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INTERVISTA AD EDGAR MORIN, di Mauro Ceruti

Posted By cubeddu On 22 luglio 2021 @ 06:23 In Blog,Cultura e Scuola,Persone | Comments Disabled

Uno dei più importanti intellettuali francesi ha compiuto cento anni lo scorso 8 luglio. Cento anni di· storia. Strettamente intrecciati. Vissuti da protagonista, in ogni evento cruciale. Cosa ti hanno insegnato? «A non credere nella perennità del presente, nella prevedibilità del futuro. Dobbiamo attenderci l’inatteso, anche se non possiamo prevederlo. Ogni vita è una navigazione in un oceano di incertezza, con alcune isole di certezza. È imprevedibile tutto ciò che ci attende: amori, dolori, malattie, lavoro, scelte, morte. Non dobbiamo anestetizzare l’incertezza e l’imprevedibilità».


 

 

Ci incontriamo, pur separati dalla pandemia. Via Skype, per la tisana pomeridiana, lui a Marrakesh. Oggi, è per consegnargli il volume che in cento amici italiani abbiamo insieme scritto per lui, per i suoi cento anni. «Ah, come vorrei essere nella nostra Toscana, nella nostra oasi di fraternità, con gli amici più cari», esordisce, con gli occhi che si illuminano. «Oggi più che mai desidero l’Italia, come tanti anni fa. Appena la guerra è terminata è stata il mio sogno. E il mio primo viaggio: Torino, Firenze, Venezia, Roma … Vi ho sentito subito qualcosa di matriciale. Solo dopo compresi perché, studiando la storia dei miei antenati. Tutta la mia famiglia materna, i Beressi, i Mosseri, era Toscana, livornese. Ma anche i Nahoum, paterni, che venivano dalla Spagna, erano rimasti a Livorno, per tanto tempo, senz’altro nel diciassettesimo e all’inizio del diciottesimo secolo. Per me l’Italia è una matrice. È là, dove sempre ho voluto vivere, amare, morire, come tante volte ho cantato con la Mignon di Ambroise Thomas, che ancora mi commuove».

Ed ecco subito alcuni dei “cento Edgar Morin” … La tua è un’identità quanto mai al plurale. Chi sei dunque, alla tappa del secolo?

«Un essere umano».

Ma questo essere umano ha tanti aggettivi: di origine ebraica sefardita, un po’ italiano e un po’ spagnolo, profondamente mediterraneo, cittadino del mondo, figlio della Terra-Patria. E sei stato il primo, dei tuoi, a nascere in Francia.

«Sono però diventato francese, poco per volta, da bambino e adolescente, appropriandomi della lingua e della cultura del mio Paese. Ero figlio di immigrati, per di più senza identità nazionale. Erano venuti a Parigi da Salonicco, dove i loro antenati erano giunti lasciando Livorno. Salonicco, dal 1492, era una città a prevalenza sefardita e di pacifica convivenza multiculturale nell’impero ottomano».

Ma sei figlio di una pulizia etnica europea, della diaspora sefardita nata dalla persecuzione spagnola del 1492, appunto.

«Queste mie radici non avevano tuttavia un contenuto culturale. La mia famiglia non mi ha educato alla sinagoga. In un certo senso ho scoperto dopo, di essere ebreo».

In questa scoperta la Resistenza fu decisiva …

«La coscienza emerse nella barbarie che invase la Francia. Edgar David Nahqum divenne Edgar Morin. Ma, dopo la liberazione, sui miei documenti volli mantenere entrambe le identità: Nahoum, detto Morin … ».

E così la coscienza delle radici è entrata nella tua formazione umanistica.

«Mi sento un neomarrano, figlio di Montaigne e di Spinoza, che dalla sinagoga subì l’anatema. Riconosco le mie radici ebraiche, ma mi sento figlio di un popolo maledetto, non del popolo eletto. Perciò provo compassione per tutti i sottomessi, i colonizzati. Le mie radici ebraiche si sono diluite nella mia formazione umanistica e universalista».

E perciò, talvolta, hai anche paradossalmente subito duramente l’accusa di discriminazione e l’emarginazione.

«Quando sono in gioco la verità dei fatti e l’onore, bisogna sapere accettare la solitudine e la devianza. Oggi più che mai, poiché si diffonde al parossismo l’attitudine a degradare l’altro nella maniera più vile. Dovremmo cercare un vaccino· contro la rabbia specificamente umana, poiché siamo in piena epidemia».

