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Nazione dei comunisti, nazione dei sardisti (1), di Mario Cubeddu

Posted By cubeddu On 10 marzo 2018 @ 04:15 In Blog,Partiti politici in Sardegna,Politica sarda,Questione sarda | Comments Disabled

CONDAGHE 2.0. , interventi sul passato, il presente e il futuro della Sardegna. Documento n° 8. L uigi Pirastu (PCI)  scrive  che… si percepisce nelle sue parole (di Battista Puggioni, primo segretario generale del partito sardo nel secondo dopoguerra) un’indifferenza per tutto ciò che riguarda l’Italia e ancor di più un distacco sentimentale dagli italiani…….”.  Scrive Battista Puggioni: Che posso farci? E’ forse questa una colpa? E l’Italia, con la sua successione di capi, imperatori, principi, duci, re. Dittatori, demagoghi, da Cola di Rienzo a Crispi, a Mussolini, con la sua fatale assenza di spirito civico, col suo malsano machiavellismo, merita forse di essere amata?


Nel febbraio nel 1945, due mesi prima della liberazione di Milano e della fine della guerra, nella Sardegna liberata da un anno e mezzo e separata dall’8 settembre 1943 dalle vicende italiane, si sviluppa un’interessante discussione tra un comunista e un sardista.

Da una parte c’è Luigi Pirastu, figlio di un personaggio importante del fascismo sardo, il medico Virgilio Pirastu, che aveva accolto e presentato al pubblico ogliastrino Benito Mussolini durante il suo primo viaggio sardo nel giugno del 1923. I figli Luigi e Ignazio sarebbero diventati comunisti e avrebbero percorso nel Partito dei cursus honorum importanti. Dalla fine di dicembre del 1944  e sino ai primi di maggio del 1945 Luigi Pirastu  dirige l’Unione sarda, che sta per tornare di proprietà dei Sorcinelli, su incarico del Comitato provinciale di liberazione. Dall’altra parte c’è il primo direttore (segretario generale, diremmo oggi)  del Partito Sardo d’Azione del dopoguerra, l’avvocato sassarese Luigi Battista Puggioni.

Il primo era nato nel 1913 e aveva quindi poco più di trent’anni, il secondo aveva sessant’anni, era stato combattente nella Grande Guerra ed era stato tra i fondatori del Partito Sardo d’Azione.

La discussione tra i due ha un precedente drammatico e doloroso legato a un delitto che avviene a Mamoiada la vigilia di Natale del 1944. Il giovane sardista Peppino Contu,  figlio unico di un caduto della Grande Guerra e rappresentante del Partito Sardo d’azione nel sindacato nuorese dei braccianti agricoli, viene ucciso da un gruppo di avversari comunisti che erano stati sconfitti da lui durante le elezioni dei rappresentanti alla Camera del Lavoro.

Al Direttore del PSdA era spettato il difficile compito di commemorarlo e di cercare di dare un senso politico a ciò che era successo. Il tono era stato deciso  e prudente allo stesso tempo. Non si faceva riferimento alla caratterizzazione politica degli assassini, associandoli piuttosto alla delinquenza comune. C’era solo un riferimento ad “una corrente politica… che pone la violenza come dottrina e come norma pratica di condotta, che organizza le squadre di azione o di attivismo.”

Non si faceva il nome del partito, ma Luigi Pirastu aveva reagito male a una simile descrizione del modo di organizzarsi e di operare dei comunisti sardi. Su questo tema comunque tra i due prevaleva il fair play. Pirastu sottolineava una presunta  vicinanza tra i due partiti per quando riguardava “programmi che presentano molti punti di contatto”. In realtà il garante per i comunisti sembrava essere Emilio Lussu e l’esponente comunista richiamava in un certo modo all’ordine il dirigente sardista con una frase che non potrebbe essere più indicativa: “ Occorre però che il partito sardo segua il programma propugnato da un uomo che tutti i sardi stimano e amano, l’on. Emilio Lussu.”

Si può immaginare quanto questo potesse infastidire il Direttore di un movimento a cui veniva dettata la linea da un dirigente di un partito concorrente.

