“Sa Die” 2021: riflessioni tra sardità e storia di Antonello Angioni del Comitato per “Sa Die de sa Sardigna” – Cagliari, 28 aprile 2021 -

“Sa Die” 2021: cuntziderus aintremesu de sardidadi e stória, de Antonello Angioni de su Comitau po “Sa Die de sa Sardígna” (Versione in sardo-campidanese di Fabio Usala). Est sa relata chi Antonello Angioni at leziu ariseo in s’Aula de su Consizu Regionale de sa Sardigna.

“Sa Die” 2021: riflessioni tra sardità e storia, di Antonello Angioni del Comitato per “Sa Die de sa Sardigna”

- Cagliari, 28 aprile 2021 -

 

Signor Presidente della Regione, Signor Presidente del Consiglio, Signori capigruppo, graditi ospiti,

porgo innanzitutto il saluto del Comitato per “Sa Die de da Sardigna”, che ho l’onore di rappresentare in questa importante occasione e – a nome dello stesso – svolgo alcune brevi riflessioni, partendo da un’evidenza.

Penso che, se dovessimo raccontare la storia della civiltà dei sardi, non vi è dubbio che il discorso dovrebbe partire, quanto meno, dal periodo nuragico se non addirittura dalle diverse e originali culture che, nel corso di una vicenda plurimillenaria, l’hanno preceduto.

Tuttavia, dovendo limitare queste riflessioni agli eventi che costituirono la premessa storica dell’insurrezione popolare del 1794, il discorso partirà dal periodo giudicale, allorché si verifica una graduale evoluzione delle istituzioni bizantine ed i governanti locali, col titolo di judex, assunsero metodi di governo e strumenti di statualità che presero compiuta forma nei quattro regni giudicali. Dunque non si è più in presenza di distretti amministrativi di un’entità statuale esterna (l’Impero bizantino) ma di stati sovrani, dotati di autonoma personalità giuridica e disciplinati da proprie leggi e istituzioni: i giudicati.

In quel lontano periodo – rimasto sepolto nelle oscure pieghe della storia – la Sardegna era isolata e, per la sua difesa e organizzazione interna, dovette fare esclusivo affidamento alle proprie forze, al proprio genio e alla propria capacità creativa. Grazie alla forza militare, i Sardi furono in grado di bloccare l’avanzata dell’Islam nel Mar di Sardegna e nel Mar Tirreno, impedendo che l’Isola divenisse una base della sua espansione verso la Francia (dove gli Arabi furono sconfitti nel 732 da Carlo Martello) e soprattutto verso l’Italia, mentre la Sicilia si lasciava conquistare.

Durante il periodo giudicale, la storia dei Sardi significativamente coincide con la storia della Sardegna e si accende (per la prima volta ai tempi di Eleonora d’Arborea), nell’animo delle popolazioni locali, l’idea di una Sardegna unita e liberata dall’egemonia straniera attuata dalle Repubbliche marinare di Pisa e Genova.

È soprattutto sotto il regno della giudicessa arborense che l’Isola scopre di essere popolo e nazione (per comunità di storia, cultura, lingua, costumi e tradizioni) e dà vita ad un ordinamento giuridico che costituisce sicuramente il frutto più complesso prodotto dalla Sardegna, nella sua storia millenaria, per organizzarsi secondo il proprio genio, seguendo consuetudini e dotandosi di leggi proprie.

Il ricordo e il sentimento di quella stagione non si sono mai spenti nell’animo dei Sardi e rappresentano il substrato di quella coscienza che sta alla base dei reiterati sforzi posti in essere, nel corso dei secoli e in diversi contesti storici, per sottrarsi al dominio esterno e affermare il diritto all’autogoverno. È forse per questo che lo stemma dei giudici d’Arborea (la quercia dalle radici divelte, verde in campo bianco argento), giunto sino a noi con i suoi colori sbiaditi, evoca i segni e il retaggio di un antico splendore e suscita il sentimento della nazione incompiuta, della “nazione abortiva” come dirà Bellieni.

La rivendicazione di soggettività politica si affermerà anche durante la dominazione spagnola, soprattutto tra il XVI e il XVII secolo, allorché il Parlamento sardo condusse una tenace battaglia contro l’assolutismo monarchico, una rivendicazione di “autonomia” e di rispetto tesa a contenere l’azione centralista della Corona di Spagna.

