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Nella sequenza dei convegni asproniani, l’intervento competente di Lello Puddu “il” mazziniano dell’Isola. Appunti per una storia “sarda” dell’Associazione Mazziniana Italiana, di Gianfranco Murtas

Posted By cubeddu On 6 febbraio 2018 @ 06:22 In Blog,Persone,Politica,Storia della Sardegna | Comments Disabled

Come in una breve nota di diario privato. I miei compagni ideali della generazione dei Mario Berlinguer e di  chi a Sassari, alla Frumentaria, cioè all’Unione Popolare dei repubblicani e dei radicali mazziniani, teneva i corsi di alfabetizzazione agli zappatori dell’agro perché potessero superare l’esame che li ammetteva all’elettorato attivo, superavano il liberalismo notabilare conquistando la democrazia: ne allargavano il raggio, includendovi nuovi fruitori e nuovi protagonisti. Io invece – cento anni dopo il loro progressismo testimoniale e combattivo – mi sento esterno ed estraneo a quella speranza e a quell’impegno. E’ mesta riflessione, forse neppure soltanto personale, segno d’una sconfitta. Come cittadino mi convocano al voto, ma io che pure, o forse perché, mi richiamo ai valori della repubblica e della costituzione, dovrò ancora una volta, per obbligo di coscienza, negarmi.

Cerco un senso a quel che faccio o dico o scrivo e non lo trovo. Scrivo di Giorgio Asproni, scrivo dei mazziniani e di quelli sardi in particolare, scrivo di un militante di eroica onestà come è stato Lello Puddu, e mi rendo conto di scrivere forse per i marziani, non per gli italiani o per i sardi i quali sono, purtroppo in questo, italiani al cento per cento. Con il segretario sardista Solinas che, per un seggio peone lombardo, s’accorda con gli ex padani che veneravano l’acqua del Po, recludevano il tricolore nel cesso ed irridevano in Senato al presidente Ciampi e alla Levi Montalcini, e zittisce d’un sol colpo (inconsapevole del delitto) Mastino e Oggiano, Puggioni e Soggiu e Titino Melis, e anche Mario Melis, obnubila una storia e una cultura e una morale politica di molti decenni, umilia le originarie glorie delle camicie grigie lussiane e dei Quattro Mori in versione (anche galeotta, o sui fronti spagnoli) di Giustizia e Libertà, dei resistenti alla Borrotzu o alla Businco e dei consultori e dei costituenti presenti perfino nella Commissione dei 75; teorizza la cesura fra le leggi della storia (che reinterpreta giulivamente) e le convenienze fuggevoli dell’oggi; proprio così: con Solinas perdo la prima bussola che guarderebbe, per intuito nativo, al nord della decenza; d’intorno sono gli indipendentisti delle varie frange, concorrenti del PSd’A-sigla (soltanto sigla) e senza storia, senza neppure la storia (defunta) del PSd’A: con il pensiero corto, gli slogan e le bandiere retoriche non possono costruire, politicamente, nulla di una società che sia inclusiva e giusta né possono rafforzare la democrazia; con loro potrei condividere amore sì, alle querce secolari, alle albe ed aurore e ai tramonti della comune terra madre, il mito di Eleonora e i versi di Sebastiano Satta, lo schifo per gli speculatori, ma nulla di più; con tutti gli altri, gli “italianisti”, destri e sinistri per la commedia, forse neppure questo. La sconfitta è piena.

I movimentisti delle 5 stelle conquistano le piazze come un tempo i qualunquisti delle frasi fatte e dell’autoreferenzialità facilona, e non pare davvero cosa onorevole per l’oggi e il domani nostro, dei nostri figli e dei nostri concittadini; i forzisti cammellati s’imburrano nella banalità della doppia morale e nella rinuncia ad ogni autonomia d’intelligenza dal padrone eroe-condannato in perpetuo (nella morale pubblica se non nei tribunali); i fratelli d’Italia si sono autoeletti a seguaci semantici di un patriota vero quale fu Goffredo Mameli martire repubblicano nella Roma del ’49 che era il loro opposto (si confronti la costituzione della Repubblica Romana con gli statuti dei missini e dei loro discendenti); i cosiddetti democratici si sono raccontanti oltre ogni misura come la penosa rappresentazione dello stantio conformismo nazionale senza neppure la fantasia narrativa dei democristiani trapassati; i più – forse i più – delle militanze di democrazia laica si sono persi nelle contingenze senza respiro e generosità, mostrando tutta la fragilità dei loro fondamentali.

Si chiamano “sovranisti” – seppure soltanto per innovare il vocabolario, non la dottrina – così i destri del patriottismo (che forse non sanno come nel 1944, anche dalla Sardegna, fu ai “patrioti” che erano poi i “partigiani” che si mandavano i risultati delle questue solidali) come gli estremi(sti) della cosiddetta sinistra sociale, con una certa confusione di bersaglio, gli uni individuando l’Europa tecnocratica, gli altri l’Italia ministeriale, senza mai porsi – e gli uni e gli altri – la basilare questione della qualità della classe dirigente petente. Da noi la giunta di destra della Regione assunse, è storia di pochi anni fa, un giornalista di fiducia pagandolo profumatamente (come cinque o sei operai di Alcoa o Euroallumina), lo licenziò dopo alcuni mesi di prova scaricando così le casse pubbliche – data la riparativa sentenza del giudice del lavoro – di centinaia di migliaia di euro per un’operazione che non saprei definire (reddito come da lavoro svolto, invece che per cento giorni effettivi, per i duemila della intera legislatura), mentre la sinistra d’opposizione non accorgeva di nulla. Logica di spoil system incomprensibile dagli elettori (potenziali, ora in fuga) del PD e/o dei recenti suoi transfughi. Grandi questioni e piccoli interessi. Dov’è la qualità della classe dirigente di maggioranza e di minoranza?

Belle le minoranze, in carico soltanto la coscienza

Dovremmo amare la storia della repubblica sorta sulle macerie della dittatura e della guerra, dovremmo saper apprezzare la presenza – fra le sue minoranze democratiche, accanto a quella storica, remota ormai! dei sardisti coostituenti – dei mazziniani. “Piccolo partito di massa”, secondo la definizione di Palmiro Togliatti (che pur guardava con preferenza di interlocuzione politica al movimento cattolico organizzato più che non alle minoranze riformatrici laiche), quello repubblicano ha vissuto storicamente la sua vera identità nella dimensione “popolare” di un movimento comprensivo di realtà diverse di natura sindacale, dopolavoristiche e culturali (ma anche sportive e assistenziali), associazionistiche sul fronte delle radici ideologiche e su quello della presenza economica in chiave cooperativistica… Ecco così, dal 1950, la corrente repubblicana della UIL, dall’anno precedente l’ENDAS – l’Ente Nazionale Democratico di Azione Sociale –, addirittura dal 1943 l’AMI – l’Associazione Mazziniana Italiana –, dal 1952 l’AGCI – l’Associazione Generale delle Cooperative Italiane. Componenti a pieno diritto del movimento erano anche la FGR, la Federazione Giovanile Repubblicana cioè da cui vennero uomini come Alberto Ronchey, ed il MFR, il Movimento Femminile Repubblicano, erede delle suffragette come la nostra Bastianina Martini Musu, combattente nell’antifascismo.

Un tempo potevano considerarsi parte attiva, come soggetti autonomi eppure integrati nella logica dell’apostolato democratico, anche i giornali, o meglio quelle testate che non mancavano di partecipare ai congressi nazionali (e regionali) del partito. Spiccava fra le altre, nell’Isola, “La Nuova Sardegna”, fondata nel 1891 da un gruppo di repubblicani sassaresi capeggiati da Enrico Berlinguer sr. Ed infatti il direttore del quotidiano figurava indefettibilmente nei resoconti dei lavori congressuali tanto più nel decennio a scavalco di secolo.

L’ Associazione Mazziniana Italiana

Fondata nel 1943 da uomini del livello di Luigi Salvatorelli – il grande storico del Risorgimento e Novecentista, già condirettore del quotidiano giolittiano “La Stampa” prima del fascismo ed esponente, negli anni della resistenza, del Partito d’Azione – e presente nell’insurrezione del 25 aprile 1945 con un suo manifesto pubblico, l’AMI si definisce, all’articolo 1° del suo statuto, «un libero sodalizio di cultura, di educazione e di propaganda, indipendente dai partiti», impegnato a riaffermare «l’unità e l’indipendenza della Repubblica Italiana»; essa si propone «lo svolgimento e l’attuazione dei principi morali, politici, giuridici, sociali, economici e di emancipazione femminile, della tradizione repubblicana che in Italia ha avuto la sua più alta espressione in Giuseppe Mazzini, ed il compimento dell’unità federale europea nell’ambito dell’organizzazione internazionale, nella prospettiva di una alleanza universale dei Popoli».

La difficoltà di ricostruire, sia pure per sommi capi, le attività dell’AMI in Sardegna deriva in misura non marginale dalla (purtroppo) tradizionale scarsa propensione che i mazziniani isolani avevano ed hanno di informare di esse gli organi di stampa, che costituiscono poi la fonte principale, non l’unica, da cui trarre, riordinandole, le notizie. Minoranza nella minoranza, affidata nella fase iniziale alla estemporaneità della libera adesione all’Associazione con i suoi organi e le sue iniziative nazionali, per lo più celebrate nei confini delle zone storiche del mazzinianesimo – la Romagna e le Marche, Milano e Roma, Napoli e la Sicilia – la militanza s’era tradotta, come in certi ordini religiosi dei santi patroni, nell’abbonamento al calendario o al giornaletto periodico – allora giornaletto e prima ancora foglio catacombale, oggi rivista importante di cultura storica e civile, “Il Pensiero Mazziniano” (e a proposito: giusto nell’insurrezione di Milano “Il Pensiero Mazziniano” si presentava così: «Ritornata la libertà, questo foglio, oggi clandestino, diventerà una rassegna di studi e di lotte di pensiero»). Il nome di Michele Saba – leader dell’antifascismo sassarese – poteva bastare per concluderne che la Sardegna c’era comunque, c’era anche la Sardegna di Efisio Tola ed Asproni e Tuveri, di Bruscu Onnis e Siotto Elias, di Soro Pirino ed altri dieci o venti sparsi fra Iglesias e Collinas, Orani e Cagliari, Guspini ed Arbus, La Maddalena ed Oristano, ed ancora nella stagione della opposizione resistente alla dittatura.

