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Correnti illuministiche e fermenti laici nel Settecento e nell’età giacobina e napoleonica, Luciano Carta (prima parte)

Posted By cubeddu On 2 ottobre 2019 @ 05:53 In Blog,Storia della Sardegna | Comments Disabled

Rubrica: ISTORIAS DE SARDIGNA contada dae Luciano Carta. Sa de undighe.

Sommario (prima parte): 1. Il problema storiografico della presenza della massoneria in Sardegna nel Settecento e nella prima metà dell’Ottocento. 2. La Libera Muratoria nel Regno di Sardegna. 3.  La «rivoluzione delle idee» e il riformismo boginiano.

1. Il problema storiografico della presenza della massoneria in Sardegna nel Settecento e nella prima metà dell’Ottocento

 

Nel Prologo dell’avvincente affresco sulla massoneria europea, costituito dall’importante monografia Massoneria e illuminismo nell’Europa del Settecento, Giuseppe Giarrizzo ha scritto: «La storia della massoneria […] nell’Europa dei secoli XVII e XVIII costituisce uno dei capitoli insieme più complicati e intriganti della vicenda socio-culturale del continente. Eppure, per ragioni solo in parte indagate […] l’abbondanza delle fonti e della letteratura non è bastata a darcene ancora un profilo convincente, adeguato soprattutto a risolvere quella storia nella “storia generale” dell’Europa moderna»[1]. Questa constatazione sulla «abbondanza delle fonti e della letteratura» relative agli albori del moderno istituto latomistico, datata 1994, è valida ancora oggi, a distanza di quasi un ventennio, nel corso del quale gli studi sono continuati, dando luogo ad una bibliografia imponente relativamente ai paesi europei[2].

Come negli altri paesi europei, anche in Italia gli studi sulla massoneria hanno registrato una consistente fioritura, dando luogo ad un panorama bibliografico ricco e variegato, in cui uno degli aspetti più significativi è rappresentato dalla meticolosa ricerca avviata in numerosi contesti regionali e locali rimasti finora quasi del tutto inesplorati. Di tale fervore di ricerche il volume 21 degli Annali della Storia d’Italia dell’editore Einaudi, interamente dedicato alla massoneria nel nostro paese dalle origini ai giorni nostri, costituisce un fondamentale contributo di sintesi[3]. Questo volume vuole essere, sulla falsariga delle ricerche di carattere regionale e locale inaugurate dalla più recente storiografia, un primo contributo di sintesi del fenomeno in Sardegna dal Settecento ai giorni nostri.

Diversamente da quanto è accaduto per altre regioni italiane, in Sardegna gli studi sulla massoneria non potevano vantare nel 1994, e non possono vantare neppure oggi, quella abbondanza di fonti, archivistiche e letterarie, cui faceva riferimento il Giarrizzo. Poteva tuttavia annoverare, già a partire dagli anni Ottanta, una pregevole opera di sintesi storiografica, fondata su una robusta ricerca documentaria: il saggio di Lorenzo Del Piano, Giacobini e massoni in Sardegna fra Settecento e Ottocento, primo vero tentativo di ricerca scientifica sulla massoneria nell’isola[4]. Il saggio di Del Piano, che tra gli storici sardi contemporanei è quello che ha affrontato l’argomento con maggiore continuità e competenza sia ex professo che incidentalmente nella sua cospicua produzione storiografica[5], affrontava il controverso problema della massoneria in Sardegna nel Settecento e nella prima metà dell’Ottocento e offriva un convincente quadro della prima istituzione e della diffusione delle logge massoniche nel periodo post-unitario[6]. Dopo di lui, uno studioso in particolare, Gianfranco Murtas, si è distinto nello studio della massoneria in Sardegna dalla seconda metà dell’Ottocento ai giorni nostri, avviando un’esplorazione a tappeto sulle Valli e sulle Logge massoniche sarde e offrendo un’abbondante messe di dati, di testi letterari e di documenti desunti dagli archivi delle “officine” libero-muratorie, non solo della capitale dell’isola ma di tutte le altre città: il centro minerario di Iglesias, Oristano, antica capitale del piccolo regno giudicale di Arborea, Macomer, popoloso centro del Marghine, Sassari, capoluogo del Capo settentrionale, la cittadina gallurese di Tempio, Alghero, città di origine catalana, che ha ospitato fin dal Medioevo numerose famiglie di origine ebraica, Bosa, capoluogo della Planargia; infine Nuoro, capoluogo delle Barbagie[7]. Assai pregevole, infine, è la tesi di laurea della dott.ssa Cinzia Lilliu, discussa nella Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Cagliari, relativa al periodo compreso tra gli inizi dell’Ottocento e l’avvento del fascismo[8]. Un’attenzione particolare alla storia della massoneria in Sardegna, soprattutto attraverso la figura di Giorgio Asproni, è stata dedicata, inoltre, negli anni più recenti, da diversi studiosi dietro impulso dell’Associazione Culturale cagliaritana intitolata al grande deputato bittese[9]. Questa importante, seppur complessivamente modesta, messe di lavori storiografici è stata arricchita, inoltre, da alcuni profili biografici, particolarmente utili per una più adeguata contestualizzazione dell’estrazione sociale, del livello culturale dei protagonisti e per una conoscenza più profonda delle idealità, dei propositi e degli obiettivi dell’istituzione in Sardegna[10].

La relativa abbondanza di fonti del periodo post-risorgimentale e del Novecento, non trova riscontro, per la storia della massoneria in Sardegna, nel Settecento e nella prima metà dell’Ottocento. Lo studioso che si avventuri in tale ricerca assomiglia molto al classico ricercatore dell’ago nel pagliaio, destinato ad abbandonare l’impresa con l’intima convinzione che nel pagliaio massonico di Sardegna quell’ago non vi sia per alcun verso contenuto. Sotto il profilo archivistico e letterario, dunque, non si conoscono a tutt’oggi testimonianze che provino in modo certo e inconfutabile la presenza massonica in Sardegna nel Settecento e nella prima metà dell’Ottocento. È invece ormai assodato che la prima fondazione di logge nell’isola appartiene al secondo Ottocento, negli anni immediatamente successivi all’Unità d’Italia. Il primo “tempio” massonico sicuramente eretto in terra sarda fu la loggia cagliaritana «Vittoria», fondata nel 1861 e riconosciuta dal Grande Oriente d’Italia il 4 dicembre dello stesso anno, il cui primo maestro venerabile fu il magistrato savoiardo Pietro Francesco de Lachenal, che riceveva, dallo stesso Grande Oriente, l’incarico di diffondere il verbo massonico in terra sarda[11].

L’asserzione in sede storiografica dell’esistenza della massoneria in Sardegna nel periodo compreso tra l’inizio della dominazione sabauda e il primo Ottocento non discende da fonti documentarie, ma da supposizioni meramente ipotetiche e indiziarie o dalla equivoca estensione all’isola, intesa come entità geografica, della nascita e della diffusione dell’istituto latomistico nel Regno di Sardegna, acquisito dai Savoia nel 1720. Né Giuseppe Manno né Francesco Sulis[12], i maggiori storici dell’Ottocento sardo, né i loro epigoni hanno fatto il minimo cenno nelle loro opere a tale presenza, neppure quando qualcuno di questi ultimi risultava, se non iscritto alle logge massoniche sarde del secondo Ottocento, assertore di una visione laica della vita, per cui avrebbe avuto interesse a porre in evidenza tale presenza[13]. Sia il Manno che il Sulis, pur partendo da interpretazioni antitetiche della rivolta antifeudale e dell’epopea di Giovanni Maria Angioy, offrono un’ampia illustrazione della presenza a Cagliari di alcuni clubs giacobini, che agivano nel segreto ed erano frequentati da patrioti portatori di una visione sicuramente riformista, laica e progressiva della società; nessuno dei due, tuttavia, identifica queste conventicole di riformisti con associazioni neppure lontanamente assimilabili a logge massoniche. Ulteriore prova di ciò si ritrova in due opere coeve pubblicate recentemente: la prima è l’anonima Storia de’ torbidi, di parte feudale, redatta nel 1796, dopo la fuga dell’Angioy, che non dedica alcun cenno all’argomento[14]; la seconda è La Sardegna antica e moderna, scritta durante l’esilio dall’ex Sostituto avvocato fiscale algherese Matteo Luigi Simon, futuro magistrato della Francia napoleonica, che nega esplicitamente la presenza di logge massoniche nell’isola nel Settecento[15].

