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Dall’evoluzione di Darwin alla biologia molecolare, di Mario Budroni

Posted By cubeddu On 10 luglio 2022 @ 08:51 In Blog,Cultura e Scuola,Persone,Società,Storia | Comments Disabled

SOMMARIO: 1 Origin of species. 2 Lamarck. 3 Filogenetica molecolare. 4 Le nuove scoperte. 5 L’origine della vita. 6 L’Endosimbiosi.  7 Dall’ipotesi alla sperimentazione. 8 Conclusioni.

Origin of species. Il primo Luglio 1858, Charles Lyell presentò alla Linnean Society la teoria di Darwin sull’Origine delle specie per mezzo della selezione naturale. Darwin non era presente a causa della morte di un figlio.
Sino alla pubblicazione del trattato di Darwin (Origin of species) il creazionismo era la teoria prevalente sulle origini della vita. Nel 1831 Darwin s’imbarca sulla nave Beagle che aveva il compito di cartografare l’America meridionale. Resterà in mare per cinque anni, girerà il mondo e avrà l’opportunità di osservare molte specie animali e vegetali. Le sue osservazioni si possono riassumere come segue. Di solito le specie hanno buona fertilità e producono numerosi discendenti. Le risorse di cibo sono di solito limitate e costanti nel tempo, per cui è possibile che ci sia una lotta per la sopravvivenza tra gli individui dello stesso ambiente. La riproduzione sessuale non produce di solito individui identici ai genitori, La variazione consistente, che si produce, è in buona parte ereditabile. Da queste osservazioni Darwin deduce anche che, essendo le popolazioni stabili e dovendo ogni individuo lottare per sopravvivere, quello con le migliori caratteristiche avrà maggiori possibilità di sopravvivenza e trasmetterà i tratti favorevoli ai discendenti.  Col passare del tempo e il passaggio di generazione in generazione le caratteristiche vantaggiose diventeranno dominanti nella popolazione. Infine arriva alla conclusione che se questa selezione naturale si protrae molto a lungo produce cambiamenti molto importanti e si arriva addirittura alla comparsa di una nuova specie. Egli documentò numerose osservazioni come dimostrazione del processo di selezione e affermò che molti reperti fossili comprovavano la validità. Infine, secondo Darwin, tutte le specie viventi hanno un unico progenitore comune. La sua teoria aveva il suo punto debole sull’ereditarietà. Non era ancora conosciuto il lavoro di Gregor  Mendel, e non era stato scoperto il DNA.

Lamarck. La prima teoria sull’evoluzione era stata proposta da Jean-Baptiste de Lamarck ( Darwin sulla nave Beagle aveva copia del “Dictionnaire classique d’histoire naturelle” di J.B Bory de Saint Vincent che era un allievo di de Lamarck). In sintesi il concetto era che la funzione crea l’organo e il disuso atrofizza lo stesso, causandone la riduzione e perfino la scomparsa. I caratteri di una specie si modificano sulla base delle funzioni e dell’ambiente e questi caratteri acquisiti sono ereditati dalla prole. A riprova elenca alcuni esempi che sono rimasti famosi. “La giraffa, vivendo in luoghi in cui la terra è arida e senza erba, è costretta a brucare le foglie degli alberi e a sforzarsi continuamente per raggiungerle” (Lamarck 1802, Recherches sur l’organisation des corps vivans, p. 208).  L’uccello che va sull’acqua spinto dal bisogno di trovare la preda da cui dipende il suo sostentamento allarga le dita dei piedi quando vuole battere l’acqua e muoversi alla sua superficie. La pelle che unisce queste dita alla base acquisisce così l’abitudine di distendersi. Così, col tempo, si sono formate le ampie membrane che oggi vediamo unire le dita delle oche, delle anatre.

