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I SARDI INGRATI E CATTIVI? L’interiore tormento di un dirigente sardista, di Salvatore Cubeddu.

Posted By cubeddu On 6 gennaio 2012 @ 06:08 In Blog,Cultura e Scuola,Questione sarda,Sardismo,Storia della Sardegna | Comments Disabled

 

 

Giovanni Battista (Titino) Melis. Avvocato, leader politico sardista (Oliena 1904-Cagliari 1976). Consigliere regionale, deputato al Parlamento. Segretario del PSd’Az per quasi trent’anni.

 

 

AVVERTENZA. Queste pagine rappresentano la parte finale di una biografia di Giovanni Battista (Titino) Melis che conclude il secondo volume del mio  SARDISTI (pag. 661 ss.) . Siamo nel 1975   -  a meno di un anno dalla sua morte  – e Titino, che quattro anni innanzi ha avuto un ictus cerebrale che gli ha lasciato delle conseguenze, svolge con la passione politica di sempre la funzione di  consigliere regionale. Dopo anni di polemiche dolorose con Lussu ha avuto l’occasione di incontrarlo. Accogliendo anche il suo invito, va annotando i fatti più notevoli della sua vita di leader politico ed è in contatto con storici (quali Manlio Brigaglia) e con intellettuali quali Michelangelo Pira. Titino Melis è stato un uomo intelligente, entusiasta e totalmente dedito alla causa del suo popolo e del partito sardo s’azione. Di lui ho scritto lungo tutte le quasi millecinquecento pagine del mio lavoro (disponibili peraltro in questo sito alla voce ‘pubblicazioni’). Lo preciso a scanso di equivoci , possibili nell’interpretare i dubbi della sua personale ‘rendicontazione’ finale.

La figura di Titino Melis aveva segnato tutta una fase della vita del PSD’ Az. E negli ultimi mesi – ovviamente al di là di ogni consa­pevolezza dell ‘uomo – sembrava gli fosse stato offerto dalla sorte di comporre la messa a punto della propria vicenda politica, come se dovesse adempiere ad un compito.

L’8 luglio 1975221 sta “scrivendo la storia del Partito”: nella ses­santina di cartelle che ha il tempo di riempire i tratti autobiografici vengono inseriti in uno schema che è quello già percorso dagli stu­diosi del primo sardismo. In queste pagine, appena di più dell’elabo­razione di bozze, si può seguire: lo studente entusiasta ammiratore dei Combattenti e il giovanissimo leader della “Giovane Sardegna”; lo scontro con i fascisti a fianco delle camicie grigie organizzate da Lussu; il servizio militare; l’esperienza milanese; la prigione per l’accusa di antifascismo; il rientro in Sardegna e l’attiva attesa della libertà nel ricordo di Lussu.

Il racconto si fa personale, volutamente diaristico, e diventa viva­ce, ricco di spunti inediti, nella rievocazione degli ultimi anni di guerra, dal 1942 al 1944, ad Oristano e nei primi passi della ripresa del sardismo nel secondo dopoguerra. Ne traccia la sintesi in una let­tera del gennaio 1976222 (10 stile frastagliato è quello utilizzato nell “‘autobiografia”).

 

Ill. mo Dott. Manlio Brigaglia,

 

mi permetto di scriverLe dopo il nostro incontro in Cagliari (ignorando quel che mi riguarda).

Vorrà permettermi, però, di precisare quel che segue:

l ? – Lei ha ricordato, che io sarei stato raccomandato da Giacobbe a Lussu. Penso che si debba ciò ad una informazione inesatta. Come tutti sanno, a Cagliari ed a Nuoro,

a) che io fondai a Cagliari, – studente in 1° liceale, – la “Gio­vane Sardegna”, nel 1920;

b) che conobbi Lussu, del quale allora, (quando non si era pagati ma, al massimo, si poteva prendere una manganellata all’entrata ed una purga all’uscita, dalla casa di Lussu, che in quel tempo era in via Cavour (manganellate ed olio di ricino che non ho preso mai … ) ero segretario giovanissimo e disor­dinato.

c) In tale qualità feci parte delle squadre d’azione. Fui parte attiva nelle piazze dell’antifascismo: fui presente quando Lussu fu ferito a Monserrato all’inaugurazione del Circolo giovanile di quel paese; e poi quando fu gravemente ferito in via Torino da una guardia Regia.

