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La metropoli più abitabile è a misura di casalinga, di Viviana Mazza

Posted By cubeddu On 5 settembre 2020 @ 05:36 In Ambiente e Urbanistica,Blog,Società | Comments Disabled

Per buona parte del Novecento, in molti centri americani, l’urban renewal, l’urbanistica del rinnovamento, aveva dichiarato guerra al «caos» della vecchia città cresciuta senza ordine. Le idee del Movimento Moderno, ispirate in particolare dalla Ville Radieuse di Le Corbusier — che imponevano la separazione delle funzioni, favorivano l’auto privata e la dispersione degli insediamenti sul territorio — sono alla base anche delle sterminate periferie statunitensi. Jane Jacobs, una donna priva di laurea e di esperienza professionale ma educata alla libertà di pensiero, fu tra i primi a criticare quella visione. Il suo libro Vita e morte delle grandi città (1961) fu considerato inizialmente «una brillante analisi basata sul sentimentalismo di una casalinga», ma l’autrice, madre di tre figli, nata a Scranton in Pennsylvania e che a New York aveva lavorato come redattrice di riviste, era di fatto una studiosa delle città. Jacobs ha avuto il merito di far entrare nel discorso pubblico un nuovo modo di considerare il rapporto tra Città e libertà: questo il titolo dell’antologia di una serie di suoi scritti curata e tradotta da Michela Barzi, in uscita per Elèuthera.

Vita e morte delle grandi città fu «un atto di disobbedienza civile», spiega Barzi, che dirige il sito

«Jacobs riuscì a far circolare l’idea che i cittadini abbiano il diritto di opporsi ai progetti che trasformano il loro ambiente in modo violento». Partecipò sia alle proteste contro la guerra in Vietnam (decidendo alla fine di trasferirsi a Toronto, per evitare l’arruolamento dei figli) sia a quelle contro l’autostrada Lower Manhattan Expressway che minacciava il mosaico etnico-sociale del suo quartiere, il Greenwich Village. Fu arrestata due volte, e interrogata perché sospettata di simpatie comuniste (che non aveva). Jacobs era una outsider, osserva l’antropologo 83enne James C. Scott in un’appendice del volume. «Gli architetti guardavano dall’alto le città, lei ci camminava dentro. Citava gli intestini del coniglio, che sono un pasticcio a vederli ma funzionano perfettamente, per spiegare che l’ordine visivo che ispira i piani urbani non va confuso con quello funzionale.

La sua seconda intuizione è che sono le persone a “fare la città” con le loro attività, le scorciatoie, i luoghi d’incontro. Non si considerava una femminista radicale, ma in parte vedeva la città come qualcuno che spinge la carrozzina e fa shopping, mentre gli uomini la vedono come una combinazione di aree residenziali e di lavoro, con i trasporti a collegarle».

Dopo la pandemia si è aperto un dibattito sulle città: il Covid-19 è la sentenza di morte della vita urbana o la spinta a cambiarla? «Ciò che Jacobs sosteneva, e credo sosterrebbe ancora, è che nel momento in cui la gente possiede una comunità di solito capisce che non può permettersi di perderla e fa di tutto per difenderla da ciò che può distruggerla, che si tratti di un virus o di un progetto devastante — spiega Barzi —. A questo riguardo il caso delle centinaia di morti, soprattutto anziani, causati dall’ondata di caldo che aveva colpito Chicago tra il 14 e il 20 luglio 1995, era stato analizzato da Jacobs per individuare un approccio epidemiologico basato sulla comunità che protegge i propri abitanti. Il motivo per cui in un certo quartiere i decessi erano stati solo un decimo di quanto registrato nel quartiere confinante dipendeva dal fatto che in quest’ultimo gli anziani non avevano alcun posto fresco da raggiungere a piedi e avevano paura di lasciare il loro appartamento per via della microcriminalità. Nel secondo caso, una comunità disfunzionale non ha protetto i suoi abitanti».

Che cosa significa, dunque, ripensare le città? «Non ci salveremo andando a vivere in massa nelle villette unifamiliari se poi siamo costretti a concentrarci nei luoghi di produzione e di consumo delle merci», sottolinea Barzi.

La lezione di Jacobs è che bisogna pensare al futuro «attraverso la messa in pratica di piccoli piani», non di grandi schemi onnicomprensivi. La studiosa delle città amava citare un architetto di Hannover: «Non dobbiamo decidere su ogni cosa. Dobbiamo lasciare qualche decisione alla prossima generazione. Anche loro hanno delle idee». «Jacobs non usava il concetto di sostenibilità, oggi molto abusato — conclude Barzi — ma ne aveva ben capito il significato».

La lettura, 5 luglio 2020

 

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