Potrebbe valere comunque a fornire qualche elemento “per una storia” – che qui tento di affacciare, già sapendo di non riuscire nell’intento – l’individuare, fra i giovani degli anni ’50 e ’60, in Lello Puddu, Luciano Marrazzi (un avvocato di radici livornesi, scomparso diversi anni fa) e Gian Giorgio Saba (figlio minore di Michele), i referenti isolani concentrati sul maggior capoluogo, pronti sempre alla generosa e autentica forma dell’apostolato (accompagnato questo al servizio fedele nei congressi e alla disponibilità ad essere ricompresi, in rappresentanza, negli organi nazionali). Da Carbonia, giusto nel cuore della migrazione mineraria, i massetani Galardi – Giuseppe e Natalrigo – non facevano mancare mai la loro adesione, talvolta subendo il motteggio sarcastico della larga maggioranza… dei rossi (che ignoravano come le prime bandiere rosse fossero state proprio delle Fratellanze operaie mazziniane!). Nelle sottoscrizioni periodiche della stampa associativa i nomi dei sardi, dal Sassarese come dal Cagliaritano e dalle altre aree isolane, zampillavano raccontando – proprio come nei tempi di Mazzini vivo – che la dottrina dei “Doveri dell’Uomo”, di “Dio e Patria”, di “Pensiero e Azione”, di “Unità e Repubblica” continuava a trovare accoglienza anche da noi.

Si trattava di un filo, questo dei pur modesti contributi associativi presenti nella tradizione della editoria repubblicana già di fine Ottocento e primo Novecento (fino alle sospensioni da parte del fascismo) e ripresi nel secondo dopoguerra per arrivare ancora agli anni ’70, che attribuiva alla stampa interna la funzione comunicativa o relazionale fra gli “sparsi” caricandola anche di intenzioni morali: perché sovente, come nei giornali religiosi o devozionali, s’accompagnava l’obolo al ricordo di un caro (un caso fra i tanti: la sassarese Carmen Paoletti per il marito Gaetano, così ancora alla fine degli anni ’70). I soccorsi giungevano, più o meno occasionali, dall’area di simpatia: non soltanto dai Galardi padre e figlio, non soltanto da tutti e quattro i fratelli Saba, ma anche da Caterina Azzena Ponzi e Giuseppe Chiarini da Sassari, da Mazzini Mariotti da Porto Torres, da Pietro Mibelli e Achille Pirazzoli da Cagliari, ecc.

S’è detto: le cronache dei giornali raramente davano spazio alle iniziative per il più patriottiche. Fra esse, può comunque ricordarsi – riferita alle manifestazioni per il centenario di Roma capitale, il 20 settembre 1970 – la partecipazione, a Caprera, di Lello Puddu, proprio in quanto delegato della sezione di Cagliari. A testimoniare come la civiltà espressa dall’evento di Porta Pia fosse stato condiviso dai municipi isolani, e da Cagliari stessa, nonostante l’amministrazione guelfa della città… E’ di quello stesso periodo una segnalazione partita alla volta della Camera dei deputati e della Regione circa il grave stato di abbandono della “casa bianca” nell’arcipelago maddalenino, con l’invito a un sollecito intervento riparativo. (Sarà, quello della decorosa manutenzione della residenza garibaldina, un interesse costante del mazzinianesimo sardo: nel novero resta registrato l’intervento del socio tonarese Benvenuto Tore, cancelliere a palazzo di Giustizia, al congresso nazionale del 1974).

Accanto a quella cagliaritana, costituitasi nel 1969, presero consistenza nel tempo – formalizzandosi poi nel 1978 – le sezioni di Sassari e Nuoro. L’entusiasmo dei sassaresi fu allora tale, resistendo per qualche tempo, da far credere che la debole rete isolana potesse produrre presto un comitato regionale e dunque un salto organizzativo suscettivo di accreditare l’AMI fra i soggetti culturali di stabile presenza, promotori di conferenze e dibattiti in tutta la regione. Alberto Mario Saba (reduce da un doloroso e oneroso sequestro di persona durato lunghe settimane) promosse una bella serie di contatti per pubbliche manifestazioni di “pedagogia mazziniana” ma volte non ad un mera contemplazione delle virtù storiche, bensì alla miglior attualità europeistica. Si era alla vigilia della riforma del Parlamento europeo, con il passaggio finalmente al suffragio universale, in superamento della rappresentanza di secondo grado nella deputazione.

In parallelo al rinforzo del Partito Repubblicano nella provincia, la sezione dell’AMI sassarese presentò all’opinione pubblica locale la bontà di un patrimonio valoriale (l’eredità della Giovane Europa) capace di tenere l’attualità, rivelando una volta ancora una lettura critica, non dogmatica, degli eventi di portata epocale quali appunto erano le dinamiche della Comunità Europea in crescita di strutture ed obiettivi. Si partì allora – ricordandone anche il lungo esilio in Inghilterra – con una conversazione su “Mazzini giornalista”: relatore lo stesso Saba – avvocato di grande cultura e prestigio con esperienze importanti di rappresentanza civica a Palazzo Ducale, e primogenito di Michele che era stato per lunghi anni presidente dell’associazione della stampa turritana (biografato, nel decennale della morte, nel n. del 25 novembre 1967 de “Il Pensiero Mazziniano”, così come – nel numero successivo – lo sarebbe stato un altro sardo eccellente: l’algherese Tullio Marcialis). Seguiva, nell’autunno dello stesso anno, in un gremitissimo salone del “Mancini”, una conferenza di Giuseppe Tramarollo – presidente nazionale dell’AMI – ancora su un tema europeista, introdotto dalla professoressa Vittoria Pisano segretaria dell’AEDE, l’associazione dei docenti europeisti. Appunto alla vigilia delle elezioni a suffragio universale del Parlamento di Strasburgo, con l’auspicio di «una progressiva assunzione di poteri legislativi e di controllo da parte dell’Assemblea, passo decisivo verso l’unità politica della CEE».

A Sassari – andrebbe anche questo ricordato per i nessi stretti e continuativi fra l’impegno europeista, la scuola e la divulgazione dalle colonne de “La Nuova Sardegna” – poteva utilmente combinarsi a quello dei Saba il nome di Giuseppe Chiarini, benemerito docente di lettere e preside di liceo, fondatore rotariano e storico columnist del quotidiano cittadino: presente, con i repubblicani, nella lista sardista all’esordio dell’autonomia speciale, nel ’49, a dimostrazione… dell’unico albero dalle molte fronde (fra esse anche quelle del Movimento Federalista Europeo fra i cui primissimi militanti erano proprio, nell’Isola, giovani sardisti e giovani repubblicani)…

Invero a Sassari i mazziniani non partivano da zero anche in quanto a manifestazioni ufficiali. Se ne era data cronaca, nella primavera 1972, coinvolgendo ancora Giuseppe Chiarini, Vittoria Pisano ed i Saba per una conferenza promossa dal Soroptimist Club, nella sala delle Cariatidi dell’Amministrazione Provinciale. Un modo per celebrare il centenario della morte di Giuseppe Mazzini (monumentato ai Giardinetti, celebratissimo in un giornale come “Riscossa” degli anni 1944-1946, al recupero di quel busto nel dopofascismo). Oratore il professor Tramarollo, titolo del suo discorso “Mazzini vivo” – per dire della «attualità del suo pensiero sui problemi dell’ordinamento dello Stato, dell’emancipazione del lavoro, dell’unificazione europea e della organizzazione internazionale» –, e circostanza buona per una doverosa ribalta alla minoranza democratica sarda (cf. “Il Pensiero Mazziniano”, 25 giugno 1972).

Coeva di quella sassarese fu la sezione di Nuoro, il cui battesimo avvenne nel segno di Giorgio Asproni. Protagonista delle fasi anche organizzative era l’onnipresente Lello Puddu che, insieme con i dirigenti dell’Istituto Etnografico Sardo, impostò il convegno asproniano (cui sarebbero intervenuti, nel novembre 1979, sia Tramarollo che Giovanni Spadolini, allora segretario nazionale del PRI in successione di leadership a Ugo La Malfa), in occasione della uscita di due nuovi volumi del “Diario politico” del Bittese. Del quale – è bene ricordare – Bruno di Porto aveva pubblicato un bel profilo biografico sul numero di settembre del 1977 de “Il Pensiero Mazziniano”, mentre una intera pagina della rivista sarebbe stata dedicata, con le sintesi dei vari interventi, proprio al convegno di studi (cf. nn. 11-12 del 1979).

Fu in quella circostanza che i mazziniani di Nuoro – soliti celebrare, ad iniziativa di Giannetto Massaiu e Annico Pau, le glorie patrie il 2 giugno, combinando la memoria del Generale a quella del Profeta – promossero un “fraterno incontro” con i militanti delle altre sezioni o dei gruppi sparsi dell’Isola. Fra i partecipanti, portatori della storia, insieme mazziniana ed antifascista, della loro famiglia, furono i fratelli Saba: Alberto Mario, Vittorio, Peppinello, Gian Giorgio. Fra le idee di cui si discusse fu la proposta avanzata, a nome anche degli amici napoletani, dallo storico Giuseppe Galasso – preside della facoltà di Lettere dell’Università partenopea –, di un convegno asproniano da tenere nel capoluogo campano, dove il Bittese successe, nel 1864, a Saffi nella direzione de “Il Popolo d’Italia”.

Asproni tenne banco, ovviamente, anche a Cagliari, traendone speciali motivazioni dalla uscita periodica di uno dei sette volumi editi da Giuffrè per conto della facoltà di Scienze Politiche di Cagliari. Sarebbe da citare, al riguardo, la manifestazione organizzata all’insegna di “Giorgio Asproni nella storia sarda dell’800 e nel Risorgimento nazionale”, dalla locale sezione AMI, nel dicembre 1978, presso la sala Hoechst. Con Puddu intervennero Carlino Sole e Tito Orrù, curatori della monumentale pubblicazione, Michelangelo Pira, Giuseppe Contini e Marcello Tuveri (cfr. “Il Pensiero Mazziniano”, nn. 1-2/1979).