Presenziai e fui parte attiva nelle violenze in cui varie centinaia di sardisti furono feriti il 26 novembre ed in seguito alle ferite, venne a morte il decorato ardito sardista, Efisio Melis.

d) A parte che presenziai a tutti i fatti che portarono alla fu­sione (a cui mi dichiarai e fui attivamente contrario), riesumai poi il processo agli uccisori di Efisio Melis, “Pistilloni” e “Ma­lamorri”, di Quartu, ai quali infatti, feci la parte civile alle Assise di Oristano.    .1′

e) Da Cagliari, dopo averne parlato con Lussu, mi recai a Milano dove mi sono laureato – da studente lavoratore _.

t) Però in Milano – a parte la corrispondenza con Giustino Fortunato, che è un antifascista storico come Lei, vorrà cono­scere, perché documenta la Sua rinata fede nel Mezzogiorno, “perché c’è il Psd’ A come fatto popolare, e cioé non di cricca” – fui in carcere con Lelio Basso e sottoposto poi a provvedi­menti di polizia.

Tutto ciò che io riassumo, ma che dimostra che il quindicen­ne Titino Melis, è stato sempre in prima linea, da allora, 1920 ad oggi 1976 – avveniva mentre io non conoscevo né Mastino, né Giacobbe, né Oggiano, ai quali mi avvicinai, quando fui co­stretto a fare la professione legale, che dopo una breve parente­si cagliaritana, iniziai a Nuoro, con Mastino e Puligheddu, nel 1929.

2° – Allora conobbi il gruppo nuorese, mentre prima di que­sto me ne ero occupato dall’esterno scrivendone a Lussu nel 1920, con una mia relazione sull ‘essenza popolare del Partito in provincia di Nuoro.

3° – In Nuoro fui sempre presente ed attivo: portati a Pintus, dopo l’arresto di Milano, il cifrario, l’inchiostro simpatico ed il reagente, che purtroppo, servirono alla polizia, per rifilare dieci anni di reclusione a lui ed a Fancello.

A mia volta in Nuoro continuai io la corrispondenza, iniziata da Oggi ano, dei gruppi antifascisti, evitandone l’arresto, perché riuscì a defilare il nostro gruppo, che era preponderante.

I miei amici erano Ernesto Rossi, etc., che ebbero ventidue anni.

4 ° – Da tutto ciò deve risultare chiaro che io prima non co­noscevo Giabobbe, ma Lussu.

Inoltre … non avevo bisogno di presentazioni.

5° – Giacobbe sa benissimo tutto questo. Come tutto ciò san­no benissimo tutti e sanno ben chiaro tutti, che oltre ad Antonio Dore, altri di Nuoro non sono stati confinati, né hanno subito provvedimenti di Polizia.

6° – Basterà dire che durante la guerra, per provocare l’in­sun:ezi~ne armata, io Melis, da ufficiale presi a schiaffi i tede­schi, fui,. per quattro giorni interrogato a Cagliari dal Contro­spIOnaggIO, mago Faccio, il quale aveva interrogato la Maccioni

e la Secchi, e chiese a loro che me ne riferirono, se io fossi il loro amico politico – e poi parlai per varie ore in Bortigali al ge­nerale d’Armata, Basso, Comandante militare della Sardegna.

So quindi che Lussu, chiese di essere ricoverato in Svizzera con Silone, coi denari raccolti dai Sardisti, perché lui, non li voleva, dall’antifascismo italiano, in Francia.

So, quindi, che il mio amico Michele Saba, quei denari rac­colse, e li fece pervenire attraverso Michelino Giua, che fu de­putato con me.

Ma lo stesso Mussolini, intervenne dicendo, che Egli avreb­be fatto come Michele Saba, per un compagno di fede ammala­to, e lo fece scarcerare.

Però, Michele Saba, se fosse vivo, avrebbe potuto precisar­Le, che io, prima di prendere a schiaffi in Oristano, l’ufficiale tedesco, (per provocare la reazione ed iniziare l’azione armata) chiesi a Saba, a Berlinguer, ed a Piero Soggiu (che era ufficiale della divisione costiera in Sassari), un ufficiale superiore, per dare un nome di prestigio alla nostra ribellione ed alla conse­guente azione partigiana in Sardegna.

7° – Tutto questo Lussu, sapeva benissimo: tanto che mal­grado la scissione, mi scrisse sia quand’ebbi nel 1971, un insul­to trombotico; “Scrivi le tue memorie”.

E poi mentre scrisse, quattro mesi prima di morire salutan­domi “Con l’affetto di sempre”.

8° _ Se permette, preciserò, sempre in sintesi, che io fui pre­sidente dei CLN, in Nuoro prima ed in Cagliari poi, e che in Sardegna, non ci fu nessuna persecuzione, perché io volevo unire i Sardi, per la lotta che purtroppo, meglio di noi, condu­cono altri Popoli, in altri paesi d’Europa.

E se mi vuole ancora leggere, preciserò che di Gramsci par­lai con l’ ono Togliatti in Ales, all’inaugurazione della sua lapi­de, quale rappresentante delegato da tutti i Partiti.

Poi sempre in Ales, parlai, come rappresentante del PSD’ A, con Busoni, Arfè, Terracini, Lussu – ed io.

