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USA – CINA, LA GUERRA (IN)EVITABILE, di SERGIO ROMANO

Posted By cubeddu On 26 novembre 2018 @ 06:23 In Blog,Politica internazionale | Comments Disabled

I focolai di tensione  sono numerosi: Hong  Kong; la Corea; le isole contestate del Pacifico; i mercati finanziari, se Pechino cominciasse a vendere i titoli del debito pubblico Usa; il commercio, se il surplus continuasse ad aumentare.

 

 

 

 

Ci sarà nel nostro futuro una guerra fra la Cina e gli Stati Uniti per il dominio del mondo? Non saremmo sorpresi se i loro stati maggiori e i leader militari di altri Paesi fossero già al lavoro per immaginare le circostanze in cui il conflitto potrebbe scoppiare e quali sarebbero le mosse strategiche iniziali di quello fra i due che sparerà il primo colpo. Esiste comunque almeno uno studioso americano che sta affrontando il problema con una sorta di storico fatalismo. Si chiama Graham Allison, ha insegnato per molti anni alla Università di Harvard e le sue riflessioni sono in buona parte dettate dallo studio di un’altra guerra, che ha avuto una grande influenza sulla nostra cultura politica e militare.

Dopo una lunga familiarità con La guerra del Peloponneso di Tucidide, Allison è giunto alla conclusione che lo storico greco raccontò eventi destinati a ripetersi, con qualche inevitabile variante, da un secolo all’altro.

Insieme a un gruppo di lavoro formato nella sua università, è andato alla ricerca di guerre che presentano le stesse caratteristiche. In ciascuno dei casi studiati vi è una potenza che governa o controlla una grande regione e i mari da cui è bagnata. L’autorità di cui gode le consente di imporre le proprie regole, reclutare milizie, incassare tributi, favorire i propri sudditi o concittadini a danno di altri meno protetti e fortunati. Nella Grecia del V secolo questa città è Sparta, modello di compattezza civile e di virtù militari. Ma dopo le guerre persiane, in cui si è particolarmente distinta, è un’altra città, Atene, che comincia a imporre la sua presenza e a conquistare terreno. La guerra scoppia quando Sparta giunge alla conclusione che soltanto con le armi potrà conservare la sua posizione dominante. Durerà 27 anni, dal 431 al 404 avanti Cristo, e si concluderà con la sconfitta degli Ateniesi.

Una larga parte del libro di Allison è dedicata a una descrizione delle numerose guerre in cui uno Stato (spesso la potenza dominante) cerca di fermare con le anni l’ascesa di un concorrente e cade così in quella che l’autore definisce la «trappola di Tucidide>›: sinonimo di uno scontro che potrà essere vinto o perduto, ma lascerà spesso un forte segno sui contendenti e sull’intero continente europeo. Accadde alla fine del XV secolo quando la Spagna sfidò il Portogallo; nel XVI secolo, quando la Francia tentò di prevalere sugli Asburgo, ma non vi riuscì; nel XVII secolo, quando gli Asburgo fermarono l’espansione dell’Impero ottomano nei Balcani; sempre nel XVII secolo, quando l’Inghilterra conquistò contro gli olandesi il controllo dei mari; nel XVIII e nella prima metà del XIX, quando Francia e Inghilterra si contesero il potere sugli oceani e sul continente europeo; verso la metà del XIX, quando Francia, Inghilterra e persino l’Impero ottomano si coalizzarono per frenare l’espansione della Russia verso il Mediterraneo. La fine del XIX secolo e la prima metà del XX  non saranno meno bellicosi: Francia e Regno Unito contro la Germania nel 1914 e nel 1939; Germania contro Russia nel 1914 e nel 1941; Stati Uniti, Gran Bretagna e Unione Sovietica contro la Germania nel 1941.

Vicende non troppo diverse, nel frattempo, accadevano in Asia, dove ci furono nella seconda metà del XIX secolo almeno tre gare: quella fra Gran Bretagna e Russia per il controllo delle regioni sud-occidentali; quella fra Cina e Giappone per il dominio sulla parte orientale del continente asiatico; quella fra Stati Uniti e Giappone per lo stesso obiettivo. In queste vicende, sino alla fine della Seconda guerra mondiale, la Cina è presente, ma quasi sempre con un ruolo minore e risultati spesso umilianti. E’ erede di un grande impero, ma gli Stati europei, durante il XIX secolo, l’hanno privata del diritto di gestire i suoi porti e i suoi mercati, mentre il Giappone non nasconde la sua intenzione di prenderne il posto sulla carta geopolitica del mondo.

Allison cita due volte un memorabile motto di Napoleone: «Quando la Cina si sveglierà, il mondo tremerà››.

Il risveglio c’è stato ed è dovuto ad almeno tre fattori: la sconfitta del Giappone nella Seconda guerra mondiale, la conquista comunista del potere a Pechino nel 1949 e la grande riforma di Deng Xiaoping alla fine degli anni Settanta.