A ridosso del 2 giugno 1982 – data centenaria della morte di Giuseppe Garibaldi – la stessa sezione promosse un convegno di studi garibaldini, che ottenne il patrocinio del Comune di Cagliari (presente alla manifestazione con il sindaco Di Martino). In un affollatissimo salone dell’Enalc Hotel – come riferiscono le cronache (cf. “Il Pensiero Mazziniano” n. 6/ giugno 1982) – parlarono Maria Corona Corrias, Carlino Sole e Tito Orrù – tutti e tre docenti a Scienze Politiche –, Francesco Manconi e Ludovico Gatto – professore, quest’ultimo, alla Sapienza di Roma, che si soffermò «sul mito di Garibaldi, la sua posizione ideologica tra democrazia e socialismo», nonché sui riflessi garibaldini «nella coscienza sarda e nei diari di Asproni», molto insistendo anche sui «progetti di rinascita dell’isola» coltivati dal Generale. A concludere, Giuseppe Tramarollo che, «in polemica con talune odierne “dissacrazioni”»  – come recita la nota stampa diffusa allora – illustrò «le virtù umane e militari del condottiero soffermandosi sulla sua formazione mazziniana».

Così procedette, con iniziative una tantum, certamente tutte comunque di rilievo, il percorso associativo lungo gli anni ’60, ’70 e primi ’80 (quelli che videro Giovanni Spadolini – storico risorgimentista per eccellenza – ascendere le vette politiche della Repubblica, con la presidenza del Consiglio dei ministri). E si proseguì.

Nel 1985 la sezione cagliaritana contribuì, con un obolo di 500mila lire, al piantumento di cento alberi nel bosco dedicato, in Israele, al professor Giuseppe Tramarollo (iniziativa presa dal KKL e dall’UDAI). Dell’anno successivo (31 gennaio) si ricorda un convegno, nel salone del Banco di Sardegna, sulla figura dello scomparso benemerito presidente nazionale in quanto “educatore”, a un anno dalla sua morte. Promossa dall’AMI unitamente all’Associazione degli insegnanti europeisti ed all’Associazione Italia-Israele, la manifestazione ebbe quali relatori Tito Orrù, Antonio Romagnino e Arturo Colombo (dell’università di Pavia). Un altro appuntamento associativo puntò sul tema, sempre all’ordine del giorno, “Autonomia, separatismo ed europeismo”.

Dell’aprile 1989 sono due manifestazioni organizzate rispettivamente a Cagliari e a Sassari. Relatore unico il prof. Arturo Colombo. Nel capoluogo regionale egli svolse il tema “Il movimento democratico-repubblicano da Giuseppe Mazzini a Ugo La Malfa” (ciò anche prendendone lo spunto dal decennale della scomparsa del leader del PRI). Nell’occasione venne presentato lo studio di Francesco Atzeni su “I repubblicani in Sardegna”, con prefazione di Giovanni Spadolini ed editing di Archivio Trimestrale, e fu altresì annunciata l’imminente uscita di un altro lavoro, questo a firma di Gianfranco Murtas, dal titolo “Ugo La Malfa e la Sardegna”.

A Sassari Colombo trattò di “Le origini dell’ideologia fascista”. Significativa la nota stampa redatta, in proposito, da Puddu: «L’argomento, in apparenza lontano dalle tipiche tematiche mazziniane, ha una sua straordinaria attualità in coincidenza con le pretese dei gruppi missini e neofascisti di stabilire un legame storico e ideale fra l’antico esponente della gloriosa Repubblica Romana del 1849 e la tragica esperienza recente della cosiddetta “repubblica sociale”». Colombo spiegò «l’irriducibile antitesi fra i principi ideali, politici e sociali del mazzinianesimo e i confusi riferimenti della “ideologia fascista”, all’insegna del costante rifiuto di ogni valore democratico, di ogni prospettiva umanitaria, di ogni dimensione etico-politica. Lo stesso slogan mussoliniano del “Credere, obbedire, combattere” appariva l’esatto contrario di una concezione laica, pluralista, fondata sulle idee-forza del Dovere, dell’Educazione, dell’Associazionismo, degli Stati Uniti d’Europa».

L’AMI sarda nell’ultimo quindicennio, fra conferenze e saggi storici

Nel primo anniversario della morte di Salvatore Ghirra, avvenuta a Cagliari il 28 dicembre 2000, a lui – a lungo abile ed efficace segretario regionale del Partito Repubblicano Italiano – fu intitolata la sezione, ricostituitasi dopo una certa vacanza. Riunitisi ad Oristano il 14 settembre 2001, i vecchi iscritti – non soltanto quelli del capoluogo ma anche quelli delle altre zone dell’Isola non ancora in grado di rilanciare iniziative autonome – concordarono un nuovo impegno da esprimersi non soltanto nella tradizionale convegnistica ma anche in collaborazioni con la rivista associativa che, nel suo recente restyling grafico, pareva poter accogliere e valorizzare, meglio che in passato, contributi originali da militanti e studiosi. Lello Puddu, costantemente negli organi dirigenti nazionali, veniva incaricato della prima presidenza: gli sarebbe presto subentrato Gian Giorgio Saba affiancato da Giancarlo Ghirra, Margherita Mugoni e Luigi Defraia.

Fra le iniziative assunte nel periodo, taluna d’intesa anche con l’Associazione Cesare Pintus (e a Nuoro anche con il Consorzio di Pubblica lettura Sebastiano Satta) andrebbe ricordato, proprio nel dicembre 2001, il doppio convegno “Cattaneo vivo nel bicentenario della nascita” e “Carlo Cattaneo ed i federalisti sardi”.

La manifestazione cagliaritana, svoltasi presso il salone conferenze del Banco di Sardegna, si articolò nelle relazioni di Arturo Colombo (sulla biografia di Cattaneo), Paolo Gastaldi (sulla produzione del “Politecnico” e l’attenzione cattaneana all’autogoverno delle regioni “dimenticate”), Maria Corona Corrias (sui rapporti di Cattaneo con Asproni), ed infine Tito Orrù (circa le relazioni di Giovanni Battista Tuveri con la scuola federalista lombarda).

A Nuoro, coordinato da Giannetto Massaiu, il dibattito seguito alle relazioni del prof. Colombo e del prof. Gastaldi ed al contributo offerto da Salvatore Cubeddu, sociologo ed autore di un recente ed impegnativo studio in due volumi sulla storia del Partito Sardo d’Azione, puntò a trarre dalla lezione del passato spunti d’attualità, tanto più in ordine alla possibile revisione dello statuto speciale sardo e ad un ipotetica trasformazione dello Stato italiano in chiave federalistica.

Una citazione meriterebbe anche la presentazione nel capoluogo, nel marzo 2003, del libro di Maria Boneschi “Di testa loro”, relatrice Giuseppina Cossu Pinna, direttrice della Biblioteca universitaria e nuovo presidente dell’Associazione Amici del libro.

Molto ha continuato a ruotare, ovviamente, sui temi della riscoperta ideale e storica della democrazia sarda in stretta connessione con quella italiana, sulla figura magistrale di Giuseppe Mazzini, le sue relazioni sarde e la sua utopia federalista continentale, su Garibaldi e il suo movimento di conquista unitaria – nei due casi anche per la ricorrenza bicentenaria della nascita del Genovese (1805-2005) e del Nizzardo (1807-2007) –, su Giorgio Asproni, i suoi radicamenti isolani e le sue proiezioni nazionali e internazionali, ed anche – per debito di riconoscenza per la profondità e continuità dei suoi studi – sul profilo intellettuale e la passione civile ed autonomistica di Tito Orrù, purtroppo venuto a mancare all’improvviso nel capodanno 2012.

Quest’ultimo quindicennio, quando la presidenza è stata affidata in sequenza, dopo che a Puddu e Saba, a Roberto Pianta – dal 2012 – e, in ultimo – dall’ottobre 2015 – ad Antonello Mascia, ha visto l’Associazione impegnata, con le sue deboli forze ma resistente, sui fronti delle iniziative culturali per il più concordate con similari sodalizi in specie cagliaritani, e sul fronte anche delle qualificate collaborazioni alla rivista associativa, divenuta nel tempo un periodico di altissima qualità per contenuti (distinti per sezioni: “Editoriali e commenti”, “Incontri e discussioni”, “Saggi e interventi: Primo Risorgimento, Secondo Risorgimento, Terzo Risorgimento”, “Inediti e testimonianze”, “Cultura e società”, “Rassegne”, “Libri”, “Cronache dell’AMI”, e di elegante grafica, la cui direzione è passata, in successione – dopo che da Terenzio Grandi, Vittorio Parmentola, Luigi Bisicchia e Piergiovanni Permoli – dallo storico Sauro Mattarelli al giornalista (di carta stampata, tv ed web) Pietro Caruso. Tutto ciò in parallelo alle responsabilità di vertice dell’AMI che dal 1946 al oggi sono state via via attribuite, dai congressi nazionali (se ne sono contati fin qui ben 26), a Nello Meoni (1946), Luigi Salvatorelli (1949), Giuseppe Chiostergi (1952), Giuseppe Tramarollo (1961), Antonio Fussi (1985), Michele Cifarelli (1986), Giulio Cavazza (1994), Maurizio Viroli (2000), Roberto Balzani (2003) e Mario di Napoli (2009).

Importante è, per tornare alla Sardegna, il nesso collaborativo stretto in particolare con la Società degli Operai di Cagliari – la cui storica sala ha ospitato più spesso conferenze e tavole rotonde –, con l’Associazione culturale Giorgio Asproni e con il Centro studi Genealogici e tradizioni popolari, anch’esso del capoluogo, oltreché con il Comitato cagliaritano dell’Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano, che pur nella povertà dei mezzi non rinunciano a tener viva la fiamma della memoria civile e dell’alto dibattito politico in Sardegna. Partner ormai fissi dell’AMI cagliaritana sono soprattutto i soci della Cesare Pintus, un sodalizio politico-culturale fondato nel 1988 con l’intento di aggregare le migliori energie intellettuali dell’area democratica riformatrice ed autonomistica, di quella liberale e di quella socialista, ed attualmente presieduto da Gianni Liguori.

