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Sul mondo dei rider, di Gianni Loy

Posted By cubeddu On 12 maggio 2021 @ 05:26 In Blog,Persone,Società | Comments Disabled

E come potevamo noi cantare – si chiedeva Quasimodo, evocando il salmo 136 – fra i morti abbandonati nelle piazze? Me lo son chiesto più volte, pensando alla sofferenza di una guerra che non ho visto direttamente, pur essendo cresciuto tra le macerie di quella devastazione.

Al primo lutto, da bambino, ricordo che mi spillarono un bottone nero sulla camicia e mi dissero che, per qualche giorno, avrei dovuto mantenere un contegno sommesso. Mi dissero che mi sarei dovuto astenere da ogni manifestazione di gioia. Rientrato a scuola, passai alcuni giorni – non ricordo quanti, la regola variava in relazione al grado di parentela, all’età e al sesso – terrorizzato dall’idea che la battuta di qualche compagno potesse farmi scoppiare a ridere. Poi, mi son reso conto che, nonostante il piede straniero sopra il cuore i cinema, i teatri e i ristoranti, nelle città ferite dalla guerra rimanevano aperti; che spettacoli venivano organizzati persino al fronte, per tenere alto il morale delle truppe.

Poi, l’abbiamo vissuta una guerra non meno devastante, almeno in termini di morti, magari non proprio abbandonati nelle piazze ma trasportati, furtivamente, nei camion e cremati in tutta fretta. Abbiamo conosciuto il coprifuoco in tempo di pace; fenomeni di fame e povertà comparabili con quelli del periodo bellico.   Come in tutte le guerre, come cantava Renato Rascel, c’è chi sta bene e chi sta male, chi si arricchisce e chi ingrossa le fila degli affamati che si rivolgono alla Caritas. C’è chi soffre e chi organizza feste clandestine, perché se, per alcuni versi, fioriscono esempi di solidarietà, per altri versi, si affacciano anche nuove forme di egoismo, con le lobby che scavalcano persino il buon senso nella distribuzione di vaccini.

In ogni caso, l’umore ne risente, almeno per la maggior parte di noi, anche se continuiamo a frequentare i campi di padel.  Così, sarà per effetto del patrimonio filogenetico, a volte penso che in questo tempo di sofferenza collettiva convenga adottare comportamenti misurati, che la festa non si addica al momento, un po’ come, da bambino nel cortile della scuola, mi appartavo per evitare che la leggerezza qualche compagno – provocandomi il riso – potesse farmi trasgredire agli obblighi del lutto.

Ma son fisime mie, che non pretendo di imporre a chicchessia, neppure ai miei familiari. Tant’è che, proprio ieri, ho acconsentito che i miei figli ordinassero tre bacon king – per me menù casalingo – da consegnarsi a domicilio tra le otto e le otto e mezza.

Squillato il campanello, Pablo si è precipitato giù per le scale per ritirare la busta con la cena. Ma quando ha fatto ingresso nella cucina, aveva un aria triste. L’incanto dell’attesa si era spezzato. Cos’è successo? Gli abbiamo chiesto.

– Sai mamma, il rider che ha portato la busta non era un ragazzo, era un adulto, più grande di te.

Era un adulto. Aveva evidentemente maturato l’dea che quel tipo di “lavoretto” si addicesse soltanto ai giovani, quasi che, per essi, il lavoro ed il divertimento, in un frenetico sfrecciare di motorini e biciclette con portapacchi, potessero trovare un momento di coincidenza. L’idea, in fondo, che ci sia un tempo per ogni cosa; che, seppur a fatica, possa consentirtisi che un ragazzo faccia esperienza di vita sperimentando, per breve tempo, le nuove, moderne tecniche di sfruttamento. Ma immaginare, e vedere con i propri occhi, come queste  divengano forma ordinaria di sfruttamento, in primo luogo induce tristezza, poi, razionalmente, dovrà provocare ribellione.

Pablo ha compartito la sua mestizia con gli altri commensali, che hanno a lungo indugiato prima di addentare il frutto promesso.

– Gli hai almeno dato la mancia? È stata la prima spontanea reazione.

Ma Pablo non aveva avuto il giusto tempo di reazione. Era rimasto impietrito. Né la mancia è una soluzione. Ma questo è un altro un altro discorso.

Mi è venuta alla mente la sofferenza del vecchio Parini che per avverso sasso, mal tra gli altri sporgente, scivola e stramazza al suolo. Il fanciullo che osserva la scelta ride, istintivamente.  Ma è solo un attimo, il tempo per capire. Perché subito dopo gli occhi gonfia commosso che il cubito o i ginocchi, me scorge, o il mento dal cader percosso.

C’è ancora un po’ di religione, mi consolo, se l’istinto di un adolescente, è ancora in grado di avvertire l’ingiustizia. Se, nascosti nel subconscio, riescono ancora ad emergere i valori del rispetto, della dignità della persona. Che sia l’annuncio di un possibile ritiro delle acque?

 

 

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