Lo studioso sardo che più di tutti gli altri ha insistito sulla presenza in terra sarda della massoneria, in particolare dal periodo rivoluzionario di fine Settecento all’alba dell’Ottocento  – ma non vanno dimenticati Pietro Leo, Gaetano Madau Diaz, Vincenzo Lai e Franco Murtas – è Felice Cherchi Paba, nel cui lavoro su Don Michele Obino e i moti antifeudali lussurgesi (1796-1803), apparso nel 1969, utilizza argomenti non fondati su dati documentari, ma piuttosto su deduzioni ex suppositione, attraverso la meccanica omologazione di massoneria e giacobinismo[16]. Ma su questo aspetto, proprio della massoneria francese ed europea a partire dalla Grande Rivoluzione, si dirà ampiamente oltre. È utile a questo punto, per una più perspicua scansione del nostro discorso, scindere gli anni Novanta del Settecento dai precedenti settant’anni anni della dominazione piemontese, iniziata nel 1720 sotto Vittorio Amedeo II, per verificare se, ed eventualmente in qual modo, la presenza storicamente documentata dell’istituzione massonica negli Stati di terraferma del Regno di Sardegna, possa avere avuto riflessi nell’isola.

 

2. La Libera Muratoria nel Regno di Sardegna

 

Come ha egregiamente documentato Pericle Maruzzi[17], gli albori della massoneria negli Stati sabaudi di terraferma risalgono al 1749, anno in cui fu istituita a Chambéry, capitale della Savoia, la prima loggia regolare, fondata dal marchese Joseph-François Noyel de Bellegarde, gentiluomo di camera di Carlo Emanuele III, denominata Saint Jean aux Trois Mortiers, in virtù di una patente rilasciatagli nel 1739, quando era addetto d’ambasciata del Regno sardo, dal Gran Maestro della Grande Loggia di Londra, che lo aveva creato anche Gran Maestro per la Savoia e il Piemonte, con la facoltà di erigere altre logge in quei territori. Dopo che nell’anno successivo la loggia ebbe assunto la nuova denominazione di Grande Maîtresse Loge au Trois Mortiers o Gran Loggia Madre degli Stati Sardi, da Chambéry partì l’opera di fondazione di numerose altre logge nei territori continentali del Regno di Sardegna, tra cui, nel dicembre 1765, la loggia di Torino La Mystérieuse[18].

La Libera Muratoria del Regno sardo non ebbe, in origine, quel carattere cosmopolita ed egualitario caratteristico della Fratellanza massonica inglese, paese d’origine dell’istituto, ma, ad imitazione di quella francese, «assunse un carattere aristocratico e mondano»[19], in cui la prevalenza degli adepti era costituita da nobili e da ufficiali di lignaggio nobiliare dei vari reggimenti dello Stato sabaudo e da un numero assai limitato di «borghesi», ossia di liberi professionisti o di persone facoltose. Un carattere accentuatamente aristocratico ebbe la loggia torinese La Mystérieuse, al cui consolidamento diede un importante contributo Honoré-Auguste Sabatier de la Cabre, segretario dell’ambasciata francese di Torino tra il 1761 e il 1769, che ne fu anche il primo maestro venerabile. L’apporto dei diplomatici stranieri, insieme ai militari delle logge omonime, che seguivano i rispettivi reggimenti nei frequenti spostamenti per l’Europa dovuti alle guerre di successione settecentesche, ebbe un ruolo importante nella diffusione della massoneria in ambito continentale. Ma a Torino il fattore forse più decisivo per la nascita e il consolidamento dell’istituzione latomistica durante il regno di Carlo Emanuele III e sotto l’attento ed occhiuto governo del suo ministro Giambattista Lorenzo Bogino, fu la presenza della cosiddetta «Corte parallela», creatasi negli anni Sessanta attorno al futuro re Vittorio Amedeo III. Composta «prevalentemente da militari nobili (oltre due terzi nelle liste del 1768), in maggioranza cadetti ed esponenti collaterali della grande nobiltà sabauda, la loggia [La Mystérieuse] annoverava alcuni personaggi ben addentro la frondosa corte “parallela” che negli ultimi anni del regno di Carlo Emanuele III si era venuta formando attorno al principe ereditario»[20], il quale fu quasi certamente affiliato alla loggia massonica torinese[21].  Non a caso, con l’avvicendamento al trono di Vittorio Amedeo III nel 1773, cui seguì la fulminea giubilazione del ministro Bogino, la loggia torinese visse una stagione di espansione  e di consolidamento. Due anni prima, nel 1771, era stato nominato ai vertici della Mystérieuse il maggiordomo di Sua Maestà, il conte Gabriele Asinari di Bernezzo. La loggia Mystéreuse andò sempre più assumendo, dopo il 1773, quel carattere di «loggia di corte» (Hofloge), cui erano ascritti molti nobili vicini al sovrano, cioè un tipo di associazione latomistica guidata dall’alto e direttamente legata alle direttive del sovrano, che pochi anni dopo avrebbe celebrato i suoi fasti in Austria sotto il governo dell’imperatore Giuseppe II, egli stesso iniziato alla massoneria al pari di diversi sovrani tedeschi come Federico II, e in Italia nella corte di Napoli, attorno alla regina Maria Carolina, sorella dell’imperatore austriaco.

La città di Torino e i numerosi adepti alla massoneria di corte, non potevano, per motivi di prestigio, soggiacere alla primazia della Loggia Madre savoiarda, dalla quale traeva la sua origine. Grazie alla dimestichezza che gli adepti della Mystérieuse potevano avere con il corpo diplomatico di paesi stranieri dai quali traevano origine le molteplici osservanze della massoneria europea, forti della protezione di Vittorio Amedeo III e convinti della necessità che venisse riconosciuto anche nel campo dell’associazionismo massonico il rango della città capitale dello Stato, nell’aprile 1774 il maestro venerabile della Mystérieuse conte di Bernezzo, ottenne dalla Grande Loggia di Londra le patenti di Gran Maestro Venerabile Provinciale del Piemonte, con la facoltà di istituire logge nel territorio dello Stato sardo. Questa legittima «affermazione della preminenza del centro politico del regno sulle periferie»[22], che rientrava nello sforzo, coronato da successo negli anni Ottanta da parte delle corti europee, di creare nell’ambito dell’associazionismo latomistico «un nuovo ente sovrano da porre sotto il controllo più o meno indiretto dei governi e delle corone»[23], non fu ben accolto dalla vecchia Loggia Madre di Chambéry. Essa, infatti, tentò inutilmente di opporsi alla creazione nel nuovo Priorato con sede a Torino con argomentati reclami presso la Grande Loggia londinese, redatti dal grande oratore della loggia Aux Trois Mortiers, il giovane Joseph De Maistre, che ebbe un ruolo importante nel dibattito massonico degli anni Ottanta e che ritroveremo a Cagliari agli inizi dell’Ottocento in un ruolo preminente nel governo della profuga famiglia reale in Sardegna, dopo la conquista del Piemonte ad opera della Francia repubblicana sul finire del 1798, che costrinse il debole Vittorio Emanuele IV a cercare rifugio nell’isola[24].