Invero andrebbe rammentato, a tal proposito, che anche a livello nazionale l’AMI è affiliata a diversi enti associativi che perseguono obiettivi non dissimili, circa la democrazia e l’educazione popolare, dai propri. In particolare le relazioni sono collaudate ormai da molti anni con il CNDI (Consiglio Nazionale delle Donne Italiane), il CIME (Movimento Europeo), la Sezione italiana della Lingue Internationale de l`Enseignement, de l`Education et de la Culture Populaire, Il Comitato Atlantico Italiano. Ed ancora con l’Istituto di studi per la storia del Movimento Repubblicano (Roma), con la LIDU -Lega Internazionale per i Diritti dell`Uomo (Milano), con l`AEDE – Association Européenne Des Enseignants (Bruxelles -Roma), con l`UDAI -Unione Democratica Amici di Israele (Milano ),con il MFE – Movimento Federalista Europeo.

In collaborazione dunque con gli altri sodalizi di studio si dunque promosse, nel tempo, numerose iniziative. Se ne possono qui di seguito ricordare alcune fra le più significative:

a Nuoro – organizzate dalla locale sezione presieduta da Luigi Bianchi –, nel maggio 2005, con i ragazzi del liceo classico Giorgio Asproni, su “La Sardegna di Giuseppe Mazzini” e “L’inattualità di Giuseppe Mazzini” (relatori Manlio Brigaglia e Aldo Accardo e gli studenti Salis e Bacchitta, con conclusivi documentario filmico “Libertà vo cercando” e pièce teatrale); ancora a Nuoro, nell’aprile 2006, “Asproni profeta dimenticato” (relatori Tito Orrù, Luigi Lotti e Aldo Borghesi);

a Cagliari, nell’aprile 2005, “Giuseppe Mazzini: bicentenario della nascita” (relatori Sauro Mattarelli, Sandro Bonella, Aldo Accardo, Tito Orrù, Aldo Borghesi, con conclusioni del presidente della Regione Renato Soru, all’hotel Mediterraneo); nel marzo 2009, “Giuseppe Mazzini e la Sardegna, nel 160° della Repubblica Romana” (relatore Marcello Tuveri, nella sede degli Amici del libro); nel settembre 2010, “1870/2010, 140° XX Settembre: Roma Capitale d’Italia e la fine del potere temporale dei papi. Nella storia e nell’attualità” (relatori Aldo Borghesi, Mario Cugusi, Gianfranco Murtas, Carlo Pillai e Paolo Bullita, comunicazioni di Priamo Moi, Maria Laura Pau e Marcello Tuveri, conclusioni di Marco Pignotti, moderatore Tito Orrù, alla Società degli Operai); nell’ottobre 2011, “Silvio Mastio, un antifascista cagliaritano: incontro a 80 anni dalla morte” (relatori Gian Giacomo Ortu, Aldo Borghesi, Martino Sanna, Matteo Murgia e Walter Falgio, nella sede del “Don Chisciotte” e l’adesione anche dei Volontari e Reduci Garibaldini di La Maddalena e dell’ANPI di Cagliari); quindi e “Il Federalismo europea ed i giovani” (relatori Roberto Pianta con Antonio Fadda, Marcello Tuveri, Valentina Usai e Luciana Fadda, alla Società degli Operai), “Dalla Giovine Europa allo Stato federale subito”, “L’idea di democrazia progressiva nella stampa mazziniana” (relatrice Francesca Pau – attuale segretaria nazionale aggiunta dell’AMI –, con Marinella Ferrai Cocco Ortu: nella solennità della sala settecentesca della Biblioteca universitaria di Cagliari), ecc.

(In tema specificamente mazziniano vale richiamare anche la presentazione del libro di Federica Falchi “Giuseppe Mazzini: la democrazia europea e i diritti delle donne 1837-1860”, avvenuta il 9 giugno 2011 presso il palazzo Regio, da parte di Anna Lazzarino Del Grosso, Laura Pisano e Maria Corona Corrias).

A Bitti – la “piccola patria” di Asproni –, nel settembre 2013, fu onorata, con una giornata di studi, la memoria ancora calda dello storico Tito Orrù, benemerito della cultura democratica isolana, appassionato scopritore e divulgatore di alcune delle maggiori personalità politiche dell’Otto-Novecento sardo, a lungo docente presso la facoltà di Scienze Politiche e prolifico autore di saggi e monografie, animatore di attività culturali e fondatore-direttore della rivista “Bollettino Bibliografico e rassegna archivistica e di studi storici della Sardegna” (che gli avrebbe presto dedicato un corposo numero speciale).

Altre iniziative, promosse o sostenute a varo titolo dalla sezione “Salvatore Ghirra” dell’AMI – al tempo affidata ancora alla presidenza di Roberto Pianta – sono quelle relative a “La nuova legge elettorale. Libertà o potere assoluto” (relatori Pietro Ciarlo, Andrea Pubusa, Mario di Napoli, con il coordinamento del dibattito da parte di Paola Piras, giurista ex preside di Scienze Politiche, il 23 aprile 2015, presso la Fondazione Banco di Sardegna) e la successiva sulle riforme istituzionali (relatori Pietro Maurandi, Antonello Cabras, Mario di Napoli) e, ancora nei locali della Fondazione bancaria, l’11 maggio 2015, “Giovanni Spadolini a 90 anni dalla nascita”, relatore Antonello Mascia (un imprevisto familiare impedì a Cosimo Ceccuti di svolgere il suo intervento annunciato ed atteso).

Inoltre sono state tenute anche una conferenza su Mazzini ( tra i relatori Gianluca Scroccu )

Spadolini nella lettura di Antonello Mascia

Merita ricordare che la corposa relazione di Mascia fu poi pubblicata dal sito “Edere Repubblicane” il 6 luglio 2015, da cui vale estrapolare almeno questo passaggio che individua e valorizza la propensione sì storiografica, ma soprattutto morale e politica, di Giovanni Spadolini per le minoranze risorgimentali e postrisorgimentali illustrate nella sua vastissima produzione: « [Egli] ritiene che spesso in queste minoranze (che in quel momento storico non potevano vincere e che, probabilmente, è stato meglio che non abbiano vinto) sono presenti valori che continuano a sussistere, trascurati dai più, ma che al momento opportuno, quando le condizioni saranno favorevoli, emergeranno. Qualcuno ha visto in questo atteggiamento di Spadolini una vicinanza alla scuola francese degli “Annales”: non ho la competenza per esprimermi in proposito, ma sicuramente vi è in lui un interesse a studiare nel loro divenire uomini e correnti di pensiero, prima vinti e poi vincitori, per spiegare le ragioni del loro oblio prima e del loro successo poi. Di qui il rifiuto di una storia concepita come susseguirsi di episodi non collegati tra loro, con cesure nette e la pretesa di cancellare il passato. Di qui l’accettazione del dialogo e quindi della mediazione con conseguente compromesso come metodo nella vita politica, di qui il giudizio positivo su Giolitti, su De Gasperi, su Moro (sul quale ultimo avrei, invece, qualche riserva), di qui il ritenere fondamentale la collaborazione tra cattolici e laici, proprio al fine di bloccare l’integralismo cattolico che lui aveva studiato e che sapeva non scomparso con la stipula dei Patti Lateranensi, ma anzi rafforzatosi, comparendo nella nuova forma, anche più pericolosa, della sinistra democristiana».

E in conclusione, delineando una coerenza fra la interpretazione storiografica delle vicende politiche nazionali e l’impegno anche diretto e personale del professore ed ex segretario repubblicano sulla scena della politica corrente, fra partiti ed istituzioni:

«Attenzione però: il ritenere fondamentali il compromesso e la mediazione non significava che gli stessi dovessero essere raggiunti a qualunque prezzo; c’erano infatti limiti che non potevano e non dovevano essere superati. Esempi, tra l’altro: come direttore del “Resto del carlino” stigmatizzò il comportamento dell’Arcivescovo di Bologna, che faceva addobbare a lutto le chiese per la condanna del Vescovo di Prato, condanna da lui approvata senza  se e senza ma; rifiutò, unico tra gli uomini politici italiani, di incontrare Arafat; si dimise da Ministro della Difesa per l’atteggiamento accondiscendente  nei confronti del terrorismo palestinese; accettò, per sancire il principio chele presidenze della assemblee legislative non devono essere oggetto di mercanteggiamento tra le forze politiche, la sfortunata candidatura a Presidente del Senato nel 1994. [Il suo discorso in Senato, con il quale negava la fiducia al governo Berlusconi] rappresenta, nella sua concisione, il manifesto, culturale prima ancora che politico, per una forza laica e progressista che si voglia opporre all’attuale degrado, respingendo il plebiscitarismo che, in nome di una malintesa sovranità popolare rappresentata dalla piazza, pretenda di delegittimare il Parlamento e negare l’indipendenza della magistratura e la garanzia della Corte Costituzionale, e rifiutando qualsiasi forma di federalismo che, con il pretesto di esaltare il sistema delle autonomie locali, neghi la solidarietà delle regioni più ricche con quelle più povere e quella delle categorie più forti con quelle più deboli, mentre va affermato il concetto di una Italia senza distinzioni, come concludeva Spadolini, tra Busto Arsizio e Battipaglia».

