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La crisi dei 500 anni Le svolte della cristianità, di Marco Rizzi

Posted By cubeddu On 4 marzo 2020 @ 06:44 In Blog,Chiesa,Storia | Comments Disabled

Nel 451 il Concilio di Calcedonia definì la natura di Gesù; dopo il Mille ci furono lo scisma d’Oriente e la svolta di Gregorio VII; 500 anni fa Lutero e la Controriforma Sembra giunta l’ora del nuovo «cambiamento d’epoca» annunciato da Papa Francesco.

L’attuale Pontefice ama ripetere che non stiamo vivendo semplicemente un’epoca di cambiamento, bensì, più radicalmente, un« cambiamento d’epoca». Lo ha fatto ancora nel discorso tenuto alla Curia vaticana per gli auguri di Natale, quando ha annunciato importanti mutamenti nella struttura di governo della Chiesa cattolica. L’affermazione di Papa Francesco viene in genere ricondotta allo scenario delle imponenti trasformazioni sociali e culturali determinate dalle nuove tecnologie e dai processi di globalizzazione economica, ma a ben vedere essa appare tanto più valida per la fase oggi attraversata dalle Chiese e più in generale dall’intera tradizione cristiana.

Anche a uno sguardo superficiale, infatti, è possibile cogliere come, nell’arco dei duemila anni trascorsi dall’originaria predicazione di Gesù di Nazareth, all’incirca ogni cinque secoli si siano realizzati avvenimenti che hanno profondamente segnato il corso della vicenda del cristianesimo. Indubbiamente, tali eventi costituiscono l’esito di processi storici già avviati in precedenza, ma non è difficile vedere come essi abbiano comportato conseguenze simili in termini di fratture — che nel linguaggio ecclesiastico si chiamano scismi —, di iniziative di evangelizzazione e soprattutto di autocomprensione che le comunità cristiane elaborano di sé — ecclesiologie, sempre nel vocabolario teologico.

Il primo di questi avvenimenti fu il Concilio di Calcedonia del 451, dove venne stabilita la duplice natura, umana e divina, nell’unica persona di Gesù Cristo. La definizione conciliare veniva dopo un lungo dibattito teologico e si collocava a metà strada tra le posizioni dei seguaci del patriarca di Costantinopoli Nestorio (morto nello stesso anno del Concilio), che sottolineava la dualità presente in Cristo, e quelle dei cosiddetti monofisiti, che gli attribuivano una sola natura. Non era certo il primo dibattito cristologico che travagliava la Chiesa; ma il Concilio sancì per la prima volta la spaccatura istituzionale, che dura ancora oggi, con le Chiese monofisite egiziana, etiope, armena, e con la Chiesa nestoriana. Quest’ ultima, in particolare, spostò il suo baricentro dalla Siria alla Persia per la persecuzione subita dagli imperatori bizantini, e da lì avviò un’ intensa attività missionaria in Asia centrale e orientale, sino alla Cina. Con alterne vicende il cristianesimo asiatico rimase vitale fino al XIII secolo, quando Papa Innocenzo IV inviò emissari alla corte dei mongoli in vista della riconciliazione tra cattolici e nestoriani.

Protagonisti del Concilio di Calcedonia furono l’imperatore d’Oriente Marciano e sua moglie Pulcheria, che fecero approvare una dichiarazione secondo cui il patriarca di Costantinopoli, la nuova Roma, aveva pari dignità del Pontefice romano: era la sanzione del carattere «imperiale» dell’ecclesiologia calcedonense. Mai accettata dal papato, questa pretesa rimase motivo di conflitto tra le Chiese latina e greca, culminato nella reciproca scomunica del 1054. Lo scisma precedette di poco l’ascesa nel 1073 al papato di Gregorio VII, che avviò una profonda riforma della Chiesa occidentale incentrata su due assi: da una parte, la rivendicazione della sua autonomia, anzi della sua superiorità rispetto al potere secolare; dall’altra, l’imposizione del celibato ai sacerdoti, per vincolarli esclusivamente alla Chiesa. Nel corso della lotta per le investiture, Gregorio VII non esitò a legare evangelizzazione e interessi politici nei suoi rapporti con gli Stati di recente costituzione ai confini orientali dell’impero, Ungheria, Polonia, Boemia e soprattutto il regno di Kiev, che favorirono la cristianizzazione in cambio del sostegno papale alla loro indipendenza.

La conseguenza di maggiore rilievo della riforma gregoriana fu costituita dalla progressiva clericalizzazione della Chiesa latina. Indubbiamente contribuì a limitare le ingerenze del potere secolare e ad attenuare l’inadeguatezza del clero, ma sancì la più netta separazione tra sacerdoti e laici, anzi l’inferiorità di questi ultimi, ridotti a meri recettori passivi della sempre più strutturata attività liturgica e sacramentale gestita dai primi. Inoltre, la pretesa preminenza su ogni altra autorità spinse la sede pontificia a dotarsi di un apparato simbolico e organizzativo in competizione con i sovrani secolari, e a potenziare il proprio sistema giurisdizionale attraverso lo sviluppo del diritto canonico. Così, se il processo avviato dalla riforma gregoriana accrebbe il prestigio della sede pontificia, d’altra parte comportò una tendenza accentratrice e burocratica che suscitò non poche resistenze e conflitti, destinati a convergere tutti nell’azione di Martin Lutero.