L’associazionismo massonico rappresenta, però, solo un aspetto della stagione di risveglio culturale manifestatosi nello Stato sabaudo del Settecento, che, iniziatosi con le caute aperture alla modernizzazione poste in essere dal ministro Bogino nell’ultimo ventennio del regno di Carlo Emanuele III e che coinvolgeranno anche la Sardegna, vivrà nei primi anni del regno di Vittorio Amedeo III quel periodo che Franco Venturi ha definito come «la corta estate di San Martino della cultura piemontese del Settecento»[25]. Gli studi di Vincenzo Ferrone sul regno di Vittorio Amedeo III hanno posto in risalto – ribaltando la vecchia tesi storiografica di una presunta involuzione politica e culturale del Regno sardo rispetto all’aureo periodo del riformismo illuminato della seconda fase del regno di Carlo Emanuele III[26] – che gli anni Settanta e Ottanta di quel regno hanno rappresentato per il Piemonte un significativo avanzamento sui versanti culturale, letterario e scientifico-tecnocratico. Ciò grazie soprattutto all’affermarsi di una nuova forma di «sociabilità» tra gli intellettuali, manifestatasi con la creazione di circoli letterari, accademie scientifiche e logge massoniche, istituzioni private unite dal comune interesse per gli sviluppi della scienza e della filosofia, dei canoni estetici, per la pratica di una libertà di parola e di discorsi inconsueta nel vecchio e retrivo Piemonte[27]. Tra le più significative espressioni di tale apertura alla nuova temperie culturale del secolo dei lumi fu la costituzione nel 1776 del circolo letterario privato denominato «La Sanpaolina», che si riuniva nella casa dell’adepto alla massoneria Carlo Falletti di Barolo, della quale fecero parte, oltre a Vittorio Alfieri, l’abate Tommaso Valperga di Caluso, anch’egli massone e futuro segretario perpetuo dell’Accademia delle Scienze di Torino, Giovanni Francesco Galeani Napione e anche, seppure per una breve comparsa, il savoiardo Joseph De Maistre, autorevole membro della loggia massonica di Chambéry; ma non occorre dimenticare, soprattutto nella provincia, le varie accademie di pittura, le numerose società legate all’Arcadia e inoltre i piccoli cenacoli letterari promossi dai Gesuiti, che si conservarono in vita soprattutto nelle scuole anche dopo la soppressione dell’Ordine nel 1773[28].

Questa stagione di rinnovamento e di vivacità culturale fu tuttavia assai breve e finì presto per scontrarsi con l’inveterato tradizionalismo del Piemonte sabaudo, terreno molto difficile per il radicamento di un atteggiamento culturale e scientifico nuovo e soprattutto improntato a libertà di ricerca e di vedute. Appena un lustro dopo la nascita della «Sanpaolina» e di altre espressioni del nuovo modello di associazionismo culturale, tra cui è doveroso ricordare la «Società privata» nata nel 1757, primo nucleo della futura Accademia delle Scienze sorta in seno alla corte alternativa del principe ereditario cui si è accennato sopra, le aspettative di rinnovamento culturale e di libertà di espressione suscitate dall’avvento al trono del nuovo sovrano erano già tramontate. Per l’incapacità del governo sabaudo di accettare un modo di essere del mondo della cultura troppo indipendente e privo del controllo da parte del sovrano, si verificò  nei primi anni Ottanta in Piemonte un repentino irrigidimento della censura, dovuto, oltre che alla connaturata tendenza dell’apparato di governo a irreggimentare la cultura e a trasformare i letterati in fedeli funzionari dello Stato, alla necessità di non creare tensioni diplomatiche con la corte papale, che già in due occasioni, nel 1738 e nel 1751, aveva condannato la massoneria e in diverse circostanze aveva stigmatizzato le espressioni più avanzate della cultura illuministica. Circoli letterari, logge massoniche e accademie furono sottoposte a un rigido controllo da parte del potere centrale, che nel 1794 portò alla messa al bando della massoneria in tutto il Regno. Il caso più significativo di questo mutato clima del mondo della cultura nel Regno sardo fu la trasformazione della «Società privata», dedita soprattutto alle investigazioni scientifiche, in Reale Accademia delle Scienze di Torino: la «Società» espressione della libera associazione di uomini di scienza diveniva un ente direttamente controllato dallo Stato[29].

La nuova direttiva assunta dall’assolutismo di Vittorio Amedeo III provocò la fuga dal Piemonte di intellettuali che, per indole e per convinzioni, non potevano sottostare al regime di libertà vigilata cui il potere statale li costringeva: tra essi Vittorio Alfieri, Carlo Denina e Agostino Tana, che nei loro viaggi attraverso l’Europa e l’Italia aveva respirato climi molto diversi di libertà di pensiero, di associazionismo filantropico e di pluralismo culturale; per qualcuno, tra quelli rimasti in patria, il radicalismo delle idee comportò la fine dei suoi giorni nelle segrete delle carceri sabaude: tale sorte toccò a Dalmazzo Francesco Vasco, fratello di Domenico, benefico disseminatore dei germi nuovi della cultura illuministica nell’Università di Cagliari, costretto anch’egli all’esilio[30]. Al contrario, gli intellettuali che accettarono il compromesso tra scienza e potere, poterono continuare la loro opera di “modernizzazione vigilata” della cultura piemontese, soprattutto attraverso la Reale Accademia delle Scienze di Torino, la Reale Accademia di Pittura e Scultura e la Patria Società Letteraria di cui fu animatore Prospero Balbo, erede del riformismo boginiano[31].

Tuttavia, al di là delle alterne vicende della situazione politico-culturale del Piemonte di fine Settecento, l’aspetto più importante ai fini del nostro discorso, che interessa la presenza e i canali di diffusione dell’istituzione massonica, è rappresentato dalla connessione che di fatto si instaurò tra le diverse forme di sociabilità culturale sopra delineata. «Logge, società letterarie, accademie – scrivono V. Ferrone e G. Tocchini – nate in tempi differenti e frutto di storie  e di movimenti ideali diversi sembrano infatti ritrovarsi, in Piemonte come nel resto dell’Europa, al centro di una medesima strategia di sociabilità all’interno della quale la cultura illuministica di fine secolo costituiva magna pars in termini sia di pratica  sia di discorso»[32]. Tra logge, accademie e sodalizi culturali della capitale come dei maggiori centri della provincia, circolano spesso le stesse persone, si professano gli stessi principi, si elabora una comune visione del mondo. Così nell’Accademia delle Scienze, come si è avuto modo di accennare sopra, funge da segretario perpetuo l’abate massone Tommaso Valperga di Caluso; a influenze massoniche pare si debba attribuire l’istituzione nel 1778 della Reale Accademia di Pittura e Scultura; il massone Giovanni Alessandro Valperga di Masino è fondatore e presidente della Reale Accademia di Fossano; un analogo discorso vale per la Società Agraria Torinese, «anch’essa animata da un personaggio chiave della massoneria subalpina, come il medico mesmerista Sebastiano Giraud, il marchese capo della Polizia Pallavicino delle Frabose, primo presidente della Società, e il marchese Amedeo Valperga di Caluso, cavaliere gran professo del Regime Rettificato della Stretta Osservanza»[33].

È in questo scenario del mondo culturale subalpino che occorre inquadrare il problema della presenza e della diffusione della massoneria in Sardegna nella seconda metà del Settecento, nel periodo che precede l’ultimo decennio del secolo; per l’interpretazione di quest’ultimo occorrerà tener conto, insieme al clima politico-culturale sopra descritto, dell’evento epocale della Rivoluzione francese, che costituirà il connotato più saliente e determinante. Ma di ciò si dirà meglio in seguito.