Ma c’è nella discussione un elemento che allora poteva apparire marginale, mentre oggi ci sembra quello più interessante. Luigi Pirastu accusa esplicitamente Puggioni di avere scarsa simpatia, scarsa passione per l’Italia, di non identificarsi con la storia, la cultura, lo “spirito” italiano.  Pirastu scrive  che… si percepisce nelle sue parole un’indifferenza per tutto ciò che riguarda l’Italia e ancor di più un distacco sentimentale dagli italiani… Lui invece pensa che se la Sardegna dovrà restare, come noi crediamo necessario, nel quadro dell’unità italiana, essa seguirà la sorte dell’Italia e il suo destino qualunque esso sia.

E’ la premessa per un’accusa non tanto velata di simpatie per il separatismo.

Ancora una volta i sardisti sono presi di mira con questa accusa di volersi separare dall’Italia che li aveva messi in imbarazzo nel 1922, usata strumentalmente da Mussolini, con la complicità di Paolo Orano, subito dopo la Marcia su Roma. Sin da allora l’allarme separatista è servito come pretesto per rendere più stringente il controllo dell’ordine pubblico e della polizia politica in Sardegna. Lo stesso argomento venne usato dai comandi militari dopo il 25 luglio 1943 per conservare intatte le strutture del regime fascista, a cominciare dall’OVRA. L’ultimo che ricordiamo fu un politico democristiano opportunamente dimenticato, Ciriaco De Mita, che accusò i sardisti di essere dei mezzo terroristi.

La reazione di Puggioni alle velate accuse di scarso patriottismo da parte del Pirastu nel 1945 è particolarmente interessante.  Mentre nel 1922 tutti i dirigenti sardisti si erano sentiti feriti dalla sola ipotesi di non amare abbastanza l’Italia e rispondevano con un richiamo appassionato alle migliaia di giovani sardi che avevano perduto la vita in guerra, ora la situazione sembra cambiata, dopo 20 anni di fascismo e dopo la “morte della patria”.  Scrive Battista Puggioni: Che posso farci? E’ forse questa una colpa? E l’Italia, con la sua successione di capi, imperatori, principi, duci, re. Dittatori, demagoghi, da Cola di Rienzo a Crispi, a Mussolini, con la sua fatale assenza di spirito civico, col suo malsano machiavellismo, merita forse di essere amata? Io ho sempre guardato all’Italia con spirito realistico, scevro da ogni retorica da storia patria e da manuale scolastico,  e mentre ho ammirato i suoi splendori umanistici e artistici, non ho mai sentito né stima né simpatia per la diseducazione civile e politica del suo popolo e per la  insufficienza dei suoi capi. Come sardo ho sempre ritenuto lo stato italiano responsabile di gran parte delle sventure e delle miserie della nostra povera isola, ed ho visto nella struttura di esso il maggior impedimento al nostro ingresso nel consorzio civile dei popoli liberi.

Una contrapposizione estremamente attuale che in quei giorni suscitava però reazioni molto diverse da quelle dettate dal disincanto nei confronti del mito italiano che conosciamo oggi. Lussu, ad esempio, considerava posizioni come quelle di Puggioni arretrare e reazionarie, espressione addirittura di uno spirito fascista che sarebbe stato elaborato e trasformato in una sorta di nazionalismo sardo. Puggioni invece ridimensionava il dovere di un nazionalismo italiano imposto con vari strumenti, politici, economici e culturali e apriva la strada al riconoscimento del valore autonomo della storia  e della cultura della Sardegna.

Quanto a Pirastu, egli si era formato, come alcuni dei giovani dirigenti comunisti del Partico Comunista Italiano del dopoguerra, nelle file della Gioventù Universitaria Fascista di Cagliari.  Quando lui scrive, sono già stati esclusi dal partito i dirigenti che avevano creato il Partito Comunista di Sardegna, che aveva tra i suoi programmi la formazione di una Repubblica sarda federata con le altre repubbliche che avrebbero dovuto nascere nelle regioni italiane.

 

Bigliografia. La polemica cui si fa riferimento appare in “Riscossa”; l’articolo di Luigi Pirastu Sardegna e Italia si trova nel n° 5 Anno II del 28 gennaio 1945, la risposta di Puggioni in Sardegna nella stessa rivista n° 7 del 12 febbraio 1945. Gli articoli sono stati raccolti e pubblicati in volume a cura di Manlio Brigaglia, EDES Editrice 1974. Sulla presenza degli intellettuali nel GUF di Cagliari vedi Francesco Spanu Satta Il Dio seduto, Chiarella Sassari 1978 p. 99. Nel libro si parla anche dell’uccisione di Peppino Contu, p. 292.


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