Ma Gramsci avevo trovato in carcere a Milano perché egli mi chiese, avendo letto il mio nome tra i richiedenti libri, dal carcere, e nell’ occasione mi diede sue notizie.

Tutto ciò Le ho scritto, perché mi è cara la precisione stori­ca, come è cara a Lei, e soprattutto voglio che Lei abbia, essen­do a capo di una collana di libri, su queste vicende, notizie esat­te su quanto è avvenuto.

Per esempio a Nuoro, possono essere precisi sia Luigi Og­giano che Gonario Pinna, che so incapaci di cedere a stupide suggestioni reclamistiche.

Le dirò, concludendo che io, cedendo alle pressioni di Lussu e reagendo alle superficiali affermazioni di altri, (che leggo, qua e là) sto scrivendo in forma diacritica, e con precisi riscon­tri di fatto, le mie esperienze di tutta la vita: cioè dai quindici anni ai settantadue, senza che ci sia stato mai un giorno di tre­gua.

Certo la mia Compagna, che è stata mia amante e fedele al mio fianco, è morta la vigilia di Natale come un mio figlio, na­to dalla mia Compagna, a Bergamo (nascosto anche nel mo­mento in cui veniva alla vita, come un cinghiale) ma che io ri­conobbi dinanzi al notaio, sfidando la Corte d’Assise, docu­mentano che, anche sentimentalmente, io sono stato un conte­statore ante litteram: ma a fatti non a parole.

Ed a fatti sono anche il maggiore povero come ho incomin­ciato, di otto fratelli, che però onorano la Sardegna nel loro di­sinteresse e nella loro capacità.

Mi scusi, e sono a Sua disposizione, per esserLe preciso su qualunque fatto e su qualunque nome.

Con grato ossequio. Mi creda

Titino Melis

Via G. Deledda, 74

. Titino Melis non ebbe il tempo di proseguire nel racconto del pe­riodo che lo vede protagonista principale, dello scontro con Lussu e del dopo; solo la ripresa di alcuni episodi lascia intendere che il pro­prio lavoro procedeva nella direzione del ricordo autobiografico.

. Ormai l ‘uomo ragionava in termini di valutazione della propria esistenza: a dicembre aveva commemorato prima Bellieni  e poi Anselmo Cantu; nel gennaio 1976, Ferruccio Oggiano..

Se ne andavano alcuni tra i principali esponenti della prima e del­la seconda generazione sardista, quella che, come Titino afferma di Bellieni, “senza tregua ha pensato la Sardegna come terra cui dedicare tutta la sua vita”.

La loro scomparsa lasciava ancor più al vecchio Titino Melis la rappresentanza personale, anche fisica, di ciò che era stato il Partito Sardo d’Azione. .

Parlando ai giovani, nella primavera del 1975227, non temeva di essere condizionato dall’immodestia affermando che:

tutta la mia vita su ogni piano ed aspetto è il risultato della devozione, servita con fede profonda ed umiltà, all’ideale al quale son rimasto fedele dalla prima giovinezza alle attuali mie condizioni di età e di malattia.

La vita e là Sardegna: anche parlando in Consiglio regionale, il giorno della morte di Lussu, la sua prima presentazione era stata quella del “rappresentante della Sardegna cui ha legato tutta la sua vita”.

Ma – c’era il dubbio – meritavano i Sardi tale dedizione?

Emilio Lussu aveva esplicitamente richiesto che le proprie ceneri non venissero riportate in Sardegna. Il dubbio sui Sardi Titino Melis lo esprimeva. In una lettera-” del novembre 1975, un testo pronto da spedire e poi trattenuto, egli ricordava gli ultimi atti di un rapporto e di una vita in cui Lussu aveva avuto un posto essenziale. Scriveva Titino, a metà della sua lettera che tratta di vari argomenti:

 

Naturalmente Voi sapete che Emilio Lussu, mi scrisse quat­tro mesi prima della morte, pregandomi di raccogliere la mia “esperienza” di tutta la vita, e volendomi indurre a ciò, mi sa­lutò con l’affetto “di un tempo”.

Ragione non ultima per la quale, invitato e designato da tut­to il Consiglio Regionale, io dovetti commemorarlo.

Naturalmente ho omesso, in quella commemorazione, di di­re le ragioni per cui avvenne la scissione del congresso sardista. Mi disse Lussu: “Ti parlo da fratello maggiore a fratello mino­re, a te ti pisciano in testa le puttane. Perchè tu non sai, eviden­temente, quanto i Sardi sono ingrati e cattivi. lo alla Camera, Costituente, sono andato solo con Pietro Mastino.

E tu sei caduto.

Ciò dopo aver combattuto in guerra, combattuto in pace contro i fascisti, dopo essere stato in carcere, evaso da Lipari, guidato la lotta clandestina, trascurando professione ed ambi­zioni letterarie, per sentirmi richiedere solo posti e sistemazioni.