Più di recente, sotto l’operosa presidenza di Antonello Mascia (e, come detto, con la collaborazione prevalente della Associazione Cesare Pintus e del Comitato cagliaritano dell’Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano – affidato quest’ultimo, dopo la scomparsa del professor Orrù, alla responsabilità di Marinella Ferrai Cocco Ortu, già direttrice dell’Archivio di Stato di Cagliari), ecco i convegni così titolati: “L’interventismo democratico nella grande guerra” (relazione di Marco Pignotti, l’11 marzo 2016 alla Mediateca del Mediterraneo); presentazione del libro di Adolfo Battaglia “Né un soldo, né un voto” (relatore Lello Puddu); ”La Costituzione della Repubblica Romana” (relazioni di Gianluca Scroccu e Marcello Tuveri, il 15 marzo 2017 al Convitto “Vittorio Emanuele II”); “Giuseppe Mazzini e gli Usa. Incontri e scontri” (relazioni di Giuseppe Monsagrati e Francesca Pau, il 19 maggio, egualmente al Convitto di via Manno).  Ed ancora, alla ripresa autunnale dei lavori, “Azionismo e Sardismo alla ripresa democratica dell’Italia” (conversazione tra Salvatore Cubeddu e Gianfranco Murtas, con testimonianze di Lello Puddu e Marcello Tuveri, il 14 dicembre 2016, nella sala conferenze della Società degli Operai); “21 donne alla Costituente: battesimo delle donne in politica” (relazione storica di Cecilia Tasca, il 13 gennaio 2017 egualmente nella sede della Società degli Operai), “Randolfo Pacciardi: una vita per la Repubblica” (relazione di Mario di Napoli, il 18 settembre 2017), “Fratelli Rosselli: una vita per la Repubblica” (relazione di Marcello Tuveri, 14 novembre 2017). Ospitati, questi ultimi due convegni, dalla Fondazione Sardegna (ex Banco di Sardegna) s’è trattato in generale di occasioni che hanno raccolto un buon interesse di pubblico (espressosi anche con il dibattito successivo alle conferenze) e l’attenzione della stampa locale.

Le collaborazioni sarde a “Il Pensiero Mazziniano”

Oltre alle iniziative convegnistiche paiono degne di menzione anche le collaborazioni che dalla Sardegna sono venute a “Il Pensiero Mazziniano”, tanto più negli ultimi anni. Eccone un repertorio, forse non completo, ma certamente rappresentativo degli sforzi compiuti per valorizzare memorie storiche e attualità di messaggio della sinistra laica isolana:

25 settembre 1969, “La Sardegna di Mazzini”, di Giuseppe Tramarollo;

25 marzo 1970, “Silvio Mastio”, di Manlio Brigaglia;

25 settembre 1971, “Il difensore dei sardi”, di Raffaello [Lello] Puddu;

n. 1/1989, “Un mazziniano rivoluzionario nell’America Latina”, di Aldo Borghesi;

n. 3/1989, “Giovanni Maria Angioy”, di Aldo Borghesi;

n. 2/1991, “Liberalsocialismo: ossimoro o sintesi?”, di Aldo Borghesi;

n. 3/1991, “Il partito sardo d’azione nella storia contemporanea”, di B. Volterrani;

n. 4/1991, “Eaco De Pirro: una figura dell’emigrazione antifascista repubblicana”, di Aldo Borghesi;

n. 2/1992, “Michele Saba: un mazziniano ‘contro’”, di Aldo Borghesi;

n. 4/1992, “Un’antologia dei federalisti italiani”, di Aldo Borghesi;

n. 1/1993, “Il senso del dovere in Alberto Mario Saba”, redazionale;

n. 1/1993, “Ricordo di un amico [Alberto Mario Saba]”, di Lello Puddu;

n. 2/2002, “La negritudine di Senghor”, di Roberto Pianta;

n. 2/2005, “Emilio Lussu e la nascita del PSd’Azione: autonomismo e Italianità Spirituale”, di Elisa Piras;

n. 1/2007, “In ricordo di Aldo Visalberghi”, di Gianfranco Contu;

n. 2/2007, “Mazzini e la Sardegna”, di Marcello Tuveri;

n. 3/2007, “Ma la Costituzione italiana è davvero acciaccata?”, di Marcello Tuveri;

n. 2/2014, “Il pensiero politico di Federico Campanella: spunti e riflessioni da alcune sue corrispondenze giornalistiche (1855-1867)”, di Francesca Pau;

n. 3/2015, “Cesare Pintus fra GL e Partito Sardo d’Azione”, di Gianni Luguori;

n. 1/2016, “L’idea di democrazia progressiva nella stampa mazziniana”, dialogo tra Francesca Pau e Sauro Mattarelli.

Di tutt’altro taglio l’articolo “Musica e società”, uscito sul n. 4/1997 a firma di Susanna Venturi: si tratta di una bella intervista-conversazione con l’etno-musicologo sardo Pietro Sassu.

Di rilievo anche i necrologi di amici scomparsi: fra essi sono da segnalare senz’altro quelli di Agostino Murineddu (sul n. 4/1997) e di Filippo Canu (sul n. 4/2002), entrambi a firma di Gian Giorgio Saba. I numerosi lutti patiti dai mazziniani sardi nel corso del tempo avrebbero meritato di essere registrati nel libro d’onore dell’Associazione: ogni segnalazione giunta in redazione, peraltro, ha trovato nelle pagine de “Il Pensiero Mazziniano” pronta e doverosa ricezione. Se ne potrebbe ricordare, a tal riguardo, anche una lontana nel tempo: quella relativa a Francesco Cabras, originario di Luras, vicesegretario generale del Comune di Torino, le cui finanze risanò con grande sapienza amministrativa e pari onestà morale (così sul n. del 21 giugno 1970).

Non si potrebbe infine mancare di rilevare l’alta posizione assunta, con pieno merito, da Aldo Borghesi nella segreteria nazionale dell’Associazione. Docente e storico, per lunghi anni impegnato anche sul fronte della didattica extrascolastica e dell’associazionismo antifascista di matrice democratica, egli ha anticipato tutti, nell’ultimo quarantennio, negli studi sul movimento democratico e repubblicano della Sardegna, ed ha pubblicato numerosi saggi anche sulle vicende del sardismo, fra elaborazioni ideali nel solco dell’autonomismo (quello lealista verso i principi costituzionali della Repubblica) e corretta e anzi coraggiosa militanza nell’antifascismo, ricomprendendo dunque il PSd’A (s’intende ante-nazionalitarismo ed ante-indipendentismo quale s’è riconvertito a partire dalla metà degli anni ’60 ed ancor più marcatamente alla fine della fine del decennio successivo) – nel grande filone della democrazia federalista italiana. Suoi sono diversi degli articoli-saggio usciti anche sulla rivista associativa.

Ritornando ad Asproni

Questo, in sintesi, il percorso associativo dei mazziniani sardi di lato, e con piena autonomia organizzativa, dal partito politico di riferimento, ovviamente quello repubblicano. Il quale, adottando fin dalle origini (unitamente alla vanga) il simbolo dell’edera, a Mazzini e alla esperienza ideale della Giovine Italia e poi della Giovine Europa si era voluto direttamente ricollegare: “Signum foederis Juvenis Europae”.

Una storia, quella sarda, s’è visto, lunga almeno mezzo secolo, interna al settantennio ed oltre dell’AMI nazionale. Certo è comunque che il salto in avanti, in quanto ad attività convegnistiche pubbliche, i mazziniani sardi lo compirono quando il rinvenimento del monumentale diario politico di Giorgio Asproni – settanta quaderni manoscritti custoditi dal conte Dolfin – consentì alla facoltà di Scienze Politiche di Cagliari di lavorare attorno ad essi e darli finalmente alle stampe. Si trattò di un’operazione culturale di altissimo rilievo che impegnò complessivamente una ventina d’anni, offrendo il modo, per altri venti e forse venti ancora, di tornare in argomento con approfondimenti mirati.

L’Associazione Mazziniana Italiana ed i mazziniani sardi si sono impegnati al massimo e al meglio, in questo senso, talvolta promuovendo talaltra accompagnando i maggiori studiosi, risorgimentisti e storici della Sardegna, in diversi di tali approfondimenti, tanto più a Cagliari, Nuoro e Bitti.

In tale contesto la partecipazione di Lello Puddu – come barbaricino elettivo oltre che come mazziniano e repubblicano – è stata di prim’ordine e perfino anticipatrice.

S’è dato conto, in altra occasione, dei suoi primi scritti asproniani: nel 1950 in “L’Idea repubblicana” – periodico diretto da Giulio Andrea Belloni – e nel 1956 su “La Nuova Sardegna”.

Nel centenario della morte del grande Bittese egli pubblicò un lungo e bell’articolo sulla pagina culturale de “La Voce Repubblicana” e tornò in argomento tre anni dopo, figurando fra i promotori – appunto come esponente dell’Associazione Mazziniana Italiana – del primo convegno nazionale asproniano, convocato a Nuoro nel novembre 1979 e cui partecipò, con la sua prolusione, Giovanni Spadolini, nella doppia veste di storico risorgimentista e di nuovo segretario politico del Partito Repubblicano Italiano (successore di Oddo Biasini, associato a Ugo La Malfa il presidente scomparso a marzo).

Ecco di seguito l’articolo del 1976 uscito sul quotidiano del PRI (con breve introduttivo corsivo redazionale), il discorso di apertura e benvenuto pronunciato al convegno nuorese e l’intervento nel dibattito a più voci (con Manlio Brigaglia, Lorenzo Del Piano e Michelangelo Pira) seguito alle relazioni e comunicazioni in scaletta (Sole, Colombo, Tramarollo, Pilia, Brigaglia e Turtas, Orrù, Del Piano, Corona Corrias, Selis e Porceddu). Conclude la sequenza documentaria l’articolo di commento alle risultanze dello stesso convegno nuorese, pubblicato su “L’Unione Sarda”.

 

Alle radici dell’autonomismo democratico della Sardegna (La Voce Repubblicana, 1° maggio 1976)

Bitti, il paese natale di Giorgio Asproni, ha ricordato il centesimo anniversario della morte, ieri 30 aprile. Nella mattinata, di fronte al cippo che ricorda il grande repubblicano sardo nel cimitero bittese, sono state deposte le corone dell’Amministrazione Comunale e sono stati tenuti i discorsi celebrativi. Più tardi nel cinema Ariston il prof. Tito Orrù, curatore del diario asproniano, ne ha illustrato la figura e il pensiero.

L’Associazione Mazziniana Italiana, che organizzerà nei prossimi mesi un seminario di studio, e il Partito Repubblicano, erano rappresentati dal segretario della Federazione Sarda Lello Puddu.

Anche a Roma, nel cimitero del Verano dove Asproni è sepolto, ieri mattina si sono incontrati per una manifestazione di omaggio i parlamentari della Sardegna e gli studenti e i docenti del Liceo Scientifico di Bitti che è intitolato all’illustre uomo politico.

X X X

I giorni che precedettero la morte di Giorgio Asproni furono importanti per la storia d’Italia. Abolita la tassa sul macinato, che aveva segnato la fine del Ministero Minghetti, saliva al potere il 18 marzo 1876 il capo della sinistra costituzionale, Agostino Depretis.

