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Il legame vitale di Maria Lai con la Sardegna, di Davide Mariani

Posted By cubeddu On 3 dicembre 2019 @ 06:47 In Cultura e Scuola,Persone | Comments Disabled

Davide Mariani direttore del Museo di Ulassai: «Dall’isola a una dimensione internazionale”.


di DAVIDE MARIANI *Maria Lai (Ulassai, 1919 – Cardedu, 2013) è stata senza dubbio una delle personalità più originali e interessanti del Novecento. Celebrata nei più importanti fori internazionali dell’arte contemporanea, dalla Galleria degli Uffizi a Documenta a Kassel e Atene, la sua figura, di recente, è stata investita da una rinnovata attenzione da parte della critica, che non perde occasione per omaggiarla e ricordarla, soprattutto in quest’anno che ricorre il centenario dalla nascita. Contrariamente a quanto accade per molti artisti, che vengono “riscoperti” post mortem, Maria Lai non ha dovuto aspettare questo “passaggio”, nella sua lunga carriera, ha potuto sempre contare sull’apprezzamento, non solo di chi la conosceva personalmente, ma anche dei cosiddetti “addetti ai lavori”, grazie a una quantità di mostre e pubblicazioni a lei dedicate che difficilmente un artista riesce a collezionare in vita. Oggi ciò che tutti le riconoscono è il fatto di essere riuscita nella grande impresa di aver saputo proiettare il suo vissuto personale verso una dimensione universale, il microcosmo in macrocosmo. Quel suo piccolo paese di origine, abbarbicato sui Tacchi d’Ogliastra, altro non è che la metafora perfetta del mondo, come lei stessa amava ricordare: «Ulassai è una metafora straordinaria, perché è minacciata da frane, come il mondo. Allora si parlava della bomba atomica: frana universale. E poi questo nastro che arriva…ma che vuol dire un nastro? Non vuol dire niente, non sostiene… però lì, nella storia, nella leggenda, si dice che quel nastro abbia dato una direzione di salvezza. E allora tutto il paese faccia quest’opera, dia un’immagine del mondo nuova e dell’arte. Perché l’arte è come quel nastro, bella da vedersi ma è soprattutto direzione di salvezza». La visione romantica dell’arte, unita all’attenzione pedagogica che l’artista ha sempre dimostrato, ha però nel tempo contribuito a consolidare un’immagine non perfettamente coincidente con la sua figura, tanto umana quanto artistica. Non è insolito, infatti, sentirla appellare, in articoli ma anche in convegni e dibattiti, con epiteti quali “la fata dell’arte”, “la bambina antica”, “la jana sarda” o “la nonnina che racconta fiabe”, definizioni che, a ben vedere, risultano quantomeno fuorvianti e rischiano di non corrispondere e, soprattutto, di non restituire la complessità di Maria Lai.Non è stata, ad esempio, la sua presunta dolcezza a consentirle di convincere il sindaco di Ulassai, nel 1981, a rinunciare al monumento ai caduti in favore di un’operazione che, al tempo, per stessa ammissione dell’artista, non aveva ancora nemmeno una definizione, ma semmai si deve alla sua tenacia, unita a una solida formazione e al fatto di essere pienamente calata nel contesto artistico, il ribaltamento della proposta ricevuta in favore di un “monumento ai vivi e non ai morti”. La convinzione che «La grande arte è quella che arriva alla gente che cammina per strada» non le deriva dall’innato bene nei confronti del prossimo, ma da un pensiero di Antonio Gramsci divenuto manifesto poetico della sua attività. Non è stata la sua pur straordinaria capacità narrativa a consentirle di continuare a realizzare opere sul territorio ma un impegno e una progettualità unica e costante, testimoniate dal racconto di quanti hanno collaborato con lei, che non amava progetti definitivi ma lasciava che fossero, di volta in volta, il muro o la montagna “a parlare” e questo non per una visione “mitica” e “fiabesca” ma perché riteneva che l’arte, per prima cosa, dovesse nascere dalla materia e poi trovare un dialogo con il paesaggio, dargli voce. Per farlo non era disposta a compromessi di nessun genere ma anzi si assicurava che ogni cosa potesse essere messa da lei in discussione fino, per così dire, all’ultimo minuto: «chiunque opera nell’arte non dovrebbe mai dire “io faccio arte”. È una stupidaggine. Io tento di fare arte. Va bene, ma tutta la vita? Sì, tutta la vita». Proprio quel “tentare di fare arte” ha portato alla realizzazione di opere che incantano e affascinano pubblico e critica. Ma per capire fino in fondo quel’ “ansia d’infinito”, da sempre fonte di ispirazione, occorre recarsi a Ulassai.* (Direttore del museoStazione dell’arte di Ulassai).

Da  LA NUOVA SARDEGNA,  25 novembre 2019

 

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