Di fronte a questo esempio di tensione morale, i Sardi han dato otto deputati a Segni, ecc.

Chi vuole dunque la scissione non sono io, ma sono i Sardi che condannano il loro Partito Sardo”.

Cosa ho risposto io, è inutile dirlo adesso.

 

Il rapporto tra il leader ed il popolo, tra l’uomo politico e l’ eletto­re, tra il Partito Sardo ed il Popolo Sardo: un tema delicato, che ha percorso problematicamente tutto l’arco della vicenda del Partito Sardo. È un dato costante di ogni partito politico, anzi di ogni asso­ciazione, quello di misurare la realtà e quanto di essa rappresenta.

In questo caso, particolare è la risonanza emotiva e la sofferenza perché increscioso si fa il dubbio: vale la pena dedicare la vita a que­sto Popolo?

L’interrogativo ha riguardato i migliori di questo partito. Quelli, per intenderei, per i quali la militanza politica non è stata principal­mente il tramite per un miglioramento di status.

Già nel primo dibattito sull’ autonomia costituita, appena verificati i limiti dello Statuto, nel congresso del 1950, Piero Soggiu aveva avuto buon giuoco nella polemica con Bartolomeo Sotgiu (che invo­cava “lo spirito di rivolta”) e con Antonello Giua (parlava di un tem­po in cui “la Sardegna venisse popolata finalmente … da Sardi”) af­fermando che il Popolo Sardo, nella conquista dell’autonomia, aveva “rinunciato all’insurrezione” e bisognava, allora, accontentarsi della lunga via della legge costituzionale.

Questo percorso aveva procurato ai sardisti momenti di dubbio e sofferenza, specialmente nel succedersi delle elezioni.

La convinzione che i Sardi sbagliassero nell’indirizzare ai partiti “italiani” il loro consenso era qualcosa di più che la conseguenza di un ragionamento politico: era l’amara constatazione sul fatto che un popolo proseguiva sulla strada sbagliata, in scelte autolesioniste, con atteggiamenti di servilismo; e che, perciò, bisognava riportarlo sulla retta via. E questo, a partire dalla fine degli anni cinquanta, era stato un elemento costitutivo dell’identità del militante sardista: la consi­derazione di essere nel giusto, di essere diverso essendo qualcosa di più degli altri Sardi, di restare tra “i resistenti dell ‘Ideale”. Una posi­tiva visione della propria particolarità (“solitudine”) aveva permesso, infatti, il risveglio ideologico degli anni sessanta.

Antonio Simon Mossa, invece, aveva cercato il motivo della delu­sione in un ragionamento da sociologia dei partiti politici: questi, “nelle attuali condizioni di depressione del popolo sardo, abituato’ da secoli a servire il padrone”, sostituiscono la funzione che nel me­dioevo aveva il feudalesimo.

Lo stesso M. Columbu scriveva, sconsolato, a Titino230 sull’iner­zia della Regione:

È mancata la volontà politica, è mancata la capacità degli or­gani proposti, è mancata la fede, la fantasia e tutto.

Un disastro che rattrista e scoraggia, oppure consiglia inizia­tive radicali. O meglio, consiglierebbe; perché non sembra che i Sardi siano preparati a niente. Ma chissà: forse queste migliaia di giovani. diplomati e laureati e disoccupati, avranno presto la forza di fare quel che finora non si è saputo fare.

 

In Titino Melis il problema era insistente. Non gli impediva di continuare l’Impegno in Consiglio regionale, svolto sempre con la passione e le forze che gli restavano. Ma tornava, come tema, nel pensiero e nella comunicazione degli ultimi mesi, nel silenzio della casa, nella solitudine che investe quando s’invecchia e si sa che il passato è più importante del presente.

Ne scrive a Michelangelo Pira; proprio in coincidenza con la scomparsa di Camillo Bellieni. Dalla risposta dell’antropologo bitte­se si indovina il testo non rimasto di Titino: l’opera e la figura dell’ ideologo del PSd’ A; e Francesco Fancello; e Luigi Battista Pug­gioni ed … Emilio Lussu.

La lunghissima lettera di M. Pira23J, scritta a più riprese nel clima del Natale del 1975, affronta molti degli interrogativi, di Titino Me­lis e della storia del PSd’ A, diventando una preziosa testimonianza del pensiero dell’autore, che così ci lascia la rilettura della propria storia di sardista. È una fortuna che questo testo sia rimasto. E, a questo punto, non si può dire di più.

( LA LUNGA LETTERA DI MICHELANGELO PIRA, RITROVATA TRA LE CARTE DI TITINO MELIS, VERRA’ PUBBLICATA SU QUESTO SITO IL 7 GENNAIO 2012).

 

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