Ed è proprio nell’ambito degli Stamenti (i tre bracci dell’antico Parlamento sardo) – attraverso una lotta plurisecolare fatta di vittorie effimere, di dure sconfitte, ma anche di faticose e graduali affermazioni – che doveva formarsi quella coscienza che, col linguaggio di oggi, potremo definire “nazionalitaria” o “autonomista” sarda.  È in quelle istituzioni rappresentative che si sviluppò, la lunga e tormentata lotta per gli “impieghi” con la quale veniva rivendicata l’attribuzione ai Sardi degli incarichi pubblici (civili e militari) e delle prelature.

Questa battaglia troverà un momento di acuta crisi nel Parlamento presieduto dal viceré Camarassa, che culminerà nel 1668 con lo scioglimento degli Stamenti, cui fece seguito l’assassinio del marchese di Laconi don Agostino di Castelvì, prima voce dello Stamento militare, e poi, dopo un mese, dello stesso viceré ad opera di una congiura di nobili.

Furono i parlamenti ad aver rappresentato, per lungo tempo, il motore della vita politica e del progresso economico e civile del Regno di Sardegna: da essi erano stati deliberati i provvedimenti più saggi tesi a contenere il dispotismo dei funzionari regi; da essi era stata ottenuta la costituzione della Reale Udienza e la fondazione delle Università di Cagliari e Sassari; da essi era nata la proposta di potenziare la difesa dell’Isola; e, ancora, da essi era stata ripetutamente rivendicata l’attribuzione esclusiva delle cariche e degli impieghi del Regno ai Sardi.

Il sentimento della nazione, vale a dire il senso dell’appartenenza e la piena consapevolezza di costituire un “popolo distinto” dai dominatori di turno, troverà nuova linfa durante la “Sarda Rivoluzione” (1793-1796), in un contesto in cui le rivendicazioni di autonomia si fondono con un vasto e variegato movimento antifeudale che, sotto la direzione di Giovanni Maria Angioy, attraversa tutta l’Isola. “Popolo distinto”, a lungo oppresso, sfruttato, depauperato dalle proprie risorse e dalla peculiare civiltà che ha espresso nel corso dei secoli, spesso soverchiato con la violenza sul piano militare e mortificato nella ripartizione delle risorse e delle opportunità di sviluppo, ma mai definitivamente vinto.

Un popolo che, dopo un percorso a tratti carsico, faticosamente emergendo dalle profondità della storia, può oggi vantare un patrimonio incancellabile di lunga ed eroica resistenza contro lo strapotere e la prepotenza delle entità statuali che, in diverse epoche, hanno cercato di annientare le sue specifiche connotazioni spingendolo in un angolo morto della storia.

In tale contesto, non vi è dubbio che la “Sarda Rivoluzione” testimoni la presenza di una élite “sarda” partecipe delle inquietudini e dei fermenti del tempo, partecipe dell’illuminismo. E va anche detto che quella sollevazione profonda degli animi e delle coscienze non si limitò al triennio rivoluzionario (1793-1796) ma segnò un intero ventennio che ebbe inizio alla fine del 1792, con la difesa dell’Isola contro il tentativo d’invasione francese, per concludersi nel 1812 col tragico epilogo dei martiri di Palabanda.

Questo periodo, assai interessante, racconta – forse meglio di ogni altro – la vicenda di un popolo, il Popolo Sardo, e, come in un grande affresco, narra anche le sue attese, le sue rivendicazioni, le sue lotte, il suo affacciarsi alla storia e la sua ferma volontà di prendervi parte. Le lotte sono quelle stesse che contadini, pastori e intellettuali, dagli inizi del Settecento, conducono in tutta l’Europa contro il feudalesimo e l’Ancien Régime. E sono proprio quelle lotte che daranno l’avvio, nel vecchio continente, alla conquista delle libertà moderne che segnano l’inizio dell’età contemporanea.

