo occidentale non è tanto o solo crisi finanziaria, ma crisi sociale, di senso, di prospettiva, di fronte a fenomeni come la precarietà di larga parte delle giovani generazioni in forme mai conosciute da nessun’altra società in tempi storici. Oggi tutti siamo costretti a farci delle opinioni intorno ai flussi globali finanziari, accusati e temuti come responsabili impersonali dei nostri guai attuali, più o meno allo stesso modo in cui, fin dai tempi della rivoluzione industriale, si sono pensate le tecniche umane come qualcosa di autonomo e di indipendente da chi le ha prodotte e le usa, come capaci di sottrarsi agli originari scopi umani, separate dall’uomo che lavora e produce in società. In certi contesti di discorso e di sentire i flussi finanziari, come i flussi tecnologici, tendono ad apparire come di per sé forniti di efficacia autonoma nel processo di vita reale. L’idea che specialmente gli attuali apparati complessi di strumenti siano capaci di soggiogare l’uomo che li ha creati, cattivo apprendista stregone, è da tempo senso comune coltivato in ambiti colti delle società occidentali, ma anche non occidentali, quali i critici della supremazia tecnologica dell’Occidente in certe forme di islamismo. Il pessimismo antitecnicista ha molte ragioni di essere, ma non è nuovo e oggi gli si sostituisce bene l’antifinanziarismo. È un tema non solo filosofico quello del dominio disumano delle tecniche e del denaro che prendono il sopravvento sull’uomo, invertendo i mezzi con i fini. Sicché ci inquieta, alla maniera di Heidegger, non tanto che il mondo si trasformi in un completo dominio della tecnica e del denaro, ma anche che l’uomo non è affatto preparato a questo radicale mutamento del mondo, e soprattutto inquieta che non siamo ancora capaci di raggiungere un confronto adeguato con ciò che sta realmente emergendo nella nostra epoca. Ma non sta emergendo qualcosa di radicalmente e totalmente nuovo, bensì si ripropone in tutta la sua fondamentale importanza proprio il lavoro, senza il quale non si dà forma alcuna di vita umana.

L’UNIONE SARDA – Economia: Fuga dal Sulcis, i giovani se ne vanno

11.09.2012

Le fabbriche chiudono, il commercio è asfittico, l’agricoltura e l’artigianato arrancano: il risultato è che la città ritorna a fare le valigie. In realtà non aveva mai smesso ma ad emigrare, stavolta, sono intere famiglie. Si finisce a Milano, Brescia, Bergamo. E come avveniva già una decina di anni fa, una delle mete privilegiate continua ad essere Lumezzane. Oltrepassando, poi, i confini nazionali, gli approdi più ricercato sono l’Inghilterra e la Germania. Chi è senza lavoro, l’ha perso o non lo ha mai trovato, sta adottando una soluzione che nel Sulcis perennemente in crisi viene vista come l’unica possibile: partire in cerca di miglior fortuna. SI PARTE Lo confermano i dati: nei primi quattro mesi del 2012 l’ufficio Anagrafe del Comune di Carbonia ha registrato 170 cancellazioni: sono gli emigrati. Una media di quarantadue partenze al mese. In tutto il 2011 le cancellazioni erano state 422, mantenendosi perciò a una media di 35 al mese. Ma chi parte? La stragrande maggioranza dei nuovi emigranti ha dai 25 ai 35 anni. Laurea, diploma o qualifica professionale in tasca, ma zero lavoro. Neanche con contratti interinali a termine. Ma c’è un aspetto che preoccupa maggiormente e che sta alzando la media rispetto al passato: in questo scorcio di 2012 è stata sovente registrata la partenza di intere famiglie. Insomma, non parte più il papà da solo, ma la moglie a sua volta disoccupata e il figlio. IL LAVORO CHE NON C’È Fra le forze sociali che hanno il polso della situazione, come ad esempio i sindacati, questo fenomeno non è sfuggito. «Assistiamo a casi in cui – spiega Aldo Manca il segretario provinciale della Filcams Cgil, commercio e servizi – fanno le valigie giovani coppie che in questi anni sono riusciti a tirare avanti con contratti a termine che ormai non vengono più rinnovati, ma sappiamo anche di famiglie che si spostano in blocco da Carbonia». Non vanno allo sbaraglio: la base d’appoggio è quasi sempre rappresentata da parenti e amici che si sono già sistemati. «Nel Nord e centro Italia si trova ancora lavoro anche se precario come qua – prosegue Aldo Manca – nei settori del commercio, nel turismo e nella piccola industria». VIA I GIOVANI Anche le parrocchie hanno avvertito nettamente la ripresa dell’emigrazione. Don Antonio Mura, guida della chiesa di San Ponziano, manifesta una preoccupazione: «Si sta assottigliando la fascia d’età fra i 25 e i 35 anni – sottolinea – quella che può dare un futuro al territorio». Singolare, ma emblematica, una circostanza rivelata dal sacerdote. Nella sua parrocchia di recente sembravano in crescita i battesimi, come se la natalità fosse in aumento. Un’illusione. «In realtà abbiamo battezzato i bimbi dei giovani che sono partiti un annetto fa e che sono tornati in città giusto per quello». Andrea Scano

