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Don Ettore Cannavera e i segreti della “Collina”, di Daniele Madau

Posted By cubeddu On 9 febbraio 2018 @ 15:20 In Blog,Chiesa sarda,Società sarda | Comments Disabled

Dal sito di  TRAMAS DE AMISTADE  1 febbraio 2018.

Certi incontri lasciano il segno e il perché si capisce e non si capisce; “l’essenziale è invisibile agli occhi” – abusata frase del Piccolo Principe – ma, a volte, incomprensibile anche alla mente. E ora capisco che questo incontro mi ha dato qualcosa, più di qualcosa ma lo comprendo soprattutto per una serenità di cuore che ho avuto, e ho, di cui non riesco a realizzare ancora bene la causa.
Innanzitutto, La Collina…La Collina è un complesso di abitazioni, sale per convegni, presentazioni e incontri, campi, biblioteche, luoghi di spiritualità. Dalla sua sommità si gode di un magnifico panorama. E’ però, soprattutto, un luogo di detenzione alternativo, che ha tanti segreti, nel suo garantire, a chi lo ha vissuto, una quasi totale percentuale di reinserimento nella società: la bellezza architettonica e del luogo in cui sorge, il fatto che i ragazzi – dai 18 ai 25 anni – lavorino, creino prodotti, come il vino e l’olio, che vengono venduti e dai quali ricevono una parte dello stipendio e, certamente, forse il segreto più importante, la presenza di chi l’ha pensato (donando  per la sua creazione i terreni di famiglia) e lo guida.

Pensato o sognato? Forse è meglio sognato, ma il risultato è un sogno molto reale, un luogo quasi utopico che, però, esiste.

“Quasi utopico” e non del tutto utopico: perché in verità queste realtà sono le uniche logiche, efficaci, rispettose dei detenuti e delle tasse dei cittadini che le finanziano.
Tutto nasce dalla fiducia nei ragazzi e nel ritenere gli ospiti della comunità solo vittime della società e di circostanze avverse: e possiamo chiederci se non sia una considerazione di assoluto, e semplice, buon senso, di un’immediatezza naturale, logica. Eppure, non sembra proprio che la società la percepisca così.

“La società è forcaiola, eppure sono ormai lontani i tempi di Lombroso, che affermava come si nascesse criminali. In realtà la società prima tradisce i ragazzi creando un contesto in cui loro cadono nella delinquenza, poi, addirittura, li isola nelle carceri. Io sono stato vent’anni nel carcere minorile di Quartucciu: muri alti, sistemi di sicurezza, personale di sorveglianza; una spesa enorme per pochi ragazzi.  Dopo tanti tentativi di cambiare il sistema di detenzione dei minori, mi son dimesso e da questa esperienza è nata La Collina”.

La coerenza, ecco un altro segreto.
Don Ettore, però, come dice lui stesso, è “anche” sacerdote e allora decido di partire da lì, dal valore del significato di una frase sul valore del dubbio, che campeggia sul sito della comunità, sotto la voce “Visione”.
“Il dubbio è segno di intelligenza – parla ora anche l’ ex docente di filosofia oltre che sacerdote – è usare la nostra ragione; a questo una persona deve aggiungere, poi, la spiritualità che è diversa dal nostro essere credenti.
Una persona può essere credente ma non spirituale e viceversa; noi dobbiamo curare soprattutto la nostra parte spirituale: a questo noi dedichiamo tante parte del lavoro in comunità. La mattina facciamo sempre un momento di silenzio in cappella – cappella interreligiosa, per rispettare tutti – ; anche le regole – regole di ordine, rispetto dell’ambiente, rispetto di sé stessi, rispetto della comunità – sono funzionali alla spiritualità, all’esigenza di ordine e bellezza che c’è in ognuno di noi.
Una volta imparato questo, i ragazzi riescono a reinserirsi, a patto che il contesto li aiuti.”
Da Don Ettore ascolto volentieri anche qualche consiglio sull’insegnamento – anch’io ogni mattina entro in classe – e ci soffermiamo sull’importanza di condividere le scelte con i ragazzi e sul valore assoluto dell’accoglienza dei più fragili e, magari, con più criticità. In ultimo non possiamo non parlare del suo essere, ormai, Commendatore dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiano: “la accetto solo se condivisa con gli operatori e con i ragazzi”.
Un altro segreto, che forse racchiude tutti gli altri, quello dell’umiltà.
Vado via con bei doni: libri con la storia della comunità, la bottiglia di vino frutto del lavoro dei ragazzi e, soprattutto, quella serenità che non so spiegarmi, ma che non voglio perdere.

 

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