In particolare, l’insurrezione cagliaritana del 28 aprile 1794 – ancora oggi viva nella memoria collettiva – sta alla base di “Sa Die de sa Sardigna”, la Giornata del Popolo Sardo che si celebra tutti gli anni, proprio il 28 aprile, e che noi oggi stiamo celebrando in quest’Aula.

L’istituzione di questa giornata, che (come ha ricordato il Presidente del Consiglio) risale al 1993, è assai importante anche perché ha contribuito a inaugurare una serie di studi storiografici che hanno gettato nuova luce su quei fermenti di rinnovamento economico e civile e sulla circolazione delle idee politiche che – dando sostanza a un diffuso sentimento di fierezza, di orgoglio e di esaltazione della propria identità etnica e nazionale – resero possibile quella insurrezione. Il 28 aprile rappresenta dunque una data simbolica, cruciale nella storia moderna e contemporanea della Sardegna. Da allora, infatti, nulla sarebbe stato come prima.

Quest’anno, proprio di recente, abbiamo avuto l’opportunità di ricordare il centenario della nascita del Partito Sardo d’Azione. Furono i suoi promotori, i giovani ex combattenti della prima guerra mondiale, a riproporre nelle loro manifestazioni, a partire dal 1920, quel “Procurade ‘e moderare” che questo Consiglio regionale ha scelto quale inno nazionale dei Sardi nel corso delle celebrazioni di “Sa Die de sa Sardigna” del 2018. Con esso, la Sardegna ha completato la simbologia politica e identitaria (la bandiera dei quattro mori, la festa nazionale e l’inno ufficiale) che ci rende solidali con tutti i popoli e le nazioni del mondo: quelle organizzate in Stato e quelle “senza Stato”.

Il tempo a mia disposizione non consente di approfondire in maniera adeguata alcuni passaggi necessari per acquisire la consapevolezza delle nostre origini e della nostra peculiare cultura, di tutto quell’insieme stratificato di esperienze, elaborazioni, sentimenti e pulsioni che – nel fluire non lineare del tempo – formano la nostra storia di popolo e stanno alla base della sardità. Mi avvio quindi alla conclusione cercando di riflettere in cosa possa sostanziarsi il nostro ruolo di pensatori dell’autonomia.

Cerco in particolare di capire cosa si deve fare nel presente. Al riguardo, non vi è dubbio che occorre innanzitutto uno sforzo collettivo, serio e tenace, per ricomporre i frammenti, tuttora sparsi, del nostro passato e per disseppellire – dall’oblio e dalle manipolazioni di parte – i passaggi fondamentali che hanno forgiato la nostra attuale fisionomia. La storia di popolo, dunque, dovrà sempre più essere letta anche come sedimento e fondamento di identità, quale premessa necessaria per uscire dalla nostra condizione di subalternità, sottosviluppo e insicurezza.

L’analisi storiografica – da condurre con studi rigorosi e approfondite ricerche -dovrà anche contribuire a dare una risposta ai molteplici problemi del presente in quanto il sapere storico costituisce una indispensabile premessa all’agire politico attraverso il quale gli uomini operano le scelte che influenzano il loro avvenire. Lo storico è quindi chiamato a rimuovere le zone d’ombra, chiarire i punti ancora controversi e offrire gli anelli mancanti della catena che consentano di capire quei passaggi delle vicende del popolo sardo rimasti ancora senza adeguata spiegazione.

Nel contempo occorre ripensare l’autonomia come “progetto”, come capacità di autogoverno, come ferma volontà di esprimere, attraverso una propria classe dirigente, un nuovo modello di sviluppo, autonomo e dinamico, che valorizzi al meglio, nella società contemporanea e nell’orizzonte europeo e mediterraneo, il genio e la memoria storica della Sardegna dando al rinnovamento della società sarda un marcato carattere di apertura e di tensione ideale verso gli orizzonti più avanzati della cultura, dell’economia e della politica.

Questo può essere il senso della nostra Autonomia, questo può essere il significato profondo di “Sa Die de sa Sardigna”.

