- Fondazione Sardinia - http://www.fondazionesardinia.eu/ita -

Fra guerra, crisi socioeconomica, ambientale ed energetica: quali alternative per la Sardegna? di Federico Francioni

Posted By cubeddu On 9 settembre 2022 @ 10:31 In Blog,Questione sarda | Comments Disabled

APERTURA  DI UN DIBATTITO,  in vista dell’AUTUNNO

Premessa – Dalla Sardegna, dal Mediterraneo, dalle nazioni senza Stato d’Europa si levi un grido consapevole e potente per la pace – Transizione ecologica o transizione illogica? – Andiamo verso il suicidio demografico? – Cosa possiamo fare?

Premessa. Di seguito si intendono focalizzare le ragioni che dovrebbero spingere la Fondazione Sardinia, con la redazione della rivista “Camineras”, a promuovere, dopo l’estate e dopo adeguate discussioni, un’iniziativa, da tenersi possibilmente nella sala consiliare del Comune di Seneghe (nella foto: scena annuale del suo ballo), sulle vicende epocali che stiamo attraversando. Esistono strette connessioni fra pandemia, guerra, crisi socioeconomica ed energetica, collassi climatici, ambientali e pericolo di un suicidio demografico che per la nostra terra si profila in termini sempre più drammatici, se non tragici. Sardegna bella da morire, così l’aveva definita il caro e stimato amico Vincenzo Migaleddu – di Isde, International society doctors for environment, Medici per l’ambiente (era medico radiologo) – che aveva fatto chiarezza, fra l’altro, sulla geografia dei luoghi inquinati nella nostra isola.

 

Dalla Sardegna, dal Mediterraneo, dalle nazioni senza Stato d‘Europa si levi un grido consapevole e potente per la pace. Sulla guerra in Ucraina è doverosa una piena solidarietà verso un popolo resistente all’imperialismo russo, in continuità piena con quello zarista, stalinista e con il socialimperialismo sovietico. È stata messa in evidenza da voci autorevoli la grande responsabilità dell’Europa che non è riuscita a mettere in campo un’incalzante attività politico-diplomatica per arrivare almeno a una tregua e per porre un argine alle operazioni militari. Abbiamo appreso da Emilio Lussu che l’attuale Unione europea proviene da operazioni mosse a suo tempo dall’alto: la Ceca e l’Euratom presero l’avvio dalla logica di un’integrazione economica capitalistica, voluta specialmente dai grandi gruppi – inquinatori – del carbone, dell’acciaio, del nucleare; per questo e per altri fattori, l’idea dell’unità europea non è mai scesa, non è mai veramente entrata nel cuore dei popoli.

Lussu era neutralista e contrario alla Nato che anche oggi condiziona negativamente una possibile iniziativa – non solo diplomatica – europea per una pace autentica e duratura. In proposito è insostituibile il richiamo alle classiche pagine di Immanuel Kant sulla pace perpetua (1795), senza trascurare, s’intende, il manoscritto (1797) del nostro Domenico Alberto Azuni, pubblicato con il titolo Elogio della pace da Antonio Delogu (dell’Università di Sassari). Il socialismo di Lussu era libertario; per questo egli ebbe modo di criticare nel 1956 la sanguinosa repressione della rivolta ungherese e l’abbattimento del governo di Imre Nagy, sottoposto alla pena capitale nel 1957, per responsabilità dell’Urss. A differenza di altri esponenti della sinistra italiana, Lussu allora non fu certo “carrista”, termine con cui si faceva polemico riferimento a tutti coloro che avevano giustificato i carri armati sovietici (si vedano gli atti di un convegno nel volume Emilio Lussu civilis homo, a cura di Gian Giacomo Ortu, Libreria Ticinum, Pavia, 2021).