Per il periodo che precede quel fatale decennio di fine secolo, se anche non è stata ritrovata la decisiva prova documentaria dell’esistenza di logge massoniche in Sardegna e si deve pertanto escludere sinora una presenza dell’istituzione come struttura organizzata e legata ai riti delle diverse Osservanze, non ci pare legittimo asserire che in Sardegna non abbia circolato quella ventata nuova di cultura, riconducibile in generale alle concezioni proprie della cultura illuministica, comune alle diverse forme di sociabilità caratteristiche del secolo dei lumi. Come specificheremo meglio altrove, anche la «remota Sardegna», lontana periferia del Regno sabaudo ha beneficiato di quella nuova temperie culturale che si respirava nell’intera Europa. In questo senso riteniamo di poter condividere le indicazioni presenti nelle opere di diversi storici, come, per citare i più noti, B. Clavel, Oreste Dito, Alberto Maria Ghisalberti, Pietro Leo, di cui si dirà oltre. La presenza in Sardegna di un cospicuo numero di funzionari piemontesi nell’alta e nella bassa burocrazia, l’acculturazione di un numero significativo di intellettuali sardi che hanno soggiornato a Torino e nelle provincie continentali, la presenza nell’isola di guarnigioni militari provenienti dagli Stati di terraferma, da cantoni svizzeri o da regioni di area germanica, sono tutti elementi che rendono plausibile l’ipotesi di una circolazione, se non istituzionale almeno a livello personale, dell’ideologia massonica, contigua o strettamente imparentata con la cultura e la mentalità del secolo dei lumi. Ricorderemo a tal proposito, la recente opinione espressa dai citati V. Ferrone e G. Tocchini, che avvalorano l’ipotesi che qui prospettiamo, soprattutto con riferimento alla presenza nell’isola di guarnigioni militari non autoctone. «Probabilmente – essi scrivono -  alle guarnigioni di stanza nell’isola si potrebbero legare anche eventuali ma non documentate presenze muratorie in Sardegna, presenze più di uomini in contatto tra loro che non di stabili e regolarmente patentate riunioni, considerate anche le difficoltà incontrate dagli emissari dell’Ordine ancora negli anni successivi l’Unità nel radunare una sufficiente base sociale aperta alle fondazioni massoniche»[34].

Non ci resta, dunque, che procedere ad una sintetica illustrazione delle origini e dell’ideologia massonica moderna per avere agio, nei paragrafi successivi, di segnalare e individuare quegli apparentamenti culturali che nel corso della seconda metà del Settecento rendono contigui all’ideologia libero-muratoria orientamenti intellettuali di impostazione illuministica e propositi pratici, che, finalizzati allo svecchiamento delle idee e delle strutture politico-amministrative, perseguono l’ideale umanitario tutto intrinseco alla cultura del secolo dei lumi, della realizzazione della «pubblica felicità».

 

 

 

 

3.  La «rivoluzione delle idee» e il riformismo boginiano

 

Abbiamo accennato sopra che diversi storici, studiosi della massoneria e no, hanno asserito l’esistenza dell’istituto latomistico in Sardegna già dai decenni immediatamente successivi alla «rifondazione» londinese, all’incirca nello stesso periodo in cui le prime logge regolari venivano erette a Chambéry e a Torino tra la fine degli anni Trenta e la fine degli anni Quaranta.

Tra gli storici della massoneria a noi noti, il primo ad asserire la presenza di logge massoniche anche nell’isola fu B. Clavel; questi, nel delineare le tappe cronologiche della loro diffusione in Italia, tra l’altro scrive: «La società fu stabilita nel 1739 nella Savoia, in Piemonte e nella Sardegna; in quell’anno medesimo venne dalla Gran Loggia d’Inghilterra nominato un Gran maestro Provinciale per questi tre Paesi»[35]. Gaetano Madau Diaz ipotizza che i Liberi Muratori «abbiano svolto la loro attività in Sardegna attraverso la nomina anche di un Gran Maestro Provinciale, fin dal 1736» e che «forse fu il Console inglese a Cagliari il promotore dell’istituzione della prima loggia massonica in Sardegna»[36]. Agli inizi del Novecento Oreste Dito, che non nutre alcun dubbio sulla presenza della massoneria in Sardegna già dalla fine degli anni Trenta del Settecento, trascrive verbum verbo la frase sopra citata dell’opera di Clavel[37]. Pochi anni dopo, in termini assai dubitativi, un altro «classico» della storia della massoneria italiana, Ulisse Bacci, dopo aver ricordato la comprovata esistenza nello stesso periodo di logge massoniche a Firenze, nel Veneto, in Lombardia e nell’Italia meridionale, scriveva: «Sembra che fin dal [17]38 alcune logge si formassero nella Savoia, in Piemonte e nella Sardegna»[38]. In modo analogo Alberto Maria Ghisalberti, nella voce Massoneria dell’Enciclopedia Italiana, asseriva: «Nel 1738-39 l’istituzione dovette penetrare in Savoia, Piemonte e Sardegna»[39].

Sono queste, per quanto ci consta, le notizie sull’esistenza della massoneria in Sardegna nel Settecento, relative al periodo compreso tra l’inizio della dominazione piemontese nel 1720 e la «sarda rivoluzione» del 1793-96, presenti in opere storiografiche scritte tra Ottocento e Novecento. Tali notizie, non suffragate da alcuna prova documentaria, con buona ragione non sono state recepite nella più recente storiografia sull’argomento scientificamente attendibile, che ha preso le mosse dal citato saggio di Carlo Francovich del 1974. Questi, pur riportando in termini dubitativi le «notizie non documentate» sulla «probabile esistenza di sporadici gruppi latomistici, senza una precisa organizzazione»[40], data la nascita della massoneria nel Regno di Sardegna al 1749, anno di istituzione della loggia di Chambéry Aux Trois Mortiers. Le ipotesi succitate sono destinate, dunque, a restare tali ancora oggi, anche sulla scorta delle meticolose ricerche archivistiche realizzate negli ultimi venticinque anni dalla più recente storiografia, che pur avendo privilegiato il periodo del «triennio rivoluzionario sardo», ha anche adeguatamente scandagliato tutto il secolo[41]. Proprio la più recente storiografia, seguendo la fondamentale lezione di Franco Venturi, ha dimostrato che anche la Sardegna è stata ampiamente partecipe della cultura dei lumi, di cui la massoneria ha costituito una delle più significative manifestazione a livello europeo. Numerosi, infatti, furono i fermenti culturali che si diffusero anche in Sardegna nella seconda metà del Settecento, soprattutto a partire dalle riforme avviate dal ministro di Carlo Emanuele III, il conte Giambattista Lorenzo Bogino, a partire dalla riforma dell’istruzione inferiore e dalla «restaurazione» delle due Università di Cagliari e di Sassari rispettivamente nel 1760 e nel 1764-67, che diede luogo ad una vero e proprio processo di rigenerazione culturale della Sardegna[42].

Si può dire che non vi sia stato storico che non abbia riconosciuto l’importanza della riforma degli studi avviata dal Bogino, sebbene alcuni di essi, come Raffa Garzia agli inizi del Novecento, e negli anni più vicini a noi, Luigi Bulferetti, Carlino Sole e Girolamo Sotgiu, ne abbiano evidenziato anche i limiti soprattutto in riferimento alla reale incidenza del «riformismo boginiano»[43]. Gli studiosi che nella seconda metà del Novecento hanno colto l’importanza, la profondità e l’incisività della riforma boginiana degli studi sono stati soprattutto Franco Venturi[44], Giuseppe Ricuperati[45], Italo Birocchi[46], Antonello Mattone e Piero Sanna. Nel 1998 gli ultimi due hanno pubblicato sulla «Rivista storica italiana» un voluminoso e fondamentale saggio dal titolo significativo La «rivoluzione delle idee: la riforma delle università sarde e la circolazione della cultura europea (1764-1790)[47].

In questo saggio i due storici sostengono che nella seconda metà del Settecento la Sardegna fu investita da due «rivoluzioni d’idee». La prima fu quella inaugurata nel 1760 con la riforma delle scuole inferiori, che omologò la scuola sarda a quella del Piemonte e il cui risultato più importante e più fecondo fu «la definitiva imposizione della lingua (e della cultura) italiana al posto di quella spagnola»[48]. La Sardegna, dopo oltre quattro secoli, veniva nuovamente immessa nell’alveo naturale della cultura italiana. «La seconda “rivoluzione d’idee” si dispiegò – scrivono Mattone e Sanna – a partire dal 1764-65 con l’effettivo rilancio dell’istruzione superiore e con il concreto avvio dei nuovi corsi universitari»[49].