E anche, sempre con tanti ma, sei europeo culturale …

«Come sai, da un punto di vista politico mi sono sentito europeo dai primi Anni 70, quando mi resi conto che la disumana potenza coloniale dell’Europa era perduta. Ormai l’Europa era povera cosa. E oggi nuovamente temo di perdere la fede nell’Europa. La vedo sottomessa alle forze tecnoburocratiche, vedo i migranti afghani, siriani. Temo la disgregazione finale. Ma è proprio la cultura umanista europea che mi ha radicato nel sentimento profondo del destino dell’umanità. E l’Europa, in fondo, come insieme abbiamo scritto, è sempre stata figlia dell’improbabile. Alla fine, si è sempre salvata».

Cento anni di vita. Cento anni di· storia. Strettamente intrecciati. Vissuti da protagonista, in ogni evento cruciale. Cosa ti hanno insegnato?

«A non credere nella perennità del presente, nella prevedibilità del futuro. Dobbiamo attenderci l’inatteso, anche se non possiamo prevederlo. Ogni vita è una navigazione in un oceano di incertezza, con alcune isole di certezza. È imprevedibile tutto ciò che ci attende: amori, dolori, malattie, lavoro, scelte, morte. Non dobbiamo anestetizzare l’incertezza e l’imprevedibilità».

Hai visto la mondializzazione, che è cominciata con le guerre mondiali, e hai visto la nascita e la formazione di sistemi totalitari laici, di una natura ignota prima. Hai vissuto la Resistenza, l’autocritica rispetto al credo comunista … E  hai saputo intercettare e leggere lo stato nascente di fenomeni inediti o ancora imprevedibili: il cinema, l’industria culturale, la nascita di una cultura adolescente, il Maggio ’68, la fine della guerra fredda, la globalizzazione …

«Ma la fase più importante del mio secolo comincia nel 1945, a Hiroshima, cioè con la possibilità tecnica di annientamento dell’umanità. Era una cosa fino ad allora impensabile. La possibilità di autoannientamento è poì diventata una spada di Damocle sull’umanità anche con la degradazione del pianeta, in balia di un incontrollato sviluppo tecnologico economico e di un’inesauribile sete di profitto. La nostra civiltà produce gli strumenti della propria stessa morte».

Ma già dagli Anni 80 la speranza di vita futura pare affidata alla nuova ideologia trnsumanista, interpretazione euforica della tecnica genetico medica e dell’intelligenza artificiale.

“Sì, il mito transumanista riproduce il mito dell’immortalità. L’effettiva possibilità tecnica di prolungare la vita umana fa immaginare una società interamente retta dall’intelligenza artificiale, in una pseudo arimonia. Questo sogno del trans umanesimo è nello stesso tempo un incubo sinistro. L’Uomo ‘aumentato’ è il nuovo mito del potere umano sulla natura. Ed è la prospettiva di una sovraumanità limitata ad una casta, nella quale noi e gli altri umani saremmo in una sorta di apartheid. Questo mito dimentica le grandi riforme morali e intellettuali di cui abbiamo i bisogno più urgente”.

Insomma, un secolo complesso, con una possibiltià inedita di morte globale e nello stesso tempo di sovraumanità. Cosa si delinea all’orizzonte?

«Il fenomeno di unificazione tecno economica del mondo da parte del capitalismo e i mezzi di comunicazione hanno creato una comunità di destino planetaria umana, emersa di fronte a pericoli enormi. Possiamo immaginare differenti scenari, e anche mescolare gli scenari catastrofici con gli scenari transumanisti. Siamo nell’incertezza più totale. Il futuro è completamente oscuro».

Non paiono esserci forze rigeneratrici dell’umanità. In cosa potrebbero consistere?

«Potrebbero rigenerarsi attraverso la rieducazione delle menti a un pensiero più adeguato, quello che noi chiamiamo pensiero complesso. Mai abbiamo avuto tante conoscenze. Ma sono frammentate, e quindi inadeguate a trattare i grandi problemi globali, fatti di tante dimensioni intrecciate. Ce lo insegna la pandemia. È un fenomeno multidimensionale e globale. Tocca la nostra vita biologica personale, la nostra vita quotidiana fino al destino delle nazioni e dell’umanità intera».

Fine delle ideologie, fine della storia, fine del progresso, fine del futuro?

«Il comunismo, sotto la sua forma bolscevica leninista, è stato l’ultimo erede del messianismo giudaico-cristiano. Marx è stato il profeta, una sorta di San Paolo, se vuoi, di questo nuovo messianismo. Certo, lo ha laicizzanto, ma comunque aveva mantenuto il suo aspetto di salvezza, di redenzione, di apocalisse. È il solo caso in cui questo messianismo ha potuto riuscire a impiantarsi durevolmente, in quel vasto Paese che è stato l’Unione sovietica. Ma proprio questa riuscita è stata un totale fallimento rispetto al suo pensiero e al suo sogno. E non solo. Questa riuscita ha prodotto il suo stesso crollo, e il ritorno di ciò che aveva voluto eliminare: le religioni e i vecchi regimi».

