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ELEZIONI E LISTE INDIPENDENTISTE, di Bachisio Bandinu

Posted By cubeddu On 10 marzo 2019 @ 06:34 In Blog,Elezioni,Indipendentismo | Comments Disabled

EDITORIALE DELLA DOMENICA,          

della  FONDAZIONE

Bisogna interrogarsi sul deludente risultato elettorale delle liste indipendentiste: un arretramento che ha gettato un’ombra di frustrazione e quasi di resa. Vi sono certo cause contingenti specifiche, come la polarizzazione accentuata tra centro-sinistra e centro-destra, (dando per scontata la crisi dei 5 stelle), che è adatto alle elezioni regionali un carattere di verifica politica nazionale. C’è anche la molteplicità delle liste di entrambi i fronti con il conseguente largo coinvolgimento popolare, rispetto alle liste uniche dei 5 stelle e degli indipendentisti. Ma è più costruttivo indagare sulle cause di fondo che vengono riassunte in una domanda: perché i sardi, che avvertono un forte senso di appartenenza, (deo so sardu!), non traducono questo sentire in una scelta politica a deciso carattere identitario? Non si ottiene una maggiore attenzione nonostante l’attuale condizione storica di accentuata mobilità delle scelte politiche. Perché, per esempio, il diffuso scontento e le speranze di cambiamento confluiti nel movimento 5 stelle alle elezioni politiche di marzo, (in alcuni paesi della Barbagia è stata superata la soglia del 50%), non sono stati minimamente captati da un programma rivoluzionario come quello dell’indipendentismo?

Al riguardo ho sentito delle risposte poco convincenti: non abbiamo saputo spiegare alla gente il nostro messaggio. È la risposta scontata recitata sempre da tutti gli sconfitti. In verità la gente conosce le proposte degli indipendentisti o almeno il fondamentale obiettivo istituzionale, e tuttavia non è convinta per un’adesione. Si sente dire: diat esser bella s’indipendentzia ma… Bisognerebbe interrogarsi su quel “ma” e indagare sui puntini che sono certamente sintomo di qualcosa che non va.      È utile ascoltare le voci sparse della gente, anche le chiacchiere, persino i molti pregiudizi, perché i luoghi comuni possono non avere carattere di verità e tuttavia hanno una intrigante valenza che condiziona e finisce per orientare le scelte politiche. Una voce insiste con stanca ripetizione: sono 4 gatti divisi in otto gattili, eppure in lotta tra loro! Nonostante l’obiettivo sia chiaro e comune a tutti e si sia concordi anche nei modi e azioni per raggiungerlo, la divisione impera sovrana. Dunque le divergenze non sono di indirizzo politico programmatico ma si configurano come conflittualità tra i leader e tra i gruppi. Ma in nome di che cosa confliggono? In nome del nome: ciascun si identifica come capo del suo gruppo, e in nome di questa proiezione di sé, e nonostante le percentuali dell’1,2% o dello 0,8%, si continua a perpetuare un atteggiamento improduttivo. A scorno delle ripetute sconfitte, si insiste nella convinzione di un proprio ruolo ideale rischiando di recitare perpetuamente il teatro dell’immaginario. La psicologia potrebbe definirli come eroi negativi: coscienza della sconfitta ma presunzione di esistere. C’è addirittura chi afferma che questa politica dello spezzatino procuri di fatto più voti di una lista unitaria. E può anche darsi nella particolare contingenza elettorale magari dentro una conflittualità interna, ma così non si costituisce quel valore simbolico affermandosi in un logo con una propria forza centripeta, capace di forte identificazione individuale e collettiva e capace di mobilitazione reale e ideale. Forza aggregante e di chiaro orientamento etico.

Ascoltando ancora le chiacchiere della gente, corre una voce che chiama in causa le figure dei candidati presidenti delle liste indipendentiste in riferimento alle loro esperienze con le conseguenti valutazioni della gente. A Paolo Maninchedda, leader del “Partito dei sardi”, viene attribuita una dubbia affidabilità a causa del suo percorso politico che lo ha coinvolto in varie appartenenze e contrastanti alleanze di governo isolano. Una valutazione che ha il suo peso e i suoi limiti perché magari di questi comportamenti ondivaghi non ne analizza le motivazioni e gli obiettivi più strettamente politici a favore di un progetto di Sardegna.  Comunque, siamo al paradosso: sebbene Maninchedda sia considerato la figura di più spiccate capacità politiche, programmatiche, operative e decisionali con una precisa visione della Sardegna (addirittura una consistente parte del PD avrebbe voluto candidarlo presidente delle liste di centro-sinistra), eppure non raccoglie i frutti di tali meriti, o per l’ombra del passato o per il carattere, o perché temuto proprio per queste doti. In definitiva, un giudizio passatista, non importa se a ragione o a torto, trionfa sulla volontà di trasformare il presente della Sardegna e di aprire a prospettive valide per il futuro immediato ed oltre. Si sa che per i sardi è sempre forte il passato che ritorna, con sadici accenti giudiziari.

Anche su Mauro Pili, leader di “Sardi liberi” grava il peso del passato: era il pupillo di Berlusconi, già presidente della giunta di centro-destra, poco convincente. Purtroppo per i sardi il marchio è comunque una condanna indelebile, un fatalismo che non concede conversione, rielaborazione. Così per lui non basta il distacco dalla vecchia appartenenza a favore di una scelta indipendentista, non gli vale l’impegno costante in difesa degli interessi e diritti dei sardi, sia come lavoro meritorio in Parlamento, sia come attività di segugio per scovare tutte le trasse, gli inganni e gli imbrogli a danno della Sardegna.

Dunque ancora una volta la valutazione pregiudiziale del passato oscura la scena del presente e non concede carte per giocare un futuro migliore.

Se Maninchedda e Pili, pur nella differenza, soffrono di questa esposizione passatista, ad Andrea Murgia, leader di “Autodeterminazione”, viene attribuita la mancanza di storia e dunque di visibilità. Un volto sconosciuto, rappresentante di una impegnativa unione di movimenti, per lui non si è posta attenzione a un programma elettorale assai interessante, soprattutto riguardo ai frutti che possono venire alla Sardegna da un sapiente rapporto con l’Unione europea.

Alla luce di questi attuali, e passati, risultati elettorali, i leader del disperso arcipelago indipendentista devono abbandonare queste proiezioni narcisistiche, e prendere coscienza della propria responsabilità di questa condizione di stallo, colpevoli nel paralizzare di fatto sentimenti e ragioni politiche e sociali dell’indipendentismo sardo.

Occorre un’analisi approfondita delle esperienze di oltre un decennio, fare il punto sul presente e costruire un progetto più incisivo e più attrattivo con l’apporto di tutti i movimenti e partiti indipendentisti, con una programmazione capace di una più ricca formazione politica e di una offerta propositiva a favore del popolo sardo, a partire dalle realtà dei paesi, dai bisogni e dagli interessi delle comunità. Con rinnovata volontà, passione e ricerca.

Bachisio Bandinu

 

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