Una prima importante tappa della riforma degli studi superiori si era avuta nel 1759 con l’istituzione della cattedra di Chirurgia nell’Università di Cagliari, affidata a Michele Antonio Plazza, che la tenne fino al 1790 e che, grazie anche alla sua grande competenza botanica, mise in contatto l’Università sarda con il grande naturalista Carlo Allioni, il «Linneo piemontese», che con la sua Flora pedemontana (1785) si accrediterà come uno dei massimi botanici europei. Attraverso un fornito gruppo di nuovi docenti «forestieri» la cultura sarda poté per la prima volta avere un proficuo contatto con la cultura italiana del Settecento, assimilandone, insieme con la lingua, i canoni letterari e scientifici, familiarizzando con autori che si erano fatti portatori della necessità di avviare un moderato riformismo e di acquisire una mentalità sperimentale, quali L. A. Muratori e A. Genovesi[50] – due “grandi” del Settecento italiano notoriamente non ostili alla massoneria -, immedesimandosi nella convinzione del valore civile della letteratura, che doveva contribuire a realizzare la «felicità» delle nazioni, imitando i modelli estetici soprattutto in campo poetico, con l’imitazione dei canoni espressivi dell’Arcadia, che tanto influsso avranno nella produzione letteraria in versi italiani e in lingua sarda, soprattutto nella variante logudorese.

Di eguale importanza fu il contatto, attraverso i docenti «forestieri», con la cultura europea, soprattutto in ambito filosofico e scientifico. Infatti, insieme al pensiero dei grandi filosofi del giusnaturalismo e del contrattualismo, cominciarono a circolare in Sardegna le opere dei grandi scienziati del Seicento e del Settecento, come Galileo, Newton, Boyle, Buffon, Maupertuis, D’Alembert, Halley, Boerhaave, Huyghens, Eulero, John Theophilus Desaguliers, ispiratore quest’ultimo delle Costituzioni andersoniane e che fu anche uno dei più importanti divulgatori del sistema newtoniano in Europa. «La sistematica divulgazione delle teorie newtoniane e delle acquisizioni scientifiche del secolo – scrivono Mattone e Sanna – avrebbe dato [...] una salutare scossa al torpido contesto culturale sardo, che ancora non aveva neppure digerito il sistema copernicano»[51].  Attraverso l’insegnamento dei professori «forestieri», nelle due Università e nelle scuole inferiori «venivano catapultate [in Sardegna] le più moderne nozioni della fisica sei-settecentesca»[52], le idee dell’illuminismo francese e italiano, le teorie dell’empirismo e del razionalismo, le più recenti acquisizioni della scienza medica.

Tra i primi professori mandati nell’isola dal Bogino, il personaggio di maggiore spicco fu sicuramente Giovanni Battista Vasco, dell’Ordine domenicano, il più importante illuminista piemontese del Settecento che insegnò Teologia scolastico-dogmatica all’Università di Cagliari dal 1764 al 1767. Come ha osservato Franco Venturi in un importante saggio del 1957 citato nelle note precedenti, intitolato Giovanni Battista Vasco all’Università di Cagliari, l’attività di questo docente segnò, sotto il profilo teoretico, un innalzamento della qualità degli studi in quanto contribuì ad immettere la cultura locale «nell’ampio movimento d’idee che caratterizzava la repubblica delle lettere e l’età dei lumi»[53]. Ad esempio, nella prolusione al corso di Teologia scolastico-dogmatica del 1765-66 sul problema della certezza, utilizzava ampiamente, senza citarlo, l’articolo Certitude dell’Encyclopédie redatto dall’abate Jean-Martin De Prades. Rientrato in Piemonte, due anni dopo avrebbe pubblicato una delle più importanti opere di carattere fisiocratico dell’illuminismo italiano, La pubblica felicità considerata nei coltivatori di terre proprie (1769)[54]. Negli anni Ottanta G. B. Vasco, che nel frattempo aveva fondato la rivista «Biblioteca oltremontana», non dimenticò la Sardegna. Nella rivista, infatti, vennero recensite favorevolmente la collana «Rerum Sardoarum Scriptores» ideata da D. Simon nel 1787-88 ad imitazione del Muratori, con la quale ristampava alcune opere sulla Sardegna, e la Moriografia del Censore generale Giuseppe Cossu[55]. Sebbene il magistero del Vasco sia stato breve, esso, come riconosce il Venturi, fu importante ed incisivo.

La cultura dei lumi penetrò in Sardegna anche ad opera di altri docenti «forestieri», che degli autori e delle idee dell’Encyclopédie e dell’illuminismo in generale parlavano nei loro corsi in termini controversistici, per confutarne le conclusioni più radicali; fra questi il gesuita Carlo Nicolò Fabi, docente di Logica e Metafisica dell’Università di Cagliari, e lo scolopio Liberato Fassoni, docente di Etica nell’Università di Sassari. Anche in questo modo la cultura del secolo si affacciava alla mente dei giovani studenti universitari sardi, suscitando la loro curiosità intellettuale, sebbene non vi fossero né da parte dei docenti né da parte degli allievi aperture esplicite alle idee dell’illuminismo francese. «I giovani studenti sardi – scrivono Mattone e Sanna -  che ebbero l’opportunità di frequentare i corsi nelle università riformate […] videro aprirsi, tutto d’un tratto, un dibattito culturale che dischiudeva loro gli orizzonti di un nuovo sapere e sollecitava ulteriori percorsi e curiosità intellettuali»[56].

Allo stesso modo, nei programmi d’insegnamento del diritto faceva capolino l’umanesimo giuridico, il giusnaturalismo e il giurisdizionalismo, così come nell’insegnamento della fisica si innestavano nella tradizione galileiana le teorie di Newton. Non è fuori luogo, inoltre, ricordare la riorganizzazione dei seminari diocesani in quasi tutte le diocesi, che, oltre a formare un clero più aperto al nuovo, favorì in modo decisivo la circolazione dei libri e della cultura.

Tuttavia, i frutti più maturi di questo nuovo clima culturale si avranno, paradossalmente, dopo il licenziamento del ministro Bogino, nei primi anni del regno di Vittorio Amedeo III, attraverso l’opera di due dei più noti docenti universitari «forestieri»: Francesco Cetti (1726-1778) e Francesco Gemelli (1736-1806).

Il Rifiorimento della Sardegna, proposto nel miglioramento di sua agricoltura e la Storia Naturale del Cetti sono «le due più acute e penetranti opere del secondo Settecento sulla Sardegna, espressione del rinnovamento degli studi e insieme frutto delle sollecitazione e del fervore riformatore indotti dagli interventi governativi»[57]. (prima parte)

 


[1] G. Giarrizzo, Massoneria e illuminismo nell’Europa del Settecento, Venezia, Marsilio, 1994, p. 11.

[2] Si veda in proposito J. A. Ferrer Benimeli e S. Cuartero Escabés, Bibliografía de la Masonería, Madrid, Fundación Universitaria Española, 2004.

[3] Cfr. Storia d’Italia. Annali 21. La Massoneria, a cura di G. M. Cazzaniga, Torino, Giulio Einaudi Editore, 2006. La più nota bibliografia sulla massoneria in Italia è quella di A. Lattanzi, Bibliografia della massoneria italiana e di Cagliostro, Firenze, Olschki, 1974. Per gli aggiornamenti bibliografici si rimanda, oltre che al citato vol. 21 degli Annali Einaudi, alle opere più recenti che verranno citate nelle diverse parti di questo lavoro.

[4] Cfr. L. Del Piano, Giacobini e massoni in Sardegna fra Settecento e Ottocento, Sassari, Chiarella, 1982.