L’UNIONE SARDA – Economia: In sette mesi il record delle partenze

11.09.2012

Scappano. Lontano dalla disperazione, dall’assenza di prospettive per il futuro. Dalla fame. Che siano giovani in cerca di prima occupazione o padri di famiglia, con moglie e figli al seguito, costretti a reinventarsi un lavoro. Non è la cronaca di qualche decennio fa, ma la realtà di oggi. L’emigrazione non conosce distinzione di sesso o età: lo dimostrano i dati dell’Ufficio anagrafe comunale che parlano di una città popolata, al 31 luglio, da appena 27493 abitanti. Nei primi sette mesi di quest’anno ben 292 iglesienti hanno fatto le valigie per andare a cercare fortuna altrove: Nord Italia o direttamente paesi stranieri. Un andamento che, se fosse confermato nei prossimi mesi, farebbe superare i dati dei due anni precedenti. Nel 2011 hanno lasciato Iglesias 397 persone; nel 2010 sono state 434. LA PROSPETTIVA Fabio Enne, segretario della Cisl, in un attimo di pausa del vertice al Mise per la questione Alcoa, non può che dare una lettura catastrofica dei numeri: «Significa che i cittadini di Iglesias, come del resto del territorio, in questo momento non vedono alcuna prospettiva. È l’unico modo in cui si possano leggere questi dati e lo vediamo anche dalle singole storie nelle quali ci imbattiamo ogni giorno: ci sono i padri di famiglia cinquantenni che se ne vanno perché non hanno di che sfamare i figli; e i giovani, con alle spalle neppure una giornata di lavoro, ai quali non resta che rivolgere lo sguardo oltre Sardegna». CADUTA LIBERA Una situazione che sembra peggiorare di giorno in giorno. E non basta, a ridare ottimismo, vedere che c’è anche chi arriva. Alla voce immigrazione, nei primi sette mesi di quest’anno, Iglesias conta 289 persone; 415 nel 2011 e 399 nel 2010. «C’è fame di lavoro e di dignità – aggiunge Enne – e in tutto questo manca ancora la volontà politica che punti sì a salvaguardare ciò che abbiamo, ma anche a costruire un tessuto in grado di garantire prospettive ai nostri figli». (Cinzia Simbula)

LA NUOVA SARDEGNA – Economia: Cig nel Pd sardo, richiesta di reintegro del personale

11.09.2012

CAGLIARI Non si fermano le polemiche nel Pd sardo, dopo la decisione di mettere in cassa integrazione i dipendenti del partito. Alcuni dirigenti regionali tra i quali l’ex assessore all’Urbanistica Gianvalerio Sanna, Francesco Porcu di Porto Torres e Marco Piras di Oristano hanno presentato una petizione popolare per chiederne il reintegro al lavoro, quindi la decadenza e l’incandidabilità dei rappresentanti del Pd non in regola con i contributi interni; tra le richieste l’accessibilità ai documenti del bilancio. L’iniziativa nasce dopo l’approvazione di un ordine del giorno della direzione regionale del Pd, con cui viene disposta, «come unica soluzione esecutiva», la cassa integrazione in deroga per i lavoratori dipendenti del Partito democratico della Sardegna, motivata dalle riduzioni dei finanziamenti pubblici di cui sinora il Pd aveva potuto disporre. «Un atto assunto senza procedere a una dettagliata analisi delle mutate condizioni finanziarie del Partito regionale», si legge nella petizione, «a causa dell’indisponibilità e della visione dei documenti contabili del bilancio regionale, nel quale sono ben evidenti i crediti, per migliaia e migliaia di euro, dei contributi non versati dai parlamentari e consiglieri regionali». I presentatori della petizione hanno evidenziato che lo stesso Pd sardo «si avvale di numerose collaborazioni di cui non si conoscono né la reale necessità né tanto meno l’opportunità di fronte alla prioritaria esigenza di tutelare i propri lavoratori dipendenti». Infine chiedono norme interne che fissino la decadenza dall’appartenenza al partito di tutti coloro che, entro tre mesi dalle scadenze concordate, non siano in regola con i versamenti dei contributi al Pd

LA NUOVA SARDEGNA – Economia: Lavoro, i giovani si rivolgono all’estero

11.09.2012

Il mercato del lavoro caratterizzato in Sardegna dall’anomalia di avere tanta domanda e nessuna offerta, spinge i giovani sardi, sempre più a cercare il posto di lavoro all’estero. Lo confermano i dati dell’Eures, lo strumento della commissione europea, che dà la possibilità, attraverso il sito Internet, di verificare le disponibilità di occupazione in Europa e di proporre un proprio curriculum. A cercare lavoro all’estero sono innanzitutto gli spagnoli (231mila domande su Eures), al secondo posto gli italiani con 118.672 richieste; seguono rumeni e portoghesi. Nella ripartizione nazionale, che riguarda tutte le regioni, prevale in percentuale il numero di persone che ne fanno richieste dal Mezzogiorno e dalle isole. Ma i dati Eures sono interessanti soprattutto per capire quali sono le qualifiche e i lavori più richiesti in questo momento. La graduatoria è questa: 1) gestione di progetti; 2) ricerca; 3) Java, lingu, programmazione; 4) Autocad, programma di disegno. Ed ecco la graduatoria dei lavori più gettonati: 1) analisti di sistemi e programmatori; 2) cuochi; 3) maitre d’hotel, camerieri e baristi; 4) ingegneri, tecnici meccanici; 5) commessi; 6) ingegneri del software; 7) direttori di reparto, vendite e marketing; 8) aiuti cuoco; 9) saldatori. La possibilità offerta dall’Europa attraverso il portale Eures è quella di uniformare il curriculum vitae europeo con un modello comune. Uno strumento utile per le aziende perché questo consente loro di districarsi tra i vari titoli di studio e anche per i giovani che comunicano meglio le competenze acquisite. «I giovani sardi sono i più penalizzati», sostiene il segretario della Cisl, Mario Medde, «e l’emigrazione dall’isola è già ripresa da alcuni anni. La questione giovanile è un’autentica emergenza». (a.f.)

 

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