Asproni era già avviato alla fine per una malaria che i medici romani non erano riusciti a diagnosticare (eppure l’Agro romano era vicino) e che qualunque condotto sardo avrebbe stroncato col chinino, solo che non avesse interrotto le sue visite in Sardegna dalla quale mancava da oltre 15 anni.

La discussione parlamentare che seguì alla notizia che il grande sardo si era spento nella sua modesta abitazione di via della Croce, a pochi passi da piazza di Spagna, rappresentò l’occasione per una polemica sulla «svolta» rappresentata dall’avvento della sinistra.

I sostenitori della nuova maggioranza proponendo il lutto ufficiale della Camera (che era stato concesso soltanto per Cavour e Rattazzi) «tentavano di integrare nel nuovo schieramento il massimo numero di personaggi che avevano caratterizzato la sinistra storica e che erano ancora scossi dalla morte di Mazzini avvenuta nel ’72.

Asproni era uno di essi e seppure non avesse mai abbandonato i banchi della Estrema solidarizzando con i congiurati di Villa Ruffi e con l’intransigenza istituzionale che ispirava i dirigenti delle società operaie, delle quali era grande animatore, tuttavia per il prestigio che lo accompagnava, essendo uno dei superstiti del Parlamento subalpino del ’48, e la sua continua presenza in ogni azione dei partito repubblicano nell’epoca risorgimentale, rimaneva un uomo da conquistare per garantire la continuità politica, di coloro che non avevano accettato il «non expedit» mazziniano abbracciando l’eresia radicale e quindi Il compromesso con la monarchia.

Fu così che le esequie di Asproni, insieme al dibattito parlamentare sulla sua figura e sul ruolo e l’apporto degli uomini di secondo piano negli avvenimenti dell’800 rappresentarono, almeno per un giorno, la fine delle polemiche cedendo il posto all’esaltazione e al ricordo delle vittorie e delle sconfitte, degli entusiasmi e delle delusioni, ma comunque delle lotte comuni combattute Intorno alla comune ispirazione mazziniana. Crispi e Bertani, Garibaldi e Depretis, Nicotera e Zanardelli, Valerio e Bovio, Campanella e Mario, Quadrio e Rosa, tutti a reggere il cordone funebre al Verano per le strade inondate dal popolo romano coi vessilli delle organizzazioni popolari e delle società operaie, in una irripetibile manifestazione unitaria che se la storia d’Italia avesse percorso altre strade, avrebbe potuto emblematicamente rappresentare lo sbocco logico della battaglia democratica del Risorgimento.

La cultura e la stampa in Sardegna ricordano oggi Asproni rompendo, finalmente, un silenzio che è il frutto della negligenza Interessata con cui la storiografia ufficiale ha trattato gli aspetti dell’opposizione laica allo Stato liberale privilegiando, come dice Spadolini, il versante di quella cattolica o socialista.

Ma sarebbe stato il ricordo di questi giorni così urgente e così necessario senza la importanza riscoperta dei manoscritti del Diario e dell’ormai voluminoso fondo asproniano in corso di pubblicazione da parte della Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Cagliari?

Probabilmente il centenario sarebbe passato senza dignitosa manifestazione se un nostro giovane amico, troppo presto strappato al suo Impegno politico e culturale, non avesse, con tenacia, Intelligenza e serietà affondato la sua ricerca sull’azione e il pensiero del grande bittese.

Intendo riferirmi a Bruno Josto Anedda che, incaricato dalla prof.ssa Arcari, aveva Iniziato uno studio analitico sui sardi del Risorgimento, con particolare riferimento ai personaggi clandestini sui quali ben poco si sapeva e tranne importanti eccezioni (come il Siotto-Pintor di Tito Orrù) poco si sa. Anedda iniziò il lavoro su Vittorio Angius e pubblicò un volume frutto dei suoi studi; poi proseguì nella lettera A (quanta strada da percorrere!) e si imbatté in Asproni. Attraverso anni di paziente lavoro riportò alla luce i settanta quaderni del fondo Dolfin, diario quasi giornaliero dal 29 marzo 1855 al 25 aprile 1876, manoscritti ed appunti e un voluminoso epistolario di 600 lettere con gli uomini più rappresentativi della classe politica nazionale e regionale dell’Ottocento.

Noi non possiamo non pensare con commozione che proprio mentre usciva il 1° volume del diario, Bruno Anedda compiva la sua breve, intensa esistenza in una calda giornata dell’estate del ’74.

Giorgio Asproni è dunque uscito dalla clandestinità, ma seppure oggetto di attenzione degli studiosi della storia nazionale e regionale esso non è ancora convenientemente conosciuto come dovrebbe, avendo pesato troppo a lungo i suoi connotati di sovversivo delle istituzioni regie.

La Repubblica, la Regione, le forze politiche democratiche ed autonomistiche hanno perciò un debito da saldare nei confronti di questo uomo che con inflessibile tenacia e coerenza rappresentò le aspirazioni democratiche della Sardegna e le speranze del suo risveglio autonomistico nel quadro della battaglia repubblicana.

Ma accanto al riconoscimento che si deve al politico antesignano della lotta sardista, della quale permeò tutta la sua vita, Asproni va meditato per alcune sue intuizioni, singolari per un uomo del tempo, tali da rendere il suo pensiero modernamente vivo ed attuale, capace addirittura di rendere possibile l’interpretazione della nostra realtà d’oggi.

Credo che siano pochi coloro che, con la continuità di Asproni e per il periodo nel quale essa viene formulata, possano dimostrare di avere capito che il problema centrale dello Stato Italiano era, ed è ancora oggi, quello del meridione e delle isole. La rivoluzione sarà meridionale o non sarà, dirà Dorso un secolo dopo, e per la realizzazione di questo principio Giorgio Asproni farà convergere tutti i suoi sforzi di militante nel movimento mazziniano sia nella preparazione dell’impresa garibaldina, sia nell’azione concreta svolta ad impedire che la conquista del meridione fosse trasformata in una semplice annessione.

Perciò non ebbe dubbi nell’abbandonare Garibaldi e confortare e difendere Giuseppe Mazzini, deriso e insultato dal popolo napoletano.

Questo «dorsismo» di Asproni è inoltre evidente allorché li Deputato bittese riconosce che ogni possibilità di ribaltare il sistema moderato è assegnata ad una nuova classe dirigente, coerentemente repubblicana, per la quale si batte con tenacia ma per l’assenza della quale registra l’ineluttabilità delle sconfitte e talvolta scoramento e delusioni.

«Cerchiamo, uomini e non li troviamo, scriverà, così il popolo sardo non sa a quali capi affidarsi. Bisognerebbe che calcolasse nei giovani di vergini ispirazioni, noi siamo legna da ardere».

Asproni sarà presente, talvolta con compiti di primo piano, in tutti gli avvenimenti politico-parlamentari dal 1849 al 1876: si batterà dovunque sia necessario per le aspirazioni democratiche e rivoluzionarie ma è la Sardegna, la «cara, e dolce patria sarda», l’oggetto del suo amore sconfinato. Egli è un sardo vero, un barbaricino di taglia mezzana, un prodotto autentico del mondo dei pastori con tutta la rigidità, la severità del temperamento che quel mondo gli aveva trasfuso.

Il problema sardo è dunque in cima ai suoi pensieri e sulle forme di organizzazione della struttura statale, con riferimento alle isole, tenterà la sintesi delle scuole repubblicane, quelle di Ferrari e Cattaneo e Mazzini, come più avanti farà Arcangelo Ghisleri. Pur riconoscendo, i motivi che spingevano alla creazione dello Stato Federale ipotizzato da Ferrari, Asproni credeva con Mazzini nella necessità di un forte Governo centrale della Repubblica Italiana che assegnasse poi alle isole maggiore autonomia amministrativa. Di Cattaneo apprezzava e condivideva la concezione comunalistica dello Stato ritenendo che il Comune fosse la cellula indispensabile per la nascita dello Stato democratico.

Con Cattaneo e Ferrari ebbe in ogni caso rapporti stretti ed incontri frequenti nel corso del quali discusse a fondo l’assetto da dare allo Stato, sia nella previsione di una vittoria repubblicana, sia per elaborare le linee della riforma che la Sinistra doveva portare avanti anche nell’ambito dello Stato accentratore. Contrariamente a quanto si possa pensare, Asproni, lungi dal recepire integralmente le indicazioni dei due caposcuola federalisti fece accettare da essi l’idea che per le isole un assetto federale rigoroso, fondato cioè sul solo vincolo di unità che facesse salve le prerogative e le competenze delle Regioni-Stato avrebbe ritardato le possibilità di ripresa e di eliminazione del divario con l’Italia più fortunata.

Testimonierà tutto ciò il fatto che gli iscritti di Cattaneo sulla Sardegna furono pubblicati dopo un nutrito scambio dl opinioni con Asproni e dopo che lo stesso ebbe fornito tutta la documentazione necessaria.

D’altra parte l’elaborazione asproniana era meno astratta degli altri due pensatori, abituati a proporre la riproduzione nel nostro Paese del modello svizzero, scaturendo la sua concezione da usi esame profondo delle condizioni storiche, geografiche economiche della Sardegna e perciò non meccanicamente adatta su modelli esterni.

Ma Il grande valore della posizione di Aspronl nel movimento repubblicano è data dalla sua continua aspirazione a tentare, nei termini attraverso i quali Ghisleri la realizzerà più avanti creando un più incisivo strumento di penetrazione col PRI, la sintesi del pluralismo delle fonti della scuola repubblicana in un’organica costruzione ideologica.

Recepisce il positivismo cattaneano e le indicazioni socio-economiche del lombardo ma lo esalta e lo spinge il senso politico e il praticismo di Giuseppe Mazzini.

Tutto sommato Asproni è ancora da scoprire per chi voglia approfondire la storia dell’opposizione laica nel consolidamento dello Stato liberale e la lettura del diario, al di là dei giudizi sugli uomini, della reazione a caldo sugli avvenimenti, della minore o maggiore importanza dei personaggi che passano avanti ai lettore, rappresenta sempre una delle più straordinarie fonti di documentazione diretta della vita politica dell’800 vista da un osservatore attento e scrupoloso al limite della pignoleria.