Le Chiese nate dalla Riforma annullarono così la distinzione tra clero e laici, ponendo il fedele direttamente davanti a Dio, al più con la mediazione della Bibbia. Al contrario, nel Concilio di Trento la Chiesa cattolica ribadì il ruolo centrale di Roma e della burocrazia ecclesiastica: dottrina e disciplina divennero i due cardini dell’ ecclesiologia controriformista, per cui al clero spettava la guida esclusiva dei fedeli circa che cosa credere e come vivere, sino alla proibizione della lettura personale della Bibbia, fin lì il libro più stampato e letto.

Alla morte di Lutero, nel 1546, l’unità del mondo cristiano era frantumata tra cattolici, protestanti e riformati (calvinisti); già un secolo prima, la conquista araba di Costantinopoli aveva spostato a Mosca il baricentro della tradizione ortodossa, determinando il primo significativo cambiamento della geografia cristiana dai tempi di Calcedonia.

Non solo la geografia religiosa era mutata: i viaggi di Colombo aprirono la strada a nuovi mondi, che permisero alla Chiesa cattolica di compensare con un rinnovato slancio evangelizzatore, a Oriente e Occidente, le perdite territoriali determinate dalla diffusione della Riforma in Europa. Anche le nuove Chiese trovarono spazio nell’America settentrionale a partire dal XVII secolo, sia pure come conseguenza delle persecuzioni subite in patria. Al tempo stesso, le popolazioni indigene imponevano una profonda revisione dei paradigmi antropologici propri della teologia: che uomini erano, se pure erano uomini, quelli del Nuovo Mondo? Oggi può sembrare scontato, ma il quesito impegnò le migliori menti dell’epoca.

Un ultimo aspetto della crisi religiosa del XVI secolo merita di essere sottolineato: l’invenzione della stampa costituì un’innovazione tecnologica che modificò radicalmente i paradigmi sociali, favorendo la diffusione dei messaggi religiosi, delle idee e della cultura, creando le forme moderne di comunicazione e propaganda (che, giova ricordarlo, prende il nome dall’istituzione missionaria della Chiesa cattolica, la congregazione De propaganda fide).

Le Chiese cristiane hanno trascorso i quattro secoli successivi cercando un difficile equilibrio con il mondo moderno e le sue pretese di autonomia. La nuova crisi è esplosa nel secondo dopoguerra, soprattutto nelle aree geografiche dove il cristianesimo era egemone, Europa e Americhe: la diffusione di stili di vita consumistici e centrati sulle istanze soggettive ha dato una dimensione di massa ai processi di secolarizzazione, che sino a quel momento presentavano un carattere prevalentemente politico-giuridico e intellettuale.

La secolarizzazione dei costumi e dei consumi ha allontanato le persone dalle Chiese. Sul versante cattolico, il Concilio Vaticano II ha tentato un’opera di «aggiornamento», attenuando la distinzione tra clero e «popolo di Dio», cercando di declinare in forme più consone al mondo moderno la dottrina e la disciplina tradizionali, ad esempio con l’abbandono del latino nella liturgia, senza però intaccarne i presupposti. Per questo, il Vaticano II sembra più la chiusura della lunga stagione tridentina, che non l’apertura di una nuova. La crisi appare aggravata oggi dagli sviluppi tecnologici, inimmaginabili anche solo pochi decenni fa.

Eppure, se si alza lo sguardo dal contesto europeo e lo si volge al mondo globalizzato, il cristianesimo nel suo complesso appare tutt’altro che destinato al declino. Alla crisi delle denominazioni tradizionali fa da contraltare la diffusione tumultuosa delle nuove Chiese protestanti e la permanente vitalità di quella cattolica in Africa e Asia. I conflitti dottrinali che hanno diviso le Chiese istituzionali per oltre quindici secoli appaiono in larga misura superati. La compresenza di una molteplicità di tradizioni ed esperienze religiose nel mondo globalizzato non è una novità inedita per il cristianesimo: a ben vedere, esso ha costituito un orizzonte univoco solo in un’area geografica ristretta e per qualche secolo della sua bimillenaria vicenda, l’epoca della societas christiana medievale.

Le sfide che gli si pongono oggi appaiono due. Anzitutto, le Chiese devono elaborare una nuova comprensione di sé, in altri termini una nuova ecclesiologia, che superi la dimensione confessionale e si allarghi a comprendere, come era in origine, le diverse modalità con cui si declina la memoria di Gesù Cristo, a partire dal battesimo e dalla promessa secondo cui dove sono due o tre riuniti nel suo nome, Egli è in mezzo a loro ( Matteo 18,20).

Un simile ecumenismo, come più volte sottolineato da Papa Francesco, non può nascere dall’alto, dalle burocrazie ecclesiastiche, ma svilupparsi dal basso e dai margini, dalle situazioni periferiche in cui le differenze confessionali si superano di fronte alle comuni difficoltà.

Poi, dinanzi al progresso scientifico e tecnologico che mette in discussione l’idea stessa di «uomo» pensata sinora, e al tempo stesso pone delicati problemi di giustizia, di accesso a tali potenzialità, di uso responsabile delle risorse naturali, la tradizione intellettuale cristiana può sbozzare una nuova antropologia che, sulla scia dell’immagine biblica dell’uomo creato a immagine e somiglianza di Dio e nella fedeltà a Gesù Cristo, vero uomo e vero Dio, contribuisca a che il cambiamento d’epoca si risolva in un reale progresso di tutta l’umanità, non nel vantaggio egoistico di pochi.

LA LETTURA,  5 gennaio 2020

 

 

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