Antonello Angioni

Comitato per “Sa Die de sa Sardigna”

 

(VERSIONE IN SARDO CAMPIDANESE  di FABIO USALA)

 

“Sa Die” 2021: cuntziderus aintremesu de sardidadi e stória

de Antonello Angioni de su Comitau po “Sa Die de sa Sardígna”

Chi depeus contai sa stória de sa civilidadi de is sardus, no ddoi at duda peruna chi serbat a cumentzai sa chistioni, assumancu, de sa simana nuraxesa deghinou mancai de is culturas diversas e sintzillas chi dd’ant acoitada apustis de una stória de millenas de annus.

 

Comentisisiat, sendi chi si tocat a allacanai custus cuntziderus a is fatus chi fundant su sterrimentu stóricu de s’avolotu populari de su 1794, sa chistioni dda moveus de sa simana giugiali, ca de intzandus bieus un’amanniamentu graduali de is istitutzionis bizantinas e is gubernantis de su logu, cun su títulu de judex, pigant una manera de gubernai e ainas de statualidadi chi abbellu abbellu donant sa bisura insoru a is cuatru rennus giugialis. Duncas no chistionaus prus de distretus ministrativus de un’entidadi statuali allena (s’Imperu bizantinu) ma de stadus soberanus, chi tenint sa personalidadi giurídica insoru e ghiaus de leis e istitutzionis insoru: is giugiaus.

In cussa simana antiga – chi ant interrau in is pinnicas scuriosas de sa stória – sa Sardínnia fiat arrenconada, cun is fortzas suas si fiat diféndia e si fiat organisada, agiudada de s’ingéniu e de sa capacidadi de imbentu sua puru. Torrendi gràtzias a sa fortza militari insoru, is Sardus iant frimau s’adelantada de s’ĺslam in su Mari de Sardínnia e in su Mari Tirrenu e po mori de issus s’ĺsula no dd’iat acabbada una basi po s’adelantamentu concas a sa Fràntzia (aundi a is arabbus ddus iat bintus in su 732 Càrulu Martello) e mescamenti concas a s’Itàlia e a sa Sitzília chi in s’interis dd’iant conchistada.

In sa simana giugiali, sa stória de is Sardus torrat paris cun sa stória de sa Sardínnia e s’alluit (po sa primu borta a su tempus de Lionora d’Arborea), in s’ànimu de sa genti de su logu, sa bidea de una Sardínnia aunia e líbbera de s’egemonia allena de is Repúbblicas marineras de Pisa e Gènova.

Est mescamenti asuta de su rennu de sa giuigissa arborensi chi s’ĺsula scoberrit de essi pópulu e natzioni (cun stória, cultura, língua, costumàntzias e connotu a cumoni) e fait un’ordinamentu giurídicu chi est de siguru su trabballu prus incolliosu prodúsiu de sa Sardínnia, in sa stória millenària, po s’organisai sighendi s’ingéniu suu, sighendi is costumàntzias suas e manigendi is leis suas.

S’arregordu e su sintidu de cudda stasoni no si ndi ant studau mai in s’ànimu de is Sardus e funt su fundamentu de cudda cusciéntzia chi est posta a fundóriu de su fadiori sighiu in is séculus e in simanas stóricas diversas, po si ndi trantziri de su domíniu allenu e arrennesci a arribbai a su gubernu desei. Forsis est po custu chi su stema de is giugis de Arborea (s’arroli scotzeddada, birdi in campu biancu prata), arribbau finsas a nosus a coloris incespiaus, s’arremonat is sinnus e s’eréntzia de unu lugori antigu e sucat su sentimentu de sa natzioni disacabbada, de sa “natzioni strumingiada” comenti apustis narat Bellieni.

S’apretu po una política indipendenti at a bessiri a pillu cun is spanniolus puru, mescamenti aintremesu de su séculu XVI e su séculu XVII, candu su Stamentu sardu iat batallau contras de s’assolutismu monàrchicu, s’apretu de “autonomia” e de arrispetu chi impunnàt a apoderai s’atzioni centralista de sa  Corona de Spànnia.

Est aintru de is Stamentus etotu (is tres bratzus de su Parlamentu sardu antigu) chi – cun d-una gherra pluriseculari fata de bíncidas temporalis, de pérdidas malas, ma de bíncidas fadiosas e gradualis puru – chi si ndi depiat strantaxai cudda cusciéntzia chi, cun linguatzu de oi, podeus nai “nazionalitària” o “autonomista” sarda.  Est in cuddas istitutzionis arrapresentativas chi nascit sa gherra longa e trumentada po is “trabballus” chi depiat torrai a svengai s’atribbutzioni a is sardus de is incàrrigus púbbricus (civilis e militaris) e de is prelaturas.