[5] Per la bibliografia completa delle opere di L. Del Piano si rimanda al V. Del Piano, Bibliografia degli scritti di Lorenzo del Piano, in La ricerca come passione. Studi in onore di Lorenzo Del Piano, a cura di F. Atzeni, Roma, Carocci editore, 2012, pp. 527-540. Riportiamo di seguito i contributi specifici di questo autore sulla massoneria, oltre al fondamentale lavoro citato nella nota precedente: Massoneria in Sardegna tra storia e “cultura popolare”, in Storia della Massoneria, testi e studi, vol. I, Torino, Edima, 1981, pp. 107-112; La storia della Massoneria in alcuni recenti lavori, in «Archivio Storico Sardo», vol. XXXII (1981), pp. 348-384; Studi pubblicati sulla Massoneria [recensione a A. A. Mola, Adriano Lemmi Gran Maestro della nuova Italia (1885-1896), prefazione di A. Corona, e a F. Cordova, Massoneria e politica in Italia 1892-1908, Roma-Bari, Laterza, 1985], in «Bollettino bibliografico della Sardegna», n. 4, a. II, 1985, pp. 115-117; Giovanni Battista Tuveri e la Massoneria, in «Archivio sardo del movimento operaio contadino e autonomistico», n. 26-28 (1989), pp. 247-261; Massoneria e club giacobini. Un problema storiografico, in «Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Cagliari», n. s. XV (vol. LII, 1996/97), dedicato a Studi in memoria di Giancarlo Sorgia, Cagliari, Edizioni AV, 1998, pp. 205-211. L. Del Piano è anche autore di numerosi contributi divulgativi sulla storia della massoneria in Sardegna; tra questi ricordiamo: Gli adepti del Grande Oriente. La Massoneria a Cagliari dalla fine del Settecento ai giorni nostri, in «Almanacco di Cagliari», 1982 [segnaliamo una volta per tutte che questa interessante rivista, diretta dal V. Scano, non reca indicazioni di pagina]; I libri che fanno discutere [rassegna di opere recenti sulla Massoneria pubblicati da don Rosario Esposito, A. A. Mola e altri], in «L’Unione sarda», 13 maggio 1977; recensione a A. A. Mola (a cura di), La Massoneria nella storia d’Italia, Roma, Atanòr, 1981, ivi, 24 gennaio 1981; recensione a P. Naudon, Storia e immagini della Massoneria, Biella, Prealpina, 1987, ivi, 4 gennaio 1984; Massoneria, l’ultimo tabù di fine millennio [recensione a L. Polo Fritz, La Massoneria italiana nel decennio post-unitario, Milano, F. Angeli, 1998], ivi, 2 giugno 1999; recensione a G. Murtas, Massoneria a carte scoperte e Diario di Loggia. La Massoneria in Sardegna dalla caduta del fascismo alla nascita dell’Autonomia, Sassari, Edes, 2011, ivi, 20 gennaio 2002.

[6] Cfr. L. Del Piano, Giacobini e massoni in Sardegna fra Settecento e Ottocento, cit., in particolare cap. I, Giacobini e massoni, pp. 32-88; cap. III, Massoni e cattolici nel primo periodo unitario, pp. 147-255.

[7] Cfr. G. Murtas, Diario di loggia. La Massoneria in Sardegna (Cagliari, Sassari, Bosa, La Maddalena) dalla caduta del fascismo alla nascita dell’Autonomia, Cagliari, Edes, 2001; Id., Dei circoli anticlericali e del monumento a Giordano Bruno. Sodalizi e istituzioni della Cagliari bacareddiana, Cagliari, Kalb, 2004; Id., Professione ideologica e militanza civile negli artieri del tempio in Sardegna tra 800 e 900: tracce di fotostoria massonica e libere “tavole” di un pubblicista, Cagliari, Kalb, 2005; Id., Le carte della “Vittoria”. Il fondo massonico della Biblioteca Comunale di Cagliari, Cagliari, Kalb, 2005; Id., Autosag. Ad universi terrarum orbis Summi Architecti gloriam. Il Rito Scozzese Antico e Accettato. Note per una storia delle obbedienze ferane fra Valli, Zenit e Orienti della Sardegna (1908-1955), Cagliari, Kalb. 2005; Id., Le sedi della Massoneria giustinianea nella Valle del Mannu e del Flumendosa: itinerario per tracce e documenti, Cagliari, Civitas Kalaris, 2008; Id., Le stagioni dei Liberi Muratori nella Valle del Tirso, Oristano, S’Alvure, 2009; Id., La Massoneria cagliaritana fra reduci delle patrie battaglie ed il monumento dei caduti d’Italia, Cagliari, Graphical, 2011.

[8] Cfr. C. Lilliu, La Massoneria in Sardegna dalle soglie del XIX secolo all’avvento del fascismo, tesi di laurea, relatore prof.ssa M. Corona Corrias, Università degli Studi di Cagliari, Facoltà di Scienze Politiche, a. a. 1989-90.

[9] Ricordiamo le recenti pubblicazioni edite a cura dell’Associazione «Giorgio Asproni» di Cagliari: Giorgio Asproni. Eredità morale – Attualità politica, Atti del convegno nazionale di studi per il ventennale della fondazione della loggia Giorgio Asproni N. 1055 – Oriente di Cagliari (Cagliari, 11 novembre 2006), a cura di A. M. Isastia, Cagliari, Grafiche Ghiani, 2007; Giorgio Asproni, un leader sardo nel Risorgimento italiano, Atti del Convegno nazionale di studi per il centotrentesimo anniversario della morte (Bitti-Cagliari 10-11 novembre 2006), a cura di L. Polo Fritz e T. Orrù, Cagliari, AM&D Edizioni, 2008; Democratici e pensiero laico da Giorgio Asproni a Guido Lai, a cura di P. V. Gastaldi, Cagliari, AM&D Edizioni, 2012; Giorgio Asproni nel Parlamento italiano, a cura di A. Visani, Presentazione di A. M. Isastia, Roma, Edizioni Mediascope, 2011.

[10] Cfr. L. Del Piano, Francesco Angelo Satta Musio, contributo a una biografia, in «Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Cagliari», n. s., vol. I (XXXVIII), 1976-77, pp. 315-341; G. Murtas, Liberi accettati pensatori, in Barbagia. La R. L. “Eleonora” all’Or. Di Nuoro 1867-1876. Note per una storia. Appunti biografici su Salvatore Pirisi Siotto, Gavino Gallisai e Giuseppe Cottone, Cagliari, Kalb, 2004; Id., Franco d’Aspro maestro d’arte e di loggia, Cagliari, Kalb, s. a.; Id., Alberto Silicani, il giusto come fine, Cagliari, Edes, s. a.

[11] Cfr. L. Del Piano, Giacobini e massoni, cit., p. 155; G. Murtas, Le carte della “Vittoria”, cit.; Id., Professione ideologica e militanza civile, cit. Sulla massoneria in Sardegna nel primo periodo post-unitario rimandiamo al saggio di Nicola Gabriele, pubblicato in quest’opera.

[12] Cfr. G. Manno, Storia moderna della Sardegna dall’anno 1773 al 1779, Torino, Favale, 1842, 2 voll.; F. Sulis, Dei moti politici dell’isola di Sardegna dal 1793 al 1821, Torino, Biancardi, 1857 [l’opera si ferma al 1796]. Dell’opera del Manno esistono due recenti nuove edizioni, corredate di note e da ampie introduzioni: cfr. G. Manno, Storia moderna etc., a cura di Giuseppe Serri, Cagliari, Editrice Sardegna Nuova, 1972; Id., Storia moderna etc., a cura di A. Mattone, revisione bibliografica di T. Olivari, Nuoro, Ilisso,1998; da quest’ultima edizione sono desunte le citazioni di pagina presenti in questo saggio. L’opera di F. Sulis è stata riproposta in edizione anastatica dall’editore Forni di Bologna, inserita al N. 68 dell’«Archivio liberale italiano» diretto da E. Camurani.

