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L’ORA DEI SINDACI, di Salvatore Cubeddu

Posted By cubeddu On 30 settembre 2018 @ 05:09 In Blog,Città e comuni della Sardegna,Politica sarda | Comments Disabled

L’EDITORIALE  della   DOMENICA  della Fondazione.

E’ stata la settimana del protagonismo dei sindaci e degli amministratori nei nostri comuni. Sindaci, che si riuniscono in assemblea ad Abbasanta e preparano le prossime elezioni regionali attraverso primarie nazionalitarie. Sindaci, che bloccano la legge urbanistica con il silenzio/diniego. Sindaci, che arrancano con bilanci fallimentari e vengono salvati dalla Regione. Infine, a fine settimana, arriva l’annuncio che il sindaco di Cagliari si avvierebbe ad annunciare la propria candidatura a presidente della Regione.

E’giunta l’ora dei sindaci al potere? Riuscirà ad affermarsi la definizione del ‘presidente’ e del ‘governatore’ quale nuovo ‘sindaco dei Sardi’?

L’idea dei comuni come fondamento dell’autonomia sarda è tra le più antiche e più insistite del primo sardismo. In quello che Camillo Bellieni ci ha lasciato come il più importante documento del federalismo politico sardo (la sua relazione al II congresso del partito sardo, 29 gennaio 1922), ci dice:

La nostra idea autonomistica si identifica con la nostra pratica autonomistica … Fare organi della battaglia gli enti locali esistenti: comune e provincia. Conquistarli e violentemente reclamare dallo Stato maggiori attribuzioni e maggiori responsabilità, reclamare l’aumento dei propri cespiti di imposizione tributaria, togliendoli alla burocrazia centrale. Strappare ogni giorno nuove attribuzioni a Roma, in modo da far sentire ad essa l’inutilità del suo controllo, della sua ingerenza, di gran parte delle sue funzioni. Conquistare altresì la facoltà di liberamente consorziarsi per provvedere organicamente ed unitariamente ai problemi regionali, ecco il punto d’appoggio per la creazione dell’ente regione; che non dovrà sorgere da un atto grazioso del governo centrale, ma dalla libera volontà delle provincie che trasformeranno il consorzio in ente organico e lo costituiranno nelle forme più adatte alle esigenze dell’ambiente (la relazione completa è leggibile su questo sito in  ‘PUBBLICAZIONI’, cliccando su SARDISTI, VIAGGIO …, vol. I. pag. 533 ss.).

Concetti analoghi esprime il movimento (ultimo) della sinistra internazionale in auge alla fine degli anni novanta, quello comunitario, la cui proposta cerca di trovare una via d’uscita al futuro delle società contemporanee nelle rivitalizzazione delle comunità e nella costruzione di valori comuni e di una cultura della coesione sociale.

In entrambi i casi – quello sardista come in quello comunitario – si pone il tema della leadership, nella varietà del suo costituirsi come nella complessità del suo manifestarsi. Che è poi l’eterno problema delle associazioni politiche che chiedono il potere e si candidano ad ottenerlo.

Sembra abbastanza logico che il modello più vicino alla Sardegna sia quello di sindaci  che operano da leader di comunità e che il rapporto tra di loro non può che caratterizzarsi per la volontarietà dell’unione e fondarsi sui valori del federalismo: dal comune, fino all’Europa, fino all’ONU.

La Sardegna non è (ancora) uno stato, ma per i Sardi le elezioni regionali rappresentano un appuntamento molto particolare rispetto alle Regioni italiane, come si trattasse di definire aspetti essenziali del proprio futuro.

La presente attenzione al ruolo ed ai compiti dei sindaci – fenomeno che oltrepassa la Sardegna – propone un insieme di riflessioni che ci portano oltre la consuete considerazioni sulla definitiva deriva delle aggregazioni che in qualche modo mantenevano residui dei partiti della prima repubblica.

E’ comprensibile che i consiglieri uscenti intendano rientrare e venire rieletti: in questo caso il pericolo è che il messaggio ai sindaci sia di farsi loro struttura di base in assenza di organizzazione partitiche. Si tratta, persino, di un’abitudine che arriva dal passato, con il candidato cittadino del proprio partito che si fa vedere in periodo elettorale.

Ma oggi tanti sindaci devono difendere il presente, il futuro e l’esistenza stessa della propria comunità. D’altra parte, non tutti i sindaci sono uguali, ad esempio nella dimensione/importanza dei comuni. lo stesso ho definito Cagliari come una città-Stato nelle settimane in cui essa era stata costituita quale città metropolitana e le province non erano state ancora salvate dal ‘no’ al referendum istituzionale. Cagliari si mangia tutto? L’affermazione è forse eccessiva: diciamo che – come succedeva per le società di antico regime, dove il primo grano era ‘prelevato’ dalle città – le città assicurano per sé le ‘prime’ (in quantità e qualità) risorse, poi, ciò che resta …

In realtà, i sindaci che devono inventarsi un futuro per i propri paesi sono costretti a collaborare per immaginare e per costruire una Sardegna nuova, altra da quella che, sotto molti aspetti, va alla deriva dopo le scelte non fatte con il venire meno dell’autonomia collegata con l’ipotesi di Rinascita, che quarant’anni or sono è fallita.

Riusciremo, nella vicina campagna elettorale, ad affrontare finalmente lo snodo città­-campagna come ci arriva dal passato e le nuove forme che questo va assumendo mentre i piccoli paesi muoiono? Conviene ai paesi accontentarsi della solidarietà di circostanza, invece di vedere sul serio le cose come stanno e muoversi di conseguenza?

Fare una Sardegna nuova domanda valori ideali, progettualità istituzionale, protagonismo economico, cultura e capacità di visione. Una nuova classe dirigente.

Merita parlarne ancora, a lungo e a fondo.

30 settembre 2018

 

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