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LE COSE CHIARE AI PATRIOTI, di Lorenzo Palermo

Posted By cubeddu On 16 giugno 2021 @ 06:27 In Blog,Identità,Questione sarda,Società | Comments Disabled

L’Autore, avvocato nel foro di Nuoro, è stato segretario del Psd’Az.

Può non esserci vergogna ad entrare in carcere.

Noi sardi dovremmo saperlo meglio degli altri; chi non lo capisce d’istinto può leggere le belle pagine dell’avv. Gonario Pinna e del prof. Antonio Pigliaru sulla società nuorese.

La vergogna del carcere rimane per chi ha rotto le regole della sua comunità, è disprezzato da tutti ed è giusto patisca recluso. Ma se, come dicevano Pinna e Pigliaru, in galera ti mette un potere che non è il tuo, una società della quale tu non ti senti parte, o che rifiuti, allora non c’è vergogna ad essere preso, maltrattato sui giornali, processato, condannato. La tua gente continua a rispettarti, magari ti ammira di più: comprende che si applica la giustizia di chi comanda non una giustizia vera.

Queste cose son chiare ai patrioti. Di ogni tempo, di ogni luogo.

Ogni popolo che si è liberato ha un lungo elenco di eroi e di martiri che hanno subito il carcere, l’esilio, la morte. Insegniamo ai bambini ad essere orgogliosi di loro.

Per i dirigenti della Generalitat incarcerati o ricercati da Madrid non c’è vergogna ad entrare in galera. Sanno di continuare, con questa forma, una lotta cominciata tanto tempo fa, e che durerà ancora a lungo. Intorno a loro in tutta Europa si crea solidarietà, ma sorge anche la stupida gazzarra di chi ciancia di legalità senza nemmeno minimamente capire di cosa sta parlando; quella stessa legalità che ha ha tenuto Silvio Pellico in galera e fucilato Sauro e Battisti.

Baciapile dell’ordine costituito si accomodino; cinguettino sul fatto che per una costituzione qualsiasi è illegittima la violazione (ma discutiamone) e che coloro che lo fanno sono, appunto, dei pezzi di galera; dimentichino che nelle questioni nazionali, di indipendenza e di rivoluzione, la legalità distaccata dalla giustizia è un esercizio puerile per intellettuali e giudici da cortile. Facciano finta di non sapere che quando la politica delega la sua azione ai giudici, essa ha fallito in partenza perché di tutte le sue armi usa l’ultima e la più brutale: quella sicuramente perdente. Leggano, ancora una volta un nuorese, cioè le parole di Salvatore Satta sui rapporti fra giudice in parrucca, popolo in tumulto e boia che preme la leva della ghigliottina.

Il metodo dell’indipendenza catalana (affidata a istituzioni legittime, alla preventiva dichiarazione dei futuri passaggi, alla continua consultazione popolare ed al radicamento culturale) costituisce una novità radicale nella maniera di affrontare le questioni delle nazioni senza stato in Europa; questione che esiste, al di là delle ciance di cui si diceva prima, poiché è legittima, prevista e democratica. Si tratta di una potente questione di democrazia territoriale che ha trovato sfogo pacifico e democratico nella pratica indipendentista di una parte civilissima dell’Europa, la Catalogna, ed è destinata a far ripensare, appunto, il ruolo dell’Europa come di gestore dei diritti e delle libertà, individuali e collettive.

I dirigenti politici catalani arrestati avevano messo perfettamente in conto la loro cattura: di fronte alla prevedibilissima reazione spagnola hanno adottato la tecnica più adatta a difendere l’ indipendenza della loro nazione; hanno dosato essi (e non gli spagnoli) i tempi, le quantità e le modalità delle catture: sono stati i catalani a decidere chi far entrare nelle galere spagnole e chi invece far sottoporre ad una procedura all’estero: non in un paradiso giudiziario, ma a Bruxelles, cuore dell’Europa. Magistrale. Entrare in una prigione spagnola con l’accusa di essere un dirigente dell’ indipendenza catalana non è disonorevole.

Lorenzo Palermo Lettera alla “Nuova Sardegna” del 6.11.2017 (pubblicata in quei giorni)

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