[13] Si vedano, in particolare, tra i seguaci dell’interpretazione secondo l’ottica conservatrice del Manno: P. Tola, Rassegna critica della “Storia moderna della Sardegna” del barone Giuseppe Manno, in «La Meteora», anno I, n. 18, 30 settembre 1843, pp. 137-142; P. Martini, Storia di Sardegna dall’anno 1799 al 1826, Cagliari, Timon, 1852, ora anche nella nuova  edizione a cura di A. Accardo, Nuoro, Ilisso, 1999; V. Angius, voce Logudoro nel Dizionario del Casalis, Torino, Maspero e Marzorati, 1833-1856, ora anche in V. Angius, Città e villaggi della Sardegna dell’Ottocento, a cura di L. Carta, 3 voll., Nuoro, Ilisso, 2006, vol. II, pp. 807-824; S. Lippi, A proposito di un libro sulla Sardegna, Cagliari, Tip. Commerciale, 1905. Tra i seguaci dell’interpretazione “da sinistra” della rivoluzione sarda, propria dell’opera del Sulis, ricordiamo; F. Uda, La Sardegna sotto Vittorio Amedeo III (1773-1796), in «Avvenire di Sardegna», nn. 118, 125, 126, 130, 136 del 17, 26, 27, 31 maggio, 7 giugno 1890; Id., Particolari della cosiddetta invasione dei Francesi in Sardegna, in «Vita sarda», Cagliari, nn. 21 e 24 (1892); R. Garzia, Il Canto d’una Rivoluzione. Appunti di storia e storia letteraria sarda, Cagliari, Tip. dell’Unione Sarda, 1899; G. Lumbroso, La Rivoluzione francese in Sardegna. Curiosità storiche e letterarie, Cagliari, Dessì, 1901; Id., Gli ultimi angioini in Gallura nel 1802, in «Bullettino bibliografico sardo», vol. II, 1902, pp. 17-20; L. Bartolucci, Memorie di Francesco Sulis e della Sardegna del suo tempo, Cagliari, Valdès, 1904; E. Costa, Giovanni Maria Angioi e l’assedio di Alghero, in «Archivio Storico Sardo» , vol. IV, 1908, pp. 3 ss.

[14] Cfr. Storia de’ torbidi occorsi nel Regno di Sardegna dal 1792 in poi. Opera anonima del secolo XVIII, a cura di L. Carta, Presentazione di G. Sotgiu, Cagliari, Edisar, 1994.

[15] Cfr. M. L. Simon, La Sardegna antica e moderna. (Da un inedito manoscritto francese del 1816, tradotto da C. Sole), a cura di C. Sole e V. Porceddu, Cagliari, Edizioni AV, 1995. Si veda in proposito L. Del Piano, Massoneria e club giacobini. Un problema storiografico, cit., p. 207.

[16] Cfr. F. Cherchi Paba, Don Michele Obino e i moti antifeudali lussurgesi (1796-1803), Cagliari, Fossataro, 1969.

[17] Cfr. P. Maruzzi [pseud. di M. P. Azzuri], Notizie e documenti sui liberi muratori in Torino nel secolo XIII, in «Bollettino storico-bibliografico subalpino», vol. XXX (1928), pp. 115-213 e 397-514; vol. XXXII (1930), pp. 33-100 e 241-314, ora in edizione anastatica con il titolo La Stretta Osservanza templare e il Regime Scozzese Rettificato in Italia nel secolo XVIII, Roma-Bologna, Atanòr, 1990. Il Maruzzi (Ferrara, 1887-1996), affiliato alla massoneria, a lungo segretario dell’Accademia delle Scienze di Torino, è uno tra i più importanti studiosi del Templarismo in Italia. Il fondamentale e documentatissimo saggio sulla massoneria piemontese del Settecento si basa sull’attento spoglio dell’archivio del Capitolo provinciale di Borgogna, V circoscrizione della Stretta Osservanza con capitale a Strasburgo, oggi conservato presso la loggia di Zurigo Modestia cum libertate.

[18] Cfr. C. Francovich, Storia della Massoneria in Italia dalle origini alla Rivoluzione francese, Firenze, La Nuova Italia, 1974, pp. 174-75; V. Ferrone, G. Tocchini, La Massoneria nel Regno di Sardegna, in Storia d’Italia. Annali 21. La Massoneria, cit., p. 335. Dopo il 1749 la Gran Loggia Madre di Chambéry, oltre alla loggia torinese, istituì diverse altre logge in Savoia e nel Piemonte, a Rumilly, Moûtiers, Carouge, Sallanches, Pinerolo, Casale e diverse logge militari.

[19] C. Francovich, op. cit., p. 175.

[20] V. Ferrone e G. Tocchini, La Massoneria nel Regno di Sardegna, cit., p. 337.

[21] Cfr. ivi, p. 338.

[22] Ivi, p. 339.

[23] Ivi, p. 340.

[24] Cfr. C. Francovich, op. cit., p. 185.

[25] F. Venturi, Introduzione a Francesco Dalmazzo Vasco, in Illuministi italiani, III, Riformatori lombardi, piemontesi e toscani, tomo III, a cura di F. Venturi, Milano-Napoli, Ricciardi, 1958, p. 819.

[26] È la tesi interpretativa degli storici ottocenteschi, che trae origine dall’opera di Nicomede Bianchi, che aveva costituito anche l’aspetto caratterizzante dell’interpretazione che del contesto sardo del periodo aveva dato Giuseppe Manno nella sua Storia moderna di Sardegna, cit.

[27] Tra i numerosi lavori di Vincenzo Ferrone ricordiamo: La nuova Atlantide e i lumi. Scienza e politica nel Piemonte di Vittoria Amedeo III, Torino, Meynier, 1989; I profeti dell’illuminismo. Le metamorfosi della ragione nel tardo Settecento italiano, Roma-Bari, Laterza, 1989. Si veda inoltre G. Ricuperati, Il Settecento, in P. Merlin, C. Rosso, G. Symcox e G. Ricuperati, Il Piemonte sabaudo. Stato e territori in età moderna, in Storia d’Italia, diretta da G. Galasso, vol. VIII, tomo I, Torino, Utet, 1994, pp. 441-834.

[28] Cfr. V. Ferrone, G. Tocchini, La Massoneria in Piemonte, cit., pp. 342-43.

[29] Cfr. ivi, p. 346.

[30] Sui fratelli Dalmazzo Francesco (1732-1794) e Giambattista Vasco (1733-1796), cfr. F. Venturi, Illuministi italiani, III, Riformatori lombardi, piemontesi e toscani, cit., pp. 757-881; Id., Dalmazzo Francesco Vasco (1732-1794), Paris, Droz, 1940; G. Ricuperati, Il Settecento, cit., pp.702-703 e passim, nonché la bibliografia in appendice al volume, p. 895.

[31] Cfr. V. Ferrone, La Reale Accademia delle Scienze di Torino, in I due primi secoli dell’Accademia delle Scienze di Torino, Torino, Accademia delle Scienze, 1985, pp. 37-80 e in particolare, dello stesso, i saggi pubblicati in La Nuova Atlantide e i Lumi. Scienza e politica nell’età di Vittorio Amedeo III, cit.; G. Ricuperati, Il Settecento, cit., cap. III, La crisi dell’Ancien Régime nello Stato sabaudo (1773-1789), pp. 581-670; G. P. Romagnani, Prospero Balbo intellettuale e uomo di Stato, 2 voll., Torino, Deputazione Subalpina di Storia Patria, m1988.

[32] V. Ferrone, G. Tocchini, La Massoneria in Piemonte, cit., p. 346.

[33] Ivi, p. 347.

[34] V. Ferrone, G. Tocchini, La Massoneria in Piemonte, cit., p. 351.

[35] F. T. e B. Clavel, Storia della Massoneria e delle società segrete, Sant’Arcangelo di Romagna, Gherardo Casini Editore, 2010, p. 151. L’opera dei Clavel, pubblicata nella prima edizione francese nel 1844, fu tradotta in italiano da Carlo Sperandio e pubblicata nel 1867 a Napoli, Tipografia A. Morelli; una seconda edizione uscì nel 1873, sempre a Napoli, presso la Tipografia S. Pietro a Maiella. Dell’opera esiste anche un’edizione anastatica dell’Editore Forni, Sala Bolognese, 1997.

