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Le vie della maternità non sono mai finite, di Cristina Taglietti

Posted By cubeddu On 24 settembre 2020 @ 03:46 In Antropologia,Blog,Letteratura | Comments Disabled

 

Sostiene Laura che ci siano due tipi di donne rispetto alla maternità: quelle che contemplano la possibilità di «abdicare alla loro libertà e di immolarsi sull’altare della conservazione della specie» e quelle «disposte ad accettare lo stigma sociale e familiare pur di preservare la loro autonomia».

Laura fa parte di queste ultime: è lei la protagonista e la voce narrante di questo nuovo romanzo della scrittrice messicana Guadalupe Nettel, La figlia unica, finissima immersione nella maternità che, proprio partendo da una contrapposizione apparentemente estrema, la contraddice, mostrandone tutte le possibili sfumature, le incertezze, i cambi di direzione e di passo.

Laura condivide con l’amica Alina il sogno di una vita piena di viaggi, lavoro, studio, libertà e niente figli. Il loro è un legame forte («Esistono esseri senza i quali non ci si può concepire in questo mondo e per me Alina era uno di questi») che non cambia neppure quando Alina si innamora di Aurelio, e insieme decidono di avere un figlio.

Laura è sorpresa dalla decisione dell’amica, dalla determinazione che la porta a volerla perseguire con ogni mezzo quando il figlio non arriva naturalmente, ma non lo vive come un tradimento. È con lei nello studio medico quando l’ecografia rivela che è una femmina, mentre la sua mente passa in rassegna «i pericoli che questo comporta in un Paese come il nostro, dove ogni giorno nove donne muoiono assassinate per ragioni di genere».

Laura c’è quando Alina viene informata che Inés (così ha deciso di chiamare la figlia) ha una rara malattia genetica che impedisce al cervello di crescere e che morirà appena nata. E mentre Alina si prepara alla nascita e alla morte di sua figlia, Laura si ritrova a creare un rapporto imprevedibile e stretto con i suoi vicini di casa: Nicolás, un bambino di 8 anni vittima di grandi crisi di rabbia, e la madre Doris che non riesce a gestirlo.

Dalla parete che divide i due appartamenti sente le urla e gli improperi del bambino, gli oggetti scagliati, la violenza dei gesti, il silenzio remissivo della madre, le suppliche, il progressivo ritrarsi in un letargo depresso e sconfitto che spinge Laura a prendersi cura prima del figlio (con cui instaura una strana sintonia) e poi della madre.

È un doppio binario quello su cui la protagonista si trova a condurre la sua vita apparentemente appagata, e che invece sembra avere bisogno di questa duplice forma di accudimento.

Nettel intreccia le storie delle tre donne tenendo Laura come baricentro, in un’idea di maternità che non obbedisce a nessuna regola precostituita, che smentisce prese di posizione culturali e istinti naturali.

La scrittrice, che nei racconti delle raccolte precedenti ha indagato l’ambiguità di un regno animale visto come specchio deformante di emozioni e sentimenti umani («tutti gli animali sanno di cosa hanno bisogno, tranne l’uomo» sentenzia Plinio in epigrafe a Bestiario sentimentale) e le ossessioni nascoste sotto le superfici solo apparentemente increspate di vite ordinarie ( Petali), qui entra senza reticenze o timori nelle diverse pieghe dell’istinto materno, in quell’impasto di dipendenza, in sofferenza.

LA LETTURA 30 AGOSTO 2020

 

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