Più recentemente, con l’arrivo al potere di un nuovo leader (Xi Iinping), il Paese sembra essersi risvegliato una seconda volta con maggiore energia e maggiori ambizioni. Xi ha dichiarato guerra alla corruzione (molto diffusa anche nelle alte sfere del partito). Ha conservato le strutture dello Stato comunista, ma l’ideologia del Paese è il patriottismo, un sentimento che garantisce la coesione nazionale e protegge la Repubblica popolare, almeno per ora, dalle tentazioni democratiche.

Se gli attuali ritmi di crescita e sviluppo saranno mantenuti, la Cina avrà raddoppiato il suo Pil nei prossimi tre anni e la sua economia nazionale, quando celebrerà il centenario della Repubblica popolare (2049), sarà il triplo di quella degli Stati Uniti. In questa ricorrenza il Paese occuperà posizioni di prima fila nel campo delle scienze, avrà fatto passi da gigante nelle nuove tecnologie, potrà contare su una nuova Via della Seta (1′operazione One belt, one road) che attraverserà l’Asia per collegare la sua economia a quella dell`Occidente.

Quali saranno i desideri e le ambizioni di questa grande potenza? Allison crede che la Cina voglia soprattutto riconquistare interamente il prestigio e l’autorità dell’epoca imperiale. Questa tesi sollecita una seconda domanda. E possibile che gli Stati Uniti accettino senza reagire un tale stravolgimento dei vecchi equilibri internazionali? Assisteremo a una nuova guerra del Peloponneso? Tutto ciò che Allison ha scritto sin qui rende la domanda inevitabile e inquietante. E una buona parte del suo libro, infatti, è dedicata alla elencazione delle molte circostanze in cui questi due Paesi (entrambi afflitti da un colossale senso di superiorità) potrebbero cadere nella trappola di Tucidide. Ci sono già stati incidenti, fra cui uno particolarmente grave il 1° aprile 2001, quando un aereo spia americano si scontrò in volo con un velivolo cinese e fu costretto ad atterrare in un’isola della Repubblica popolare. I possibili focolai sono numerosi: Hong Kong; la Corea; le isole contestate dei mari della Cina; i mercati finanziari, se Pechino cominciasse a vendere le cartelle del debito pubblico americano depositate nei suoi forzieri; il commercio, se il surplus cinese continuasse ad aumentare vertiginosamente.

Ma l’autore ci ricorda che la storia registra anche numerose circostanze in cui due potenze, dopo essersi avversate e detestate, si fermano sull’orlo dell’abisso e riescono a evitare la trappola di Tucidide.  La Spagna e il Portogallo scelsero il negoziato e si divisero l’America del Sud nel 1494 con il Trattato di Tordesillas, grazie a un lodo papale. Le maggiori potenze dell’Europa continentale, dopo la fine della Seconda guerra mondiale, hanno perseguito per molto tempo la politica della convivenza e dell’integrazione. Durante la crisi cubana dell’ottobre 1962 due uomini di Stato (John F. Kennedy, presidente degli Stati Uniti, e Nikita Krusciov, segretario generale del Partito comunista dell’Unione Sovietica) seppero evitare, con reciproche concessioni, lo scoppio di una guerra nucleare.

C’è persino un esempio che concerne i due maggiori Paesi di lingua inglese. Alla fine del XIX secolo la Gran Bretagna, grazie alla sua presenza in Canada e alla sua influenza in molti Paesi dell’America Latina, si considerava ancora uno Stato americano e credette di potere sfidare la «dottrina di Monroe» con cui un presidente degli Stati Uniti, nel 1823, aveva acceso un’ipoteca sull’intero continente. Ma il governo di Washington reagì con fermezza, rivendicò i propri diritti (veri o presunti) su tutta la regione e dimostrò che avrebbe potuto costruire in breve tempo una flotta più numerosa e potente di quella della Gran Bretagna. Dopo qualche esitazione, i britannici decisero di lasciare le Americhe ai loro cugini d’oltreoceano. La storia avrebbe preso un’altra strada se mezzo secolo prima il Regno Unito fosse intervenuto nella guerra-di Secessione americana a favore della Confederazione. Ma era ormai troppo tardi.

Resta da capire naturalmente se gli Stati Uniti, di fronte a una irresistibile ascesa della Cina, sarebbero capaci di dare prova di una stessa saggezza. Ma Allison sa che le previsioni in questa materia corrono sempre il rischio di essere smentite dalla realtà. Il suo obiettivo non è quello di svelarci il futuro, ma di ricordare agli Stati che ci sono ricorsi storici di cui è meglio non perdere la memoria.

C’è una branca degli studi storici (la storia applicata), in cui si parte «da una scelta o da un dilemma attuali, e da li si passa ad analizzare le fonti storiche per fornire prospettive, stimolare l’immaginazione, trovare indizi su ciò che potrebbe accadere, suggerire possibili interventi e valutare probabili conseguenze».

Insieme a uno storico britannico, Niall Ferguson, l’autore di questo libro ha proposto alla Casa Bianca l’istituzione di un Consiglio dei consulenti storici simile al Consiglio dei consulenti economici. La prima domanda a cui dovrà rispondere sarà: «Che cosa fare della Cina e con la Cina?››. Non sappiamo se Trump sarà disponibile ad ascoltare la risposta.

 

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