[36] G. Madau Diaz, Storia della Sardegna dal 1720 al 1849, Cagliari, Fossataro, 1971, p. 184.

[37] Cfr. O. Dito, Massoneria, Carboneria e altre società segrete nella storia del Risorgimento italiano, Torino-Roma, Casa Editrice Nazionale Roux e Viarengo, 1905, p. 27.

[38] Desumiamo la citazione dalla seconda edizione dell’opera, pubblicata in due tomi nel 1922: U. Bacci, Il libro del massone italiano, Roma, Editrice Vita Nuova, 1922, p. 217. L’opera fu pubblicata per la prima volta, presso lo stesso editore, tra il 1908 e il 1911.

[39] A. M. Ghisalberti, voce Massoneria, in Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, vol. XXII, 1934, pp. 535-37.

[40] C. Francovich, op. cit., p. 174.

[41] La più recente storiografia sul Settecento sardo dell’ultimo venticinquennio è assai cospicua. Ricordiamo le opere più importanti, cui si rimanda per una più completa bibliografia: I. Birocchi, La carta autonomistica della Sardegna tra antico e moderno. Le “leggi fondamentali” nel triennio rivoluzionario (1793-96), cit.; G. Ricuperati, Il Settecento, in P. Merlin, G. Rosso, G. Symcox, G. Ricuperati, Il Piemonte sabaudo. Stato e territori in Età moderna, cit.; T. Orrù, M Ferrai Cocco Ortu, Dalla guerra all’autogoverno. La Sardegna nel 1793-94: dalla difesa armata contro i francesi alla cacciata dei piemontesi, Condaghes, Cagliari, 1996; F. Francioni, 1793: i franco-corsi sbarcano in Sardegna, Cagliari, Condaghes, 1993; Id., Per una storia segreta della Sardegna fra Settecento e Ottocento, Cagliari, Condaghes, 1996; Id., Vespro sardo. Dagli esordi della dominazione piemontese all’insurrezione del 28 aprile 1794, Condaghes, Cagliari, 2001; L’attività degli Stamenti nella “Sarda Rivoluzione”, a cura di L. Carta, vol 24° della collana “Acta Curiarum Regni Sardiniae” edita dal Consiglio Regionale della Sardegna, tomi I-IV, Edi.cos, Cagliari, 2000; L. Carta, La “Sarda Rivoluzione”. Studi e ricerche sulla crisi politica della Sardegna tra Settecento e Ottocento, Condaghes, Cagliari, 2001; Parabola di una rivoluzione. Giovanni Maria Angioy tra Sardegna e Piemonte, a cura di A. Lo Faso, prefazione di A. Accardo, saggio introduttivo di L. Carta, Cagliari, Aìsara, 2008; infine il recente volume di A. Mattone, P. Sanna, Settecento sardo e cultura europea. Lumi, società, istituzioni nella crisi dell’Antico Regime, Milano, Franco Angeli, 2007, che contiene una raccolta di saggi di fondamentale importanza sul periodo.

[42] Per un’acuta ricostruzione della figura e dell’opera politica del Bogino rimandiamo a G. Ricuperati, Il Settecento, cit., cap. II, Gli anni della pace e del buon governo boginiano (1748-1773), pp. 515-79

[43] Cfr. R. Garzia, Un poeta in latino del Settecento. Francesco Carboni, Cagliari, Tip. dell’Unione Sarda, 1900, p. 25. Per il giudizio limitativo di Luigi Bulferetti si veda la Premessa ai due tomi Il riformismo settecentesco in Sardegna, collana «Testi e documenti per la storia della Questione Sarda», Cagliari, Fossataro, 1966, vol. I, p. 8. Di Sole e Sotgiu, ricordiamo in particolare le due fondamentali opere di sintesi: C. Sole, La Sardegna sabauda nel Settecento, Sassari, Chiarella, 1984; G. Sotgiu, Storia della Sardegna sabauda 1720-1847, Roma-Bari, Laterza, 1984.

[44] Cfr. F. Venturi, Gian Battista Vasco all’Università di Cagliari, in «Archivio Storico Sardo», XXV (1957), pp. 16-41; Il conte Bogino, il dottor Cossu e i Monti frumentari. Episodio di storia sardo-piemontese del secolo XVIII, in «Rivista Storica Italina», LXXVI (1964), pp. 470-506; Giuseppe Cossu e Francesco Gemelli, in Illuministi italiani, VII, Riformatori delle antiche repubbliche, dei ducati, dello Stato pontificio e delle isole, a cura di G. Giarrizzo, G. Torcellan, F. Venturi, Milano-Napoli, Ricciardi, 1965, pp. 849-859 e 891-905.

[45] G. Ricuperati aveva dato inizio alla sua innovativa riflessione storiografica sul riformismo settecentesco in Sardegna con l’articolo Il Riformismo sabaudo e la Sardegna. Appunti per una discussione, in «Studi Storici», 1, 1986, pp. 58-92, ora in Id., I volti della pubblica felicità, Torino, Meynier, 1989, pp. 157-202.

[46] Cfr. I. Birocchi, La carta autonomistica della Sardegna tra antico e moderno. Le leggi fondamentali nel triennio rivoluzionario 1793-96, Torino, Giappichelli, 1992.

[47] Cfr. A. Mattone, P. Sanna, La «rivoluzione delle idee: la riforma delle due università sarde e la circolazione della cultura europea (1764-1790), in «Rivista Storica Italiana», XV (1998), pp. 834-942, ora in Iid., Settecento sabaudo e cultura europea. Lumi, società, istituzioni nella crisi dell’Antico regime, Milano, Franco Angeli editore, 2007, pp. 13-106). Da quest’ultimo volume sono desunte le indicazioni di pagina presenti in questo lavoro.

[48] A. Mattone, P. Sanna, Settecento sabaudo, cit., p. 18.

[49] Ivi, p. 20.

[50] Questi due “grandi” italiani della cultura settecentesca furono notoriamente non ostili alla massoneria. Per il Muratori si veda il giudizio sulla massoneria, scritto in occasione della condanna dell’istituto da parte di papa Clemente XII nel 1738 (bolla In eminenti apostolatus specula), in Annali d’Italia, ad annum 1736, Milano, 1838, vol. V, pp. 119-20; il testo è citato da O. Dito, op. cit., pp. 35-36 e da C. Francovich, op. cit., pp. 241-42. Antonio Coppi, continuatore degli Annali d’Italia, scriveva nel 1751 della Società dei Liberi Muratori: «Professavano essi di cercare la luce e la verità per felicitare l’universo, sospettando intanto e credendo alcuni, che lo spirito della società tendesse da principio a stabilire fra gli uomini l’uguaglianza di religione, dei beni e delle condizioni» (cit. da O. Dito, op. cit., p. 36, nota 1). Secondo un’illazione di Franco Venturi, era in certo senso di carattere latomistico il gruppo di giovani napoletani che operavano sotto la guida dell’abate Antonio Genovesi: cfr. F. Venturi, Settecento riformatore, I, Da Muratori a Beccaria 1730-1764, Torino, Giulio Einaudi editore, 1969, pp. 594-95.

[51] A. Mattone, P. Sanna, Settecento sardo e cultura europea, cit., p. 32.

[52] Ibidem.

[53] Ivi, p. 25.

[54] Cfr. G. B. Vasco, Opere, a cura di L. Perna, Torino, Fondazione Einaudi, 1989-92; sulla figura di G. B. Vasco, oltre al saggio di F. Venturi sopra citato, si vedano anche G. Marocco, Giambattista Vasco, Torino, Fondazione Einaudi, 1977; G. Ricuperati, Il Settecento, cit., p. 640 e passim.

[55] Cfr. «Biblioteca oltremontana», IX (1788), pp. 300-22; sulla rivista torinese fondata dai fratelli Vasco cfr. G. Ricuperati, Il Settecento, cit., pp. 681-83.

[56] Ivi, p. 26.

[57] A. Mattone, P. Sanna, Settecento sardo e cultura europea, cit., p. 36.

 

 

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