Ci sarà un nuovo messianismo? Avremo superato questa forma di messianismo?

«Non lo so. Siamo in un’epoca di trasformazione enorme. Durerà a lungo. E ciò mi rode un po’, perché io non la potrò vedere tanto in là nel tempo … ».

Tuttavia la tua immaginazione si spinge sempre più in profondità …

«L’immaginario è parte costitutiva della realtà umana, che non è fatta di sola economia. È fatta di mito, di religione, di ideologie. È fatta di ragione e di passione. Siamo Homo sapiens/ demens. La ragione fredda del calcolo è inumana, non può vedere la complessità delle nostre vite, fatte di felicità e infelicità, di sogno e desiderio … Certo, la ragione deve vegliare sulla passione, ma la passione è il combustibile della ragione».

La tua vita straordinaria è mossa dalla curiosità, dal coraggio, dallo stupore .•.

«La sopravvivenza è necessaria alla vita, ma una vita ridotta alla sopravvivenza non è più vita. Questo sentimento l’ho sviluppato fin da bambino, e non mi ha più abbandonato, provocando in me orrore per ciò che opprime e umilia. A dodici anni, mi sconvolsero i mendicanti nell’Opera da tre soldi, e soprattutto gli umiliati di Dostoevskij. Quante vite condannate alla sopravvivenza. È sempre stata viva in me la compassione per gli offesi, e oggi più che mai di fronte a tanti che lo sono per la loro origine o per il colore della oro pelle. Una politica umanista deve creare le condizioni non solo per sopravvìvere, ma per vivere».

I tuoi libri raccontano i momenti tragìcì, ma anche quelli estatici del tuo secolo.

«Se c’è una verità nella mia vita, è la verità della poesia. Non solo quella dei poeti, ma quella della vita, che ci dìlata e ci incanta. E la poesia suprema è quella dell’amore. E c’è anche la poesia della storia, che si rivela in momenti di libertà, di fraternità, di creatività. Ah! il 26 agosto 1944, la liberazione di Parigi, tutte quelle campane delle chiese che si misero a suonare … E quel violoncello di Rostropovich, che il 9 novembre 1989 suonò Bach ai piedi del Muro pacificato … ».

Dunque, non siamo alla fine della storia?

«Ma no. Siamo umani perché incompiuti. E ciò crea in noi un sentimento di mancanza, che ci muove all’inesplorato, all’inedito».

Permane tuttavia il pericolo di preparare ancora una volta, come sonnambuli, dei disastri storici, oggi ormai su scala planetaria.

«Il ritorno della barbarie è sempre possibile. Nulla è acquisito per sempre. La storia ci insegna che non impariamo dalla storia. Dobbiamo sviluppare la coscienza della nostra comunità di destino. Siamo legati dagli stessi problemi di vita e di morte, Ma questa coscienza non si sta diffondendo fra i cittadini, e non è presente nella maggior parte dei politici, degli economisti, dei tecnocrati. Certo ci sono coscienze e movimenti dispersi, ma non ci sono forze coerenti dotate di una cultura adeguata».

Cosa possiamo dunque sperare?

«L’avventura umana è arrivata a una gigantesca crisi, nella quale si gioca il nostro destino. La probabilità è a favore del peggio. Ma come sempre anche l’improbabile e l’imprevedibile sono possibili. Sembra che Thanatos debba essere il vincitore. Ma, qualunque cosa accada, la nostra vita può avere senso solo prendendo le parti di Eros».

Cosa bisogna fare per invecchiare bene?

«Mantenere in sé la curiosità dell’infanzia, le aspirazioni dell’adolescenza, le responsabilità dell’adulto, e nell’invecchiare cercare di trarre l’esperienza delle età precedenti. E sempre dobbiamo saperci stupire e interrogare su ciò che sembra normale ed evidente, per disintossicare la nostra mente e sviluppare uno spirito critico».

Un sogno per il tuo centesimo compleanno.

«Il mio ultimo sogno sarebbe di poter fare il prossimo autunno un soggiorno in Italia, nelle nostre oasi di fraternità, con i nostri amici, e tornare in Toscana, a Torino, Roma, Napoli, Ravello, Messina … Non so se questo sogno potrà realizzarsi … ».

SETTE.CORRIERE.IT del 2 luglio 2021

 

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