Filogenetica molecolare. Questa espressione è un nuovo metodo di interpretare e ricostruire l’evoluzione della vita nell’universo. In altre parole, significa interpretare la storia della vita e i rapporti tra specie diverse dalle sequenze del DNA (acido desossiribonucleico), RNA (acido ribonucleico) e poche altre proteine. Due scoperte e un’ipotesi hanno cambiato radicalmente il pensiero sulla storia della vita. La prima è la scoperta degli archei (categoria tassonomica Archaea); la seconda è il trasferimento genico orizzontale; la terza è che gli uomini discendono da queste creature di cui fino a non molti anni fa non si conosceva l’esistenza (gli archei). Gli archei erano stati a lungo scambiati per batteri e la loro scoperta ha permesso di modificare i concetti che la scienza aveva sui microbi e sulla vita primordiale. La verifica del diffuso trasferimento orizzontale dei geni ha reso obsoleta la tradizionale certezza della loro unica trasmissione verticale, e l’impossibilità di essere scambiati lateralmente, scavalcando i confini di specie. Un esempio noto è il fenomeno della resistenza agli antibiotici di alcuni batteri. Molti batteri patogeni possono acquisire corredi di geni per la farmacoresistenza da batteri diversi attraverso il trasferimento genico orizzontale. L’ipotesi più recente è che gli animali (uomini compresi), le piante e i funghi, cioè tutti gli esseri viventi dotati di DNA all’interno nucleo della cellula, derivino da questi antichi microbi.

Le nuove scoperte. Le prime osservazioni le dobbiamo agli scienziati Fred Griffith, Oswald Avery, Joshua Lederberg, Barbara McClintock, Francis Crick e James Watson.  Fred Griffith era un fisico inglese che negli anni venti del secolo scorso studiava i casi di polmonite per conto del ministero britannico della salute. In uno di questi casi notò un cambiamento imprevisto di un ceppo batterico innocuo che d’improvviso si trasformava in un ceppo virulento e mortale. Trascorsero oltre venti anni prima che Oswald Avery, ricercatore del Rorckfeller Institute di New York identificò la sostanza (acido desossiribonucleico) che procurava questa trasformazione. Dopo pochi anni Joshua  Lederberg dimostrò la trasformazione dei batteri (da lui denominata “eredità infettiva”). Dimostrò inoltre che questo fenomeno è un processo abituale nei batteri e non solo nei batteri. Barbara McClintock,ricecatrice al Carnegie Institute of Technology, studiando la genetica del mais, scoprì che alcuni geni (trasposoni) si spostavano da un punto all’altro dei cromosomi e producevano delle mutazioni instabili. Pubblicò i suoi lavori nel 1951 su diverse riviste scientifiche, ma la reazione della comunità scientifica fu diffidente. Le donne erano ancora sottostimate in ambito scientifico, e sostanzialmente la McClintock non fu creduta. D’altro canto, le sue conclusioni erano innovative e rivoluzionarie ma allo stesso tempo in contrasto con le conoscenze scientifiche del tempo, che consideravano  i geni come strutture fisse sui cromosomi. Va sottolineato che, agli inizi degli anni cinquanta, le conoscenze in genetica erano ancora parziali e che la scoperta della struttura a doppia elica del DNA avvenne nel 1953, dopo la pubblicazione dei lavori della McClintock.  I riconoscimenti arrivarono quando ormai aveva smesso di lavorare, e nel 1983le fu assegnato il premio Nobel , 35 anni dopo la sua pubblicazione sui trasposoni. Il 7 marzo del 1953 Watson giovane (venticinquenne neo dottore di ricerca dell’università dell’Indiana) e Crick (dottorando dell’università di Cambridge), realizzano il modello del DNA. Per questa scoperta fu loro assegnato insieme a Wilkins, altro ricercatore di Cambridge, il premio Nobel nel 1962. Il modello prevedeva una struttura a doppia elica con catene antiparallele e spiegava anche la complementarità delle basi. Le eliche sono unite tra di loro, sono orientati in direzioni opposte (“filamenti antiparalleli”) e si avvolgono l’una nell’altra, come fossero due spirali. Il termine di “complementarietà tra basi azotate”, per gli autori, indicava l’univocità di legame dell’adenina con la timina e della citosina con la guanina. Con la formulazione  “modello della doppia elica”, Watson e Crick ebbero un’intuizione originale, che rappresentò una svolta epocale nel campo della biologia molecolare e della genetica. Infatti, la scoperta dell’esatta struttura del DNA rese possibile lo studio e la comprensione dei processi biologici che vedono per protagonista l’acido desossiribonucleico: da come si replica o forma l’RNA a come genera le proteine. Nel 1958, dopo svariate ipotesi, Crick pubblicò  l’articolo “Sulla sintesi delle proteine”, che è sicuramente il suo lavoro più importante, in cui spiegò come la funzione dei geni fosse quella di creare proteine, costituite da venti tipi di amminoacidi. Nell’articolo con l’espressione “dogma centrale” egli esprime l’idea che il flusso dell’informazione genetica nelle cellule è unidirezionale, dal DNA all’RNA e dal RNA alle proteine.

L’origine della vita. Sulla base delle nuove conoscenze sul DNA e sulla genetica, diversi ricercatori cominciarono a mettere in discussione le teorie di Darwin e a formulare nuove teorie sulla base delle loro sperimentazioni. Moltissimi ricercatori si cimentarono sull’argomento, ma cercheremo di restringere il campo a quelli che hanno dato il maggior contributo. I primi che prenderemo in considerazione sono Linus Pauling ed Emil  Zuckerlandl che chiamarono i loro studi “Paleogenetica chimica”. Zuckerlandl era un biologo austriaco, riparato negli USA durante annessione nazista del suo paese e laureatosi all’Università dell’Illinois.  Linus Pauling era un chimico del California Institute of Tecnology di Pasadena e aveva già ricevuto il premio Nobel per la chimica. La sua fama gli permetteva di spaziare in vari campi di ricerca e iniziò a occuparsi di genetica. In particolare, si dedicò allo studio dell’anemia falciforme, causata dalla mutazione in uno dei geni dell’emoglobina, e delle mutazioni causate dalle radiazioni liberate durante i test nucleari. Conobbe Zuckerlandl, lo portò nel suo laboratorio e fu proficua collaborazione per diversi anni. Insieme si occupavano in particolare della separazione di proteine mediante elettroforesi. Notarono che esisteva una notevole somiglianza tra l’emoglobina umana e quella degli scimpanzé e una minore somiglianza con quella degli oranghi. Arrivarono alla conclusione che attraverso le proteine dell’emoglobina si potevano individuare le specie. Nel 1963, Pauling e Zuckerlandl pubblicarono un articolo dal titolo “Le molecole come documenti della storia evolutiva”, nel quale distinguevano sostanzialmente tre tipi di molecole: le portatrici dell’informazione genetica (DNA), le proteine codificate dal DNA e altre, come le vitamine, smaltite alla fine di un ciclo del metabolismo cellulare. Gli autori affermarono che il DNA può chiarirci il tempo trascorso dal momento della separazione delle linee evolutive, l’aspetto delle molecole primordiali e le linee di discendenza. Infine affermarono che i piccoli cambiamenti nelle diverse varianti molecolari sono proporzionali al tempo intercorso nell’arco degli eoni e rappresentavano un “orologio molecolare dell’evoluzione”. La teoria era un’ipotesi non dimostrata e a un simposio fu contestata. Tuttavia negli anni successivi creò molto interesse perché se si fosse dimostrata vera avrebbe rivoluzionato la storia della vita sulla Terra.

L’Endosimbiosi.  Nel 1967, LYnn Margulis pubblica un articolo in cui tenta di descrivere la storia evolutiva.  Il titolo dell’articolo era: “Sull’origine delle cellule mitotiche” (dette anche eucariote). Margulis era un assistente dell’Università di Boston ed ebbe diversi rifiuti dalle riviste prima che il “Journal of Theoretical Biology” la accettasse. L’autrice non presentava dati sperimentali ma, l’ipotesi che fantasmi di altre forme di vita si trovino all’interno delle nostre cellule e vi svolgano una funzione, suscitò molto interesse. In sintesi la teoria sosteneva che la cellula eucariotica sia il risultato dell’evoluzione di antiche simbiosi (nominate “endosimbiosi”). La parola implicava il concetto di un organismo residente dentro le cellule di un altro e che, con lo scorrere delle generazioni, diventava parte integrante dell’organismo che lo conteneva. Qualche anno prima, il biologo cellulare e biochimico svizzero Hans Ris all’Università del Wisconsin studiava, con microscopia elettronica, i cloroplasti. Questi sono organi delle cellule vegetali e servono alla fotosintesi clorofilliana. Ris, con una colorazione biochimica e il microscopio elettronico, individuò del DNA nei cloroplasti. Inoltre notò nei cloroplasti alcuni aspetti che si riscontrano anche nei batteri (fibrille, DNA, doppia membrana). Queste osservazioni suggerivano che i cloroplasti fossero batteri fagocitati che si fossero poi riprodotti nella cellula ospite. La scoperta fu pubblicata nel 1962, ma non ebbe molta attenzione a livello di studiosi. Qualche anno dopo, Margulis pubblicò la sua teoria, basata sostanzialmente sugli esperimenti di Ris, ed ebbe un grande successo. La scoperta del DNA nei cloroplasti metteva in discussione la teoria di Mendel e la certezza che i cromosomi risiedessero solo nel nucleo, isolati e circondati dalla membrana nucleare.

Dall’ipotesi alla sperimentazione. Ford Doolittle lesse le pubblicazioni di Margulis e ne fu incuriosito e decise di verificarle. Studiava l’RNA ribosomiale e le sue trascrizioni dal DNA nelle cellule e in particolare studiava un aspetto chiamato maturazione del RNA. Si concentrò infine sull’rRNA (RNA Ribosomiale) proveniente da cinque organismi: citoplasma di alga rossa, Escherichia coli e altri quattro batteri. Coltivò gli organismi in colture con aggiunta di un isotopo radioattivo (P-32) e poi estrasse l’rRNA.  Doolittle osservò che l’rRNA dei cloroplasti dell’alga rossa differiva in modo significativo dall’rRNA del citoplasma della stessa. I due rRNA sembravano due elementi appartenenti a due regni biologici diversi. In conclusione, secondo lo sperimentatore, i cloroplasti erano uno xenotrapianto da organismi del tutto diversi e che rassomigliavano ai batteri coltivati a scopo di comparazione. Nel 1985 Carl Woese pubblicò un articolo in cui sosteneva che il batterio progenitore che aveva originato i mitocondri della cellula animale era ancora presente e apparteneva alla sottocategoria dei batteri viola noti come proto batteri.  Come parametro di confronto Woese aveva utilizzato la parte 16S dell’rRNA. Invece di estrarre rRNA direttamente dalle cellule aveva isolato il loro DNA e moltiplicato il materiale mediante DNA polimerasi e isolato la porzione che codifica per rRNA.

Conclusioni. La scienza, per quanto precisa, è un’attività umana e spesso imperfetta e parziale e quindi il processo della conoscenza in merito all’origine della vita ci riserverà nuove sorprese. I ricercatori che si dedicarono a quest’argomento sono molto più numerosi di quelli qui citati e per ovvi motivi abbiamo dovuto restringere il campo.  Darwin per cinque anni viaggiò per osservare varie specie animali e vegetali e in solitudine arrivò a mettere in discussione la teoria della creazione. Ebbe un’influenza rilevante nel mondo scientifico e nella società del suo tempo. Nei decenni successivi in biologia, e nella scienza più in generale, avvenne una trasformazione storica. I ricercatori si concentravano su argomenti molto settoriale (i trasposoni del mais, infettività batterica, rRNA). Di conseguenza non lavoravano più da soli e all’interno di un laboratorio, nello stesso gruppo, si potevano trovare biologi, chimici, biochimici e fisici. Inoltre la scienza diventava sempre più internazionale; i Tedeschi avevano bisogno degli studi degli Inglesi e questi di quelli degli Americani. Un tratto comune del diciannovesimo e del ventesimo secolo è l’esiguo numero di donne alla direzione e impostazione dei temi della ricerca. Le donne che nel secolo scorso si sono distinte nella ricerca biologica, sono Barbara McClintock e Lynn Margulis. La prima scoprì i trasposoni e il mondo accademico per anni considerò la scoperta inverosimile.  Dopo trentacinque anni, in seguito all’ampliamento delle conoscenze, le fu assegnato il premio Nobel. Margulis non ebbe il premio Nobel ma ottenne numerosi riconoscimenti accademici. Fu membro della National  Accademy of Sciences in USA, membro della Russian Accademy of Natural Sciences, membro dell’American Accademy of Arts and Science e membro della World Accademy of Art and Science. Nonostante i numerosi riconoscimenti, aveva l’opposizione di un folto gruppo di ricercatori. Un aspetto della ricerca biologica, presente già dal secolo scorso e che è andato accentuandosi, è la necessità sempre maggiore di fondi. Questo fenomeno ha portato a una grande concentrazione di laboratori di ricerca negli Stati Uniti, perché uno dei paesi più ricchi. A questo bisogna aggiungere che l’amministrazione americana ha favorito l’arrivo di scienziati da ogni parte del mondo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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