- Fondazione Sardinia - http://www.fondazionesardinia.eu/ita -

Ma noi sardi, chi siamo davvero? di Stella Barbarossa

Posted By cubeddu On 13 luglio 2019 @ 04:53 In Blog,Questione sarda | Comments Disabled

 

 

Io sono la terra salata, e l’acqua che irriga gli orti.

Sono l’albero di fico e il pozzo in mezzo alla campagna; sono i recinti di fiori intorno alle case.

Sono il buganville viola e la Jacaranda.

Sono i ricordi dei miei nipoti e trovo me stessa e la mia ragione in tutti gli elementi da cui son composta.

Se ho smesso di chiedermi chi sono, è perché ho creduto di non essere abbastanza, quando invece ero tutto.

Ho lasciato che gli altri mi definissero, fino a non sapere più davvero il mio nome: Sardegna.

Max Leopold Wagner, etnologo e glottologo tedesco, nonché il maggior studioso di linguistica sarda, ci definiva fortemente timorosi del mare[1].

Grazia Deledda, in “Noi siamo Sardi”:

«[…]il regno ininterrotto del lentisco,

delle onde che ruscellano i graniti antichi,

della rosa canina,

del vento e dell’immensità del mare

[…] una terra antica di lunghi silenzi

di orizzonti ampi e puri, di piante fosche

di montagne bruciate dal sole e dalla vendetta».

Vittorini dipingeva idealmente il profumo della nostra terra:

«Nell’aria ce n’è l’odore: del sole. Del fuoco puro, privo d’ogni acredine di combustibile. E di pietra secca. Ma di brughiera anche. E di spoglie di serpi. Odore di Sardegna»[2];

mentre De Andrè si riferiva a noi come a dei Pellerossa, descrivendo il nostro territorio come fuso insieme ai nostri caratteri:

«Sopra ogni cista da qui al mare c’è un po’ dei miei capelli

Sopra ogni sughera il disegno di tutti i miei coltelli

L’amore delle case, l’amore bianco vestito

Io non l’ho mai saputo e non l’ho mai tradito

Mio padre un falco, mia madre un pagliaio stanno sulla collina

I loro occhi senza fondo segnano la mia luna

Notte notte notte sola sola come il mio fuoco

Piega la testa sul mio cuore e spegnilo a poco a poco».

Durante un suo viaggio, David Herbert Lawrence, così apostrofava la nostra isola:

«La Sardegna è un’altra cosa: più ampia, molto più consueta, nient’affatto irregolare, ma che si perde in lontananza. Catene di colline simili alla brughiera, irrilevanti, che corrono via, forse verso un gruppetto di cime drammatiche a sud-ovest. Questo dà una sensazione di spazio che tanto manca in Italia. Incantevole spazio intorno a un individuo, e distanze da viaggiare, nulla di finito, niente di definitivo. È come la libertà stessa […]».

Noi, popolo sardo, ci siamo persi non appena abbiamo smesso di chiederci chi eravamo; nell’istante in cui abbiamo smesso di guardarci attorno, capaci come i pesci, di guardare solo altrove.

Quando ero bambina, mia nonna per riferirsi a luoghi distanti dalla Sardegna diceva “In continente!”, sprigionando con quella formula un sentimento di distanza infinita, un qualcosa di irraggiungibile e così lontano da non appartenerci.

A volte vorrei ritrovassimo parole con lo stesso significato, capaci di distinguerci e perché no, di allontanarci, per poterci ritrovare qui, nel luogo al quale apparteniamo, ma che mai ci è appartenuto.

Se noi sardi ci siamo persi dentro le nostre coste, tra i nostri boschi e le nostre pietre, solo tornando sui nostri passi, i primi, che percorsero l’inizio dei nostri viaggi, potremmo ritrovarci.

Ma noi sardi, chi siamo davvero?


[1] Max Leopold Wagner, La vita rustica, Giulio Paulis, a cura di, Ilisso, Nuoro, 1996.

[2] Elio Vittorini, Sardegna come un’infanzia, Bompiani, 1952.

 

Condividi su:

    Article printed from Fondazione Sardinia: http://www.fondazionesardinia.eu/ita

    URL to article: http://www.fondazionesardinia.eu/ita/?p=16189

    Copyright © 2013 Fondazione Sardinia. All rights reserved.