Per i sardi Asproni rimane uno dei padri della autonomia, un punto dl riferimento vivo della storia regionale della Sardegna, una radice profonda delle aspirazioni di autogoverno, tanto più necessaria e vivificatrice oggi, nel momento in cui la delusione e l’incertezza sembrano uccidere ogni speranza.

 

Il saluto ai convegnisti del presidente regionale dell’AMI (Nuoro, 3 novembre 1979)

Io desidero esprimere, a nome dell’Associazione Mazziniana Italiana, il più caldo ringraziamento all’Istituto Superiore Etnografico ed al suo Presidente, al suo Consiglio d’Amministrazione, ma se mi consente l’antico Corrias, in via preliminare, un ringraziamento fervido al Presidente della Repubblica Sandro Pertini che con un messaggio all’Associazione Mazziniana ha concesso il suo alto patronato. Noi mazziniani esprimiamo l’augurio che da questo convegno venga rafforzata la fede negli ideali di Democrazia e Libertà che Pertini – come Asproni – ha sempre perseguito nella vita politica. Desidero aggiungere che questa iniziativa è stata varata con l’organizzazione dell’Istituto Etnografico, insieme al Centro di Studi e Documentazione regionalistica della Facoltà di Scienze Politiche di Cagliari, nelle persone di amici come i professori Contini, Sole, Orrù e loro assistenti, di tutti i professori della Facoltà di Scienze Politiche di Cagliari per i quali vorrei proporre il più largo plauso per la loro intensa opera, non solo per quanto riguarda Asproni, ma anche per quanto riguarda l’illuminazione di zone d’ombra della nostra vita, regionale.

Una iniziativa che ci ha trovato concordi come quando insieme abbiamo bandito una borsa cli studio per portare fuori dall’ombra la storia del Movimento Democratico e Repubblicano in Sardegna dal 1848 alla Repubblica.

Ma perché questa iniziativa dell’Associazione Mazziniana? Di una piccola associazione di cultura politica che vive dei mezzi propri, indipendente dai partiti, che è nata nel 1943, negli anni duri e difficili, ma esaltanti della lotta al fascismo, formata da uomini che militavano nelle brigate «Mazzini», nelle brigate «Matteotti», «Garibaldi» e «GL», che si sono contrapposti al cosiddetto repubblicanesimo della Repubblica sociale italiana e che oggi portano avanti il messaggio di quei giorni difficili, ricordare, cioè, che la nostra battaglia repubblicana non poteva essere disgiunta dalla battaglia per la libertà e per la democrazia, e quindi contro la dittatura fascista. Questa azione iniziata da Nello Meoni e da Luigi Salvatorelli, i primi presidenti di questa associazione, e da vari esponenti della cultura laica democratica si è indirizzata alla rivalutazione – come dicevo – di una cultura sconfitta, di una cultura sconfitta ma non vinta, per cui noi siamo qui ad onorarla e a ripensarla criticamente, se volete, ma a difenderla, a farne il centro delle nostre attenzioni. Una cultura sconfitta e disattesa – come ha ricordato sempre Spadolini – dalla storiografia ufficiale per il suo carattere sovversivo, una cultura che non è stata privilegiata rispetto ad altri versanti. Toglierla dalla muffa, toglierla dalla dimenticanza e riportarla alla luce, questo è il primo motivo che ci ha indotto a proporre, insieme al Centro Studi e Documentazione e all’Istituto Etnografico un discorso su Asproni; ma un discorso, se mi si consente, ed ecco il secondo motivo, che dal medaglione oleografico o dalla illustrazione declamatoria riporti ad una analisi critica e ad una collocazione precisa del ruolo di Asproni, non solo nella nostra vita regionale; ma del ruolo di Asproni come comprimario dei grandi del Risorgimento. La sua collocazione nel Partito d’Azione, la sua battaglia come fautore della nascita del movimento operaio nella nostra provincia, nella nostra Isola, i suoi rapporti con la prima Internazionale e con le società operaie che nacquero per iniziativa di Mazzini e che crearono la base della più vasta organizzazione proletaria.

Il terzo motivo: misurare Asproni con la storiografia nazionale, portare metaforicamente Asproni fuori dell’Isola alla presenza di illustri studiosi, di quelli che ci sono e di quelli che non sono potuti venire, ma che hanno intenzione di mandare comunicazioni, di organizzare altri convegni, per esempio a Genova, a Roma o a Napoli, dove Asproni fu primo meridionalista, anticipatore della grande schiera degli uomini del Mezzogiorno che contestarono la piemontesizzazione dell’Italia.

Il quarto motivo l’ha ricordato il Sindaco di Bitti, dedicare queste nostre giornate, questo nostro impegno al ricordo di Bruno Anedda, un giovane amico che ci ha lasciati troppo presto.

 

L’intervento nel dibattito (Nuoro, 4 novembre 1979)

Il dibattito, che è stato molto vivo e stimolante, merita, se è consentito ad un dilettante, qualche precisazione, specie per quanto ha detto il prof. Brigaglia nel suo intervento così interessante. Una prima è questa: «Asproni non aveva un ruolo nell’azione rivoluzionaria, non era presente nei momenti pericolosi». Io non ne sarei completamente sicuro. Si dirà: il Diario è una prova. Tuttavia, non bisogna dimenticare che il Diario fu scritto a casa, in albergo, in casa di amici, in viaggio, e la polizia – che non scherzava – poteva, sequestrandolo, trovare descritti con meticolosa pignoleria tutti gli avvenimenti di cui Asproni era stato partecipe o testimone. Poteva egli, dunque, trasferire tutta la verità nel Diario? Ne dubito. D’altra parte, e qui richiamo la testimonianza dei curatori, non sorprende che riferendosi ad anni ormai trascorsi, Asproni dichiari la sua personale partecipazione, mentre andando a rileggere il resoconto di quei giorni non esiste alcuna traccia di quanto affermato in seguito? Escludo, ad esempio, o almeno mi pare strano che nel 1857 fosse completamente estraneo alla congiura culminata nell’azione di Pisacane o addirittura non avesse rapporti con Mazzini nel pieno della rivolta genovese. Infatti, descrive con minuti particolari che Tizio o Caio (talvolta fa nomi, talaltra i nomi sono illeggibili, e talvolta parla di «uno») ha visto Mazzini e ne riferisce il pensiero. Ancora. Il 20 giugno di quell’anno scrive a Mazzini e a Jessie White da Torino, cioè pochi giorni prima della rivolta. Avverte i suoi amici che il Governo sa della insurrezione imminente e raccomanda cautela. Possibile che fosse estraneo al moto rivoluzionario? [Interruzione: «Tu non c'eri»]. Certo, io non c’ero, ma nemmeno il prof. Brigaglia, e siccome è successo altre volte, penso che il rischio di far finire tutti in mano della polizia lo abbia indotto a non dire tutta la verità.

Credo, quindi, che una riluttanza a dire tutto sia comprensibile. In ogni caso è compito degli studiosi accertare la verità e spero che il carteggio di cui ci ha parlato il prof. Brigaglia e quello del «Fondo Dolfin» e tutto quello che potrà essere scoperto ancora rappresenterà una documentazione che arricchisce un periodo molto importante della nostra vita nazionale e della nascita dello Stato unitario.

Un’altra cosa. Il prof. Brigaglia ha detto tante cose che meriterebbero una risposta o un dibattito più attento. Intanto, chiediamoci: che cosa rappresenta questo convegno? Questo: che dalla fase informativa, addirittura declamatoria, dei discorsi nella piazza del paese, dallo scoprimento delle lapidi, siamo arrivati ad una fase diversa, che è quanto io speravo, ricca di risultati e suscettibile di ulteriori ricerche ed apporti. Quindi, il bilancio – secondo me – è positivo. Cominciamo col ricordare le due splendide relazioni di Colombo e di Tramarollo, le anticipazioni e le considerazioni di Carlino Sole sul prossimo volume del Diario (il terzo della serie), le comunicazioni non pronunciate e che verranno inserite agli atti di P. C. Masini e di Girolamo Sotgiu, la raccolta epistolare di Brigaglia e Turtas cui ho accennato, la ampia esposizione di Tito Orrù sugli inediti asproniani d’interesse storico (dagli scritti di storia sarda alle ricerche su Roma antica ed in particolare alla documentazione integrativa del Diario), l’interessante comunicazione di Maria Corrias Corona e, ancora, quelle di Lorenzo Del Piano, di Domenico Selis e di Virgilio Porceddu. E infine l’apporto ulteriore di questo dibattito.

Abbiamo quindi fatto un grosso passo avanti. Finalmente il convegno ha raggiunto questo grande risultato, di fare in modo che si discuta di Asproni da un certo punto di osservazione che non sia quello dei rulli di tamburo, del suono delle fanfare, quanto è bello, quanto è bravo, quanto è grande questo personaggio e alla fine siamo tutti d’accordo, ma tutto diventa una frase fatta e sul piano della soddisfazione culturale ci lascia delusi. Bisogna fare altri convegni fuori della Sardegna, a Roma, a Genova, e soprattutto a Napoli, per portare Asproni al di là del Tirreno, tirandosi dietro anche le cose che possono urtare, che non ci son gradite, come quando annota di aver sofferto il mal di mare o di essersi rivolto alle guaritrici, o ci informa della situazione meteorologica, cose che, sostanzialmente, non riducono la reale dimensione storica dell’uomo.

Tramarollo dice che Asproni non ha l’ampiezza d’ingegno di Mazzini. Santo Dio! Ma quanti l’hanno? Asproni viene anche da una regione fra le più depresse del regno sardo-piemontese, dalla provincia di Nuoro che è ancora oggi una delle più depresse d’Italia e d’Europa. Certo era più facile avere istruzioni politiche di ampio respiro stando a Genova, tra Francesco Bartolomeo Savi e Beppe Mojon, nel cui circolo confluivano tutti i rivoluzionari; ma ecco la giusta notazione di Michelangelo Pira: «A Nuoro con chi stava? Non c’era nessuno degli amici genovesi. Parlava coi pastori, con le donnette, con i burocrati, e con essi doveva trovare un terreno su cui dialogare, con essi che erano il frutto del prepotere piemontese». Era facile a Genova discutere di democrazia, di riforme, là dove era nata una borghesia moderna e progressista. Qua, a Nuoro, doveva solo tentare di far circolare queste grandi idee nell’ambito di una depressione culturale e sociale che dura da secoli, così da avere grandi meriti, forse più alti – se mi consente Tramarollo – di Mazzini, che nasceva in una Genova già animata dalla linfa vitale della Repubblica.