Custa batalla iat agatau unu momentu de crisi manna in su Stamentu ghiau de su visurrei Camarassa, chi peus che peus in su 1668 arribbat a fai arrui is Stamentus, chi apustis sighit puru cun sa morti de su marchesu de Laconi don Agostino de Castelvì, primu boxi de su Stamentu militari, e de intzandus a unu mesi, de su visurrei etotu po mori de una tramperia de nóbbilis.

Po unu niaxi de tempus is Stamentus iant arrapresentau su coru de sa vida política e de s’adelantamentu económicu e civili de su Rennu de Sardínnia: issus etotu iant delibberau is àutus prus sàbius a apoderai sa tirannia de is funtzionàrius de sa monarchia; issus nd’iant scrufiu su faimentu de sa Reali Udiéntzia e su faimentu de is Universidadis de Casteddu e de Tàtari; issus iant fatu su proponimentu de afortiai s’amparu de s’ĺsula; e, issus etotu iant sighiu a pediri s’atribbutzioni única de is incàrrigus e de is trabballus de su Rennu a is Sardus.

Su sentimentu de sa natzioni, est a nai su sensu de apartenéntzia e de grandu atinu de essi unu “pópulu fatu nodiu” de is dominadoris chi arribbànt, si torrat a pigai in s’interis de s’“Avolotu Sardu” (1793-1796), in d-una simana chi s’apretu de autonomia s’acàpiat apari a unu movimentu anti feudali mannu e braxu, ghiau de Giuanni Maria Angioy, atruessat totu s’ĺsula. “Pópulu fatu nodiu”, cracaxau de diora, impoburiu, sdorrobbau de sa sienda sua e de sa civilidadi nodia chi at espressau in is séculus, fatuvatu apatigau de mala manera de is sordaus e sbregungiu in sa spartzidura de is ainas e de is oportunidadis de adelantamentu, ma mai bintu dessudotu.

Unu pópulu chi, apustis de àndalas a bortas cuadas, est torrau a nasci de su sperefundu de sa stória, oindii tenit una sienda bia de aguantu longu e eróicu contras de sa tirannia e su barrosímini de is entidadis statualis chi, in simanas diversas, ant circau de sderrui is calidadis suas ponincendiddu in d-unu furrungoni mortu de sa stória.

Posta aici sa chistioni, no ddoi at duda peruna chi s’”Avolotu Sardu” amitat sa preséntzia de una élite “sarda” acanta de is pentzamentus e de su spéddiu de intzandus, acanta de s’illuminismu. E tocat a nai puru chi s’avolotu fungudu de is ànimus e de is cusciéntzias no iat pertocau is tres annus de s’Avolotu sceti (1793-1796) ma iat batiau unas bintena de annus de sa scoada de su 1792, cun s’amparu de s’ĺsula contras a sa tenta de invasioni frantzesa, finsas a su 1812 cun s’acabbu tristu de is màrturus de Palabanda.

Custa simana, de importu mannu, si contat – forsis mellus de totu is atras – s’acuntéssiu de unu pópulu, su Pópulu Sardu, e, che in d-una grandu pintura, si contat de is abetus suus, is apretus, is gherras, de sa manera sua de s’incarai a sa stória e de sa boluntadi sua de ndi pigai parti. Is gherras funt is própius chi is massajus, is pastoris e is scípius, de su cumentzu de su Setixentus, ghiant in totu s’Europa contras de su feudalésimu e l’Ancien Régime. E funt is gherras chi incarrerant, in su Continenti Béciu, a sa conchista de is libbertadis modernas chi bàtiant su cumentzu de s’edadi contemporanea.

Prus de totu, s’avolotu casteddaju de su 28 de su mesi de Abrili de su 1794 – oi etotu biatzu in sa memória de totus – est su fundóriu de “Sa Dii de sa Sardínnia”, sa Giorronada de su Pópulu Sardu chi s’afestat totu is annus, su 28 de su mesi de Abrili, e chi nosus oi seus arregordendi in cust’Àula.

