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È possibile salvarsi dal degrado italiano? di Franciscu Sedda

Posted By cubeddu On 3 giugno 2018 @ 03:13 In Blog,Cultura e Scuola,Editoriali | Comments Disabled

L’EDITORIALE DELLA DOMENICA,  della Fondazione.

La drammatica situazione che vive oggi l’Italia e che giocoforza tocca anche i sardi ha una causa fondamentale: il disprezzo crescente che negli ultimi anni ha investito, dentro e fuori il palazzo, la cultura e l’istruzione. Vale a dire il fastidio o la distrazione verso lo spirito critico, la curiosità, l’approfondimento formativo, l’apertura verso ciò che non si conosce, il dialogo costruttivo, la creatività individuale e collettiva. Dentro tutto ciò ricade anche l’attacco agli “intellettuali” e all’“università” ma non bisogna confondersi perché la cultura è patrimonio collettivo e ridurla al lavoro degli intellettuali o al possesso dei titoli di studio è una concezione vecchia, fuorviante, perdente. La cultura è tutto ciò che lega positivamente le persone, che le lega attraverso la cooperazione e non attraverso l’odio. Per questo la cultura sta tanto in una geniale ricerca tecnologica promossa dall’università, quanto nell’iniziativa di un gruppo di volontariato a difesa dei più deboli, quanto in una competizione sportiva in cui si esalta tanto il talento individuale quanto il gioco di squadra, quanto ancora nella qualità dei servizi all’infanzia dove si formano le attitudini profonde alla responsabilità, all’autodeterminazione e alla libertà dei bambini.
Ciò detto, non so cosa sceglierà di fare l’Italia. Posso sperare che scelga di tornare a investire in cultura e istruzione. So però per certo ciò che deve fare la Sardegna: riprendere pienamente in mano i poteri sull’istruzione e la cultura, investire economicamente e socialmente sui valori dello spirito critico, della curiosità, dell’apertura, del dialogo, della creatività.
La Sardegna ne ha un disperato bisogno. Più ancora che l’Italia. E questo proprio perché la diversità della Sardegna in Italia non è stata e non può essere valorizzata; perché la diversità linguistica, culturale, ambientale, ma anche di proiezione e progettazione socioeconomica originale dei sardi, nel sistema formativo italiano scompare o viene mortificata o sviata verso altri interessi; perché la condizione demografica della Sardegna richiede regole ad hoc mentre quelle italiane si attagliano al nostro corpo come una camicia di forza; perché i parametri che lo Stato italiano ha scelto per finanziare il suo sistema formativo universitario sono caduti sulle nostre università come una mannaia, slealmente causando in Sardegna la perdita di 26 milioni di euro di finanziamento nel giro di 9 anni (compensati solo dall’intervento delle istituzioni sarde e dallo sforzo di sopravvivenza del corpo universitario). E questo solo per fare alcuni esempi e per non parlare del disprezzo risorgente quando in Sardegna si produce qualcosa di originale, qualcosa che mette la Sardegna a diretto contatto con il mondo: come è successo con le recensioni nei confronti di uno spettacolo come Macbettu. A dimostrazione che la cultura sarda va davvero bene in Italia solo quando produce immagini di sé conformi al gusto italiano, commerciale, turistico. Se non addirittura quando serve a sfornare sardi pronti a fare le macchiette per spettacoli altrui.
Insomma, se si vuole per davvero prendere parte alla polemica di queste ore, se si vuole davvero entrare in modo originale e risolutivo in un conflitto che rischia di vedere i sardi ancora una volta schierati (e destinati a morire!) su trincee altrui, si rifletta sul fatto che il miglior modo per uscire dal pantano italiano è fare diversamente da ciò che si fa in Italia. Essere diversi. Invece di morire sulle trincee dell’odio altrui è dunque tempo di impegnarsi per produrre nuova cultura in Sardegna e per la Sardegna.
Franciscu Sedda

 

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