Altro argomento. Non sarei così certo – come lo afferma il prof. Brigaglia – che il ruolo ricoperto da Asproni nei suoi rapporti con finanzieri del Continente e sardi, sia della stessa natura con la quale la classe politica regionale dei nostri tempi ha amministrato la Sardegna o ha ricoperto la parte del «compradore» nei rapporti con le forze economiche esterne, in termini di colonialismo. Qui bisogna ricordare subito – ecco una grande differenza – che Asproni era un uomo di opposizione, non aveva leve e strumenti di potere per combinazioni di sottogoverno e per traffici. La spinta fondamentale che lo muoveva era la stessa che rese possibile più tardi il movimento dei combattenti. La conoscenza di regioni più progredite lo spingeva anche, da una posizione di minoranza, verso le riforme della nostra società pastorale. Forse, un sentimento d’invidia verso una borghesia che qui non era ancora nata lo spingeva, dicevo, alla ricerca e ad accettare qualsiasi tipo di strumento di innovazione, ma ciò senza copertura di camorra, di mafia, di potere politico in senso deteriore.

Intanto, in questa sua azione, si richiamava ai principi dell’autogoverno, a una condizione che poteva consentire il nascere e il sorgere di energie locali.

Un’altra cosa e concludo. Si dice «Asproni non aveva armatura». La sua presenza ha avuto, allora, eredità leggibile oggi? Che cosa è stato per la nostra comunità nuorese, per noi stessi? Ecco, noi sentiamo che l’eredità di Asproni c’è stata, esiste ancora ed è grande. E per l’ennesima volta vorrei citare Michelangelo Pira. Quando la Rai mi chiese, in occasione del decennale della morte, che cosa è stato Mastino, sindaco laico di questa Città, io ho ricordato un bellissimo articolo di Michelangelo scritto per il giornale di Cesare Pirisi «Cronache Provinciali», quando Mastino abbandonò la battaglia elettorale. «Mastino – scrisse Michelangelo Pira – «rappresenta ancora nel 1960 la grande tradizione democratica di Nuoro, che ha la sua origine nel Risorgimento e che si richiama ad Asproni». Asproni è, dunque, il riferimento naturale delle radici popolari dell’autonomismo sardista, della scelta democratica, repubblicana e antifascista di una borghesia, che invece, in tutto il Mezzogiorno servì la monarchia e la reazione. Non è forse un segno della eredità di Asproni la poesia di Satta, il ricordo dei 500 cavalieri che col padre di Gonaria Pinna accompagnarono Cavallotti a Dorgali, il fiorire della poesia popolare democratica e repubblicana di Dessanay, Rubeddu ed altri? Noi siamo figli di Asproni: che lo vogliamo o no, al 20 al 50 per cento, ma egli è in noi.

Nella coscienza dei bittesi, nella coscienza dei nuoresi, nella intera comunità barbaricina, e se volete, ovunque si militi politicamente, Asproni è presente con un senso di alto rigore morale: io personalmente credo di sentirlo.

 

Giorgio Asproni e la ricerca storica (L’Unione Sarda, 13 dicembre 1979)

Uno dei principali risultati dei convegno nazionale di Studi dedicato a Giorgio Asproni e realizzato a Nuoro per la felice, insostituibile collaborazione del Centro Studi regionalistici della Facoltà di Scienze Politiche e dell’Associazione Mazziniana Italiana, è stato quello di aver finalmente esportato l’uomo politico sardo fuori dalla nostra isola per collocarlo nell’ambito più vasto della storiografia nazionale.

Pur non essendo uno specialista della materia, posso dire che si è potuto registrare, salvo qualche nota giornalistica o qualche breve cenno in riviste specializzate, un sostanziale silenzio, fino al Convegno di Nuoro, degli storici italiani su Asproni. La presenza di studiosi del valore di Giovanni Spadolini, di Arturo Colombo, di Giuseppe Tramarollo, gli annunciati convegni di Roma, di Napoli, di Genova, le comunicazioni, che saranno inserite negli atti, di Pier Carlo Masini (massimo studioso italiano del movimento bakuniniano), di Massimo Scioscioli (direttore dell’Archivio del Movimento Repubblicano) e di altri studiosi hanno consentito di inserire Asproni nel paesaggio storico del nostro Risorgimento e offerto l’occasione per aprire ad una interpretazione più articolata del personaggio che attraverso la lettura del Diario ci aiuta a giustificare e comprendere non solo la natura del rapporto tra la Sardegna e la società italiana dell’Ottocento, ma anche gli aspetti inesplorati della battaglia progressista della Sinistra repubblicana del Risorgimento.

Il secondo, importante risultato raggiunto a Nuoro concerne il modo col quale gli studiosi presenti hanno affrontato la personalità e l’azione politica asproniana, mettendo a profitto l’invito di Spadolini all’obbligo della riflessione critica, rifuggendo da toni di declamazione agiografica e celebrativa e servendo uno dei principi fondamentali della cultura democratica che vuole – costi quel che costi – la verità dei fatti e la tutela da inquinamenti della sintesi storiografica.

Ambedue i risultati possono rappresentare un riconoscimento postumo alla memoria dell’indimenticabile amico Bruno Anedda e un giusto premio per l’amore, la pazienza e l’impegno col quale Carlino Sole e Tito Orrù con i loro giovani collaboratori hanno consentito di portare luce anche in Sardegna sulla presenza degli sconfitti del Risorgimento, di coloro che la storiografia dominante ha perennemente discriminato e confinato nelle targhe delle strade, ma che senza i quali la storia regionale della Sardegna potrebbe ridursi ai prodotti delle conventicole di moderati o, peggio, ai ristretti conciliaboli di principi e baroni.

Le fatiche della Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Cagliari hanno prodotto una vastissima quantità di materiale (cui si aggiungono i documenti in possesso dell’Università di Sassari) che ha indotto una ricerca a macchia d’olio, della quale i primi frutti sono gli studi di Maria Corona Corrias (Il Matrimonio civile tra giusnaturalismo e positivismo giuridico, Asproni e Ferrari, Stato e Chiesa nella valutazione dal politici sardi), di Domenico Selis (Ulloa e i movimenti politici del Risorgimento, La Convenzione di settembre e i democratici napoletani), di Virgilio Porceddu (Il progetto di unione della Sardegna alla Francia, Le bande armate nel Logudoro, La demografia sarda nel XVIII secolo), tutti intesi a cogliere le connessioni tra la Sardegna e lo sviluppo del movimento democratico del Risorgimento e anticipatori di ulteriori, utili ricerche.

Per l’Associazione Mazziniana il Convegno ha rappresentato la riconferma dell’utilità di un indirizzo perseguito in manifestazioni consimili e diretta alla rivalutazione della storia locale e regionale come ossatura, talvolta sconosciuta ma essenziale, dei fenomeni storici più generali, con ciò condividendo quanto afferma Rosario Romeo (Storia regionale e storia nazionale in Mezzogiorno e Sicilia nel Risorgimento, 1963) e Mario del Treppo (Nord e Sud, aprile 1979) secondo cui «la Storia regionale è lo strumento più adatto per penetrare nelle falde sottostanti la superficie degli avvenimenti, dove attingere le strutture di civiltà, di costume, di mentalità».

In questa linea si muove – credo – la relazione di Carlino Sole quando sottolinea le valutazioni di Asproni sulle condizioni civili ed economiche della Sicilia e di Napoli, rendendoci un esauriente documento che precorre l’analisi dei meridionalisti classici (più vicine a Pasquale Villani che a Giustino Fortunato), pur mantenendo ancora non identificata la precisa indicazione politica asproniana rispetto alla nascente questione meridionale. Probabilmente ne sapremo di più quando leggeremo i prossimi due volumi e dell’esperienza del «Popolo d’Italia» e tuttavia è difficile condividere totalmente – per i grandi risultati ottenuti nel Convegno – i motivi per qualche verso critici emersi negli interventi di Brigaglia e Pira e lo scritto di Guido Melis in queste colonne. Non c’è dubbio che il contatto con le scienze sociali, la sociologia politica e l’impostazione moderna della ricostruzione dei fatti hanno consentito un ampio rinnovamento della storiografia politica mettendo a disposizione nuove nozioni quali il rapporto tra Intellettuali e mondo rurale, gruppi e organizzazioni del potere, sistemi e lotte sociali, tecnica del consenso, etc.

Tutte queste nuove forme di approccio al ripensamento storiografico devono essere tenute presenti affinché – come dice Galasso – gli addetti alla ricerca non finiscano per ergersi a «storiografi meschinamente eruditi, giudici istruttori per il mero controllo e accertamento dei fatti».

Ma, riconosciuti i vantaggi dell’allargarsi dell’orizzonte storiografico verso ambiti diversi, esiste pure il pericolo da un lato che la prevalenza sociologica uccida la crociana capacità di «giustificare» o «comprendere» i fatti storici e – quel che è peggio – consenta l’esercizio di una eccessiva «contemporaneizzazione» o «presentificazione» riaggregando tutto a schemi politici prefissati o ben limitati che possono portare a favorire una storia di comodo.

Su Asproni è stato detto abbastanza per aprire un dibattito, forse poco rispetto ai dati ancora in elaborazione. Saranno i prossimi incontri a dimensionare la sua azione e il suo pensiero. Ma su due aspetti il Convegno di Nuoro ha detto una parola conclusiva: il ruolo anticipatore svolto nell’ambito del movimento repubblicano e la straordinaria modernità del suo pensiero riguardo al rapporto tra Stato e Chiesa. Spadolini ha assegnato ad Asproni il primo tentativo di rappresentare nelle istituzioni parlamentari e nella stampa politica la voce dell’opposizione repubblicana senza cadere nell’«eresia» radicale e nella cristallizzazione rinunciataria di alcuni seguaci di Mazzini. Ciò che avverrà