Sa pentzada de custa dii, chi est de su 1993, est de importu mannu poita ca at giuau a fai incarrerai unu niaxi de stúdius storiogràficus chi nd’ant torrau a pesai su spéddiu po s’adelantamentu económicu e civili e po su spainamentu de is bideas políticas chi – ponendi súciu in cuddu sentimentu spainau de faci, de artivesa e de furighedda po s’identidadi étnica e natzionali – at pirmítiu s’avolotu etotu. Su 28 de Abrili duncas arrapresentat una dii simbólica, de fundóriu po sa stória moderna e contemporanea de sa Sardínnia. De intzandus, difatis, mudat totu.

Ocannu, de pagu, eus tentu manera de arremonai is cent’annus de su Partidu Sardu d’Atzioni. Funt staus is fundadoris, is gióvunus ex cumbatidoris de sa primu gherra mondiali, a nci torrai a ponni in is manifestadas insoru, de su 1920, su “Procurade ‘e moderare” chi  custu Cunsillu regionali at scioberau che innu natzionali de is Sardus po arremonai “Sa Dii de sa Sardínnia” de su 2018. Cun issu, sa Sardínnia at cumpriu sa simbologia política e identitària (sa pandela de is cuatru morus, sa festa natzionali e s’innu uficiali) chi si fait bessiri alliaus cun totu is pópulus e is natzionis de su mundu: is chi funt organisadas in Stadu e is chi funt “fora de Stadu”.

Su tempus a disponimentu miu no est bastanti po chistionai in d-una manera funguda de unas cantu chistionis chi serbint po achiriri s’atinu de is arrexinis nostas e de sa cultura nosta nodia, de totu cuss’apilladura de sperientzas, adelantamentus, sentimentus e impéllidas chi – cun su tempus – faint sa stória nosta de pópulu e si ponint a fundamentu de sa sardidadi. Serru circhendi de arrexonai acumenti potzaus cumpriri s’arrolu nostu de pensadoris de s’autonomia.

Circu mescamenti de cumprendi ita si depit fai oindii. Po su chi pertocat custu, est fora de duda peruna chi serbat ainnantis de totu una faina colletiva, séria e atrivia, po torrai a pinnicai apari is ancodeddus, chi imoi funt spartzinaus, de su connotu nostu e po ndi bogai a pillu – de su scuriu e de is mangiucus interessosus – is tretus de fundamentu chi ant forgiau sa bisura nosta de imoi. Sa stória de pópulu, intzandus, tocat a dda ligi puru che a fundurulla e fundamentu de identidadi, che sterrimentu chi serbit a ndi bessiri e assusai de sa subbalternidadi, de sa poburesa e de s’insiguresa.

S’anàlisi storiogràfica – de fai cun stúdius pibincus e circas fungudas – at a depi agiudai a arrespundi a su niaxi de probbremas de oindii poita ca su sciri stóricu est indispensàbbili in su fai de sa política ca cun custu fai is óminis scioberant su chi ant a bessiri in su benidori. Su stóricu intzandus ndi depit tirai is umbras, depit acrarai is dudas e aciungi is aneddus chi amancant de sa cadena aici chi agiudint a cumprendi cuddus arrogus de s’acuntéssiu de su pópulu sardu chi ancora no ant spricuau comenti si spetat.

 

In su própiu tempus tocat a torrai a pensai s’autonomia che “progetu”, che abbilesa de gubernu desei, che boluntadi frima de contai, cun sa crassi dirigidora nosta, de unu mollu nou de adelantamentu, autònomu e dinàmicu, chi amellorit su prus chi fait, in sa sociedadi contemporanea e in s’orizonti europeu e mesuderràniu, s’ingéniu e sa memória stórica de sa Sardínnia donendi a s’annoamentu de sa sociedadi sarda unu carateri forti de obertura e de impunnas concas a is orizontis prus adelantaus de sa cultura, de s’economia e de sa política.

Custu podit essi su sensu de s’Autonomia nosta, custu podit essi su sintidu fungudu de “Sa Die de sa Sardígna”.

 

Antonello Angioni

Comitau po “Sa Die de sa Sardígna”

 

 

 

 

 

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