Dobbiamo inoltre fissare bene nella nostra coscienza quanto abbiamo appreso da Antonio Simon Mossa, architetto e intellettuale poliedrico, sardista e indipendentista. Simon Mossa guardava con fiducia e grande speranza a un’alleanza di tipo confederale fra le nazioni senza Stato d’Europa, dalla Sardegna alla Corsica, dalla Catalogna ai Paesi Baschi, dalla Scozia all’Irlanda. Su questo versante, egli mutuava dal patrimonio teorico-storico sardista idee tutt’altro che casuali, capricciose o romanticheggianti, per quanto mai adeguatamente approfondite. Bene, queste nazioni – insieme, unitariamente – devono far intendere la loro voce in favore della pace. Qualcuna di esse l’ha già fatto.

 

Transizione ecologica o transizione illogica? Mentre sui mass-media imperversano i guerrafondai da divano o da salotto, dobbiamo mettere in chiaro le responsabilità dei governi, di vario orientamento politico, che hanno fatto la stessa scelta: la subalternità, anzi la terachia, al gas di Wladimir Putin (com’è noto, una dipendenza del 40% in rapporto al fabbisogno energetico complessivo dello Stato italiano).

In seguito, Mario Draghi e i suoi ministri, per chiedere ed ottenere petrolio, hanno intavolato trattative con governi di altri paesi: fra questi, l’emiro del Qatar, uno Stato davvero democratico! (Vedere l’articolo di N. Migheli, Il peso del gas nella guerra globale, in “La Nuova Sardegna” del 4 maggio 2022). Perché non è stata intrapresa un’altra direzione? Da cinquant’anni, ormai, scienziati, organismi scientifici ed internazionali richiamano pressantemente l’attenzione sui rischi concreti di un’Apocalisse in grado di minacciare la vita umana sul Pianeta! (Cfr. l’inserto sul Festival dell’Economia ne “Il Sole-24 Ore” del 5 giugno 2022).

Forse possiamo comprendere tutto ciò riflettendo sulla linea adottata da Roberto Cingolani, ministro di quella che possiamo chiamare non transizione ecologica, ma transizione illogica. Infatti, Cingolani, già pronunciatosi in favore del nucleare, è strettamente legato a grandi gruppi come Leonardo, ex Finmeccanica: i titoli di questa società – impegnata con altre nella produzione di armi e sistemi di difesa per gli Stati Uniti e la Nato – crescono del 43,9% (N. Borzi, Armi e gas: i colossi Usa guadagnano dal conflitto e gli Stati Ue sono clienti, “Il Fatto quotidiano” del 7 aprile 2022). Attenzione, Leonardo è davvero in buona compagnia: per fare solo un esempio, lo troviamo con una vecchia conoscenza, la Lockheed, diventata un tempo famosa per uno scandalo della politica italiana che coinvolse uomini di governo come Mario Tanassi (del Psdi) ed altri.

Con Snam, con Eni, con questi giganti, possiamo davvero pensare a un processo di riconversione, specialmente con eolico e fotovoltaico, in grado di rispettare la natura, gli ecosistemi, lo straordinario patrimonio ambientale della nostra terra? Non è certo un esempio da imitare quanto è stato fatto da Erg, con un investimento di 130 milioni di euro in pale eoliche – alte 180 metri! – fra Nulvi e Ploaghe (M. Tedde, Eolico, via le vecchie pale, arrivano le nuove turbine, “La Nuova Sardegna” del 4 maggio 2022).

Possiamo nutrire fiducia sugli investimenti di Falck Renewables, dipendente dalle logiche finanziarie di un colosso come JpMorgan? Questi organismi mirano a qualcosa che possa risultare su misura per l’isola?

La guerra in Ucraina ha determinato una sorta di “primavera” di carbone e petrolio che condiziona in maniera inquietante la necessità di una svolta verso eolico e fotovoltaico (cfr. M. Minenna, La rivincita di carbone e petrolio, in “Il Sole-24 Ore” del 15 maggio 2022): il ministro Cingolani è pienamente all’interno di questa logica, di questi condizionamenti. Che la guerra sia un freno potente, un ostacolo verso una radicale riconversione economica, politica e culturale, in chiave ecocompatibile, è stato riconosciuto, almeno formalmente, anche dai vertici della Stato italiano. Ed allora, si tratta di porre fine alle chiacchiere; è assolutamente indifferibile, piuttosto, rompere con i boss del petrolio e dei combustibili fossili.

Cifre rese note da Giuseppe Centore, in articoli pubblicati da “La Nuova”, ci hanno fatto capire che una riconversione ecocompatibile, adeguata alla Sardegna, non è certo quella delle pale eoliche piazzate nel Tirreno, di fronte a Capo Teulada, dove peraltro insiste una base militare; non è di sicuro quella dell’Enel, madre di un progetto per accrescere la subalternità neocoloniale dell’isola, ridotta a terra di esportazione di energia. Ma un fermo nostro rifiuto in questa direzione non deve certo condurre ad accettare le posizioni espresse a suo tempo dal quotidiano di Cagliari che ha rappresentato la Sardegna come impiccata alle corde di pale eoliche e di altre fonti energetiche (vedi la prima pagina de “L’Unione sarda” del 13 marzo 2022). Un no deciso ai monopoli e al gigantismo non significa ovviamente che ci si debba schierare frontalmente contro eolico e fotovoltaico.

Della transizione che abbiamo definito illogica è parte integrante la chimica “verde” che verde proprio non è (cfr. “La Nuova” del 9 aprile 2022). Al riguardo occorre approfondire le posizioni dei vertici sindacali isolani che, a partire dalla sacrosanta esigenza di difendere i posti di lavoro, hanno tuttavia espresso idee di retroguardia su una transizione in chiave ecocompatibile che potrebbe ampiamente favorire lo sviluppo dell’occupazione. Peraltro, nei sindacati, non solo sardi, sono presenti anche coloro che hanno consapevolezza dell’indifferibilità di una simile svolta.

 

Andiamo verso il suicidio demografico? Un altro problema drammatico, anzi tragico, della Sardegna è quello demografico. Come già aveva posto in evidenza lo storico franco-americano John Day, grande e stimato amico della nostra isola, è dai tempi di Pisa e Genova, ma specialmente dalla metà del Trecento, secolo di guerra e di pestilenza, che questa terra presenta problemi di spopolamento e di sotto-popolamento. Il problema della denatalità nella Sardegna contemporanea l’aveva osservato un altro storico americano, David Kertzer, vincitore di un Premio Pulitzer.

Oggi arriviamo a 1.576.304 abitanti: ne abbiamo perso ben 2.877 nei soli primi due mesi di quest’anno. Sassari, Porto Torres, Nuoro, Quartu Sant’Elena e Cagliari continuano a calare; solo Olbia e qualche centro minore sono in crescita.

Economisti e studiosi accademici ci hanno fatto una conca manna goi, ripetendo fino a oggi, o quasi, la favola del c. d. effetto ciambella, cioè degli spostamenti delle popolazioni dalle località interne alle coste. Da tempo la dinamica non è più questa: Bosa perde abitanti e Alghero oramai cresce poco o nulla (cfr.  il valido saggio di A. Ganau, La minaccia demografica. Tra denatalità e invecchiamento. Cause, effetti e impatto sull’Europa, l’Italia e la Sardegna, prefazione di G. Mameli, Edes, Sassari, pp. 67-82). Certi studiosi e intellettuali “ufficiali”, chiamiamoli così, ci intrattengono su quanto succede da trenta, quarant’anni: ma costoro sanno che, dal 1958 al 2014, 800.000 persone hanno lasciato la Sardegna? (Cfr. il libro di G. Puggioni e M. Zurru, I sardi nel mondo. Atlante socio-statistico dell’emigrazione sarda, Cuec, Cagliari, 2017, pp. 7-11).

Non risulta corretta la disamina dello spopolamento che intenda prescindere dalle sciagurate scelte fatte a suo tempo in favore della petrolchimica e dall’abbandono dell’agricoltura in prevalenza all’assistenzialismo. Il crollo demografico non riguarda solo i 31 Comuni sardi più minacciati dal rischio dell’estinzione (Ballao, Monteleone Rocca Doria, Ula Tirso, ecc.) per quanto sia da accogliere con grande favore e come messaggio di incrollabile speranza il vincolo che si è stabilito fra queste comunità, per nulla rassegnate, ma anzi ben decise a formulare proposte e ad intraprendere azioni concrete per una fuoriuscita dalla crisi.

Cala il numero degli iscritti alle scuole elementari e medie, agli istituti tecnici, professionali, ai licei ed alle Università sarde; ciò comporta evidentemente il pericolo della perdita del posto per maestri e professori. Pier Paolo Roggero, docente nel Dipartimento di Agraria dell’Università turritana, ha dichiarato a “La Nuova” chi ci sono buone possibilità per i laureati di entrare nel mercato del lavoro, ma purtroppo gli iscritti ad Agraria tendono a diminuire.

Va dato il giusto risalto, d’altra parte, alle eccellenze dell’olivicoltura e della vitivinicoltura, a premi e riconoscimenti ottenuti dagli operatori sardi anche fuori dell’isola, all’estensione delle terre coltivate con metodi biologici, fattori che devono spingere a non abbandonare un sano ottimismo. Il Piano di Sviluppo Rurale da formulare per il 2023-27 dovrà tenere nel debito conto gli elementi positivi e quelli negativi; soprattutto, non dovrà essere un taglia, copia ed incolla di piani precedenti.

 

Cosa possiamo fare? Questa situazione impone la necessità di una mobilitazione senza precedenti del popolo sardo che deve impegnarsi nella lotta contro la minaccia di un suicidio demografico, strettamente intrecciato al rischio della scomparsa del nostro patrimonio linguistico e storico-culturale. Ancora una volta, non è superfluo sottolineare il legame fra i pericoli che incombono sugli ecosistemi e quelli che gravano sugli universi linguistici. Abbiamo bisogno di un progetto generale di liberazione che le oligarchie autoreferenziali dominanti in campo politico non sono certo interessate ad elaborare.

Una politica demografica in favore della natalità, un nuovo welfare, per mettere in condizioni le giovani donne di diventare madri, assicurando allo stesso tempo posti di lavoro stabili; una politica dei trasporti per consentire adeguati collegamenti fra i territori; una riconversione ecocompatibile per dare occupazione, in particolare, alle nuove generazioni. Sull’esigenza di costruire, soprattutto con una spinta dal basso, comunità energetiche, si veda l’articolo di Paolo Mugoni sul numero di “Camineras” di prossima pubblicazione. Questi sono solo alcuni punti chiave di un progetto.

Un ultimo punto: nonostante le distruzioni operate nell’Ottocento (si pensi agli alberi fatti tagliare dal conte Beltrami, ben protetto da Camillo Benso, conte di Cavour), la Sardegna presenta oggi un buon livello di integrazione fra manto forestale e boschivo, terreni agricoli e pratiche pastorali, il che può nettamente migliorare con il passaggio a un’isola integralmente biologica. Decisive indicazioni in tal senso sono emerse nella Euro Agro-Forestry Conference, tenutasi in maggio a Nuoro con la partecipazione di 250 ricercatori provenienti da tutta Europa.

Da condividere altresì l’appello lanciato da Efisio Arbau, avvocato, ex-sindaco di Ollolai, ex-consigliere regionale e presidente del Distretto rurale della Barbagia, il primo costituitosi nell’isola, che intende dare vita ad un Comitato promotore affinché la Sardegna diventi a tutti gli effetti biologica entro il 2030.

Un’alternativa per la nostra terra va perseguita con lotte decise, da praticare con il metodo della non-violenza, insegnatoci dal Mahatma Gandhi, da Martin Luther King e da Nelson Mandela. Una sicura fonte d’ispirazione potrà essere costituita dai messaggi di Papa Francesco su un nuovo rapporto uomo-natura, su fratellanza ed equità.

Tutto ciò richiede un dibattito a 360 gradi – che dobbiamo sviluppare, fra l’altro, sui blog della Fondazione Sardinia e di “Camineras” – in vista del convegno-seminario, di cui si parlava in premessa, da organizzare per il prossimo autunno.

 

Condividi su:

    Article printed from Fondazione Sardinia: http://www.fondazionesardinia.eu/ita

    URL to article: http://www.fondazionesardinia.eu/ita/?p=19621

    Copyright © 2013 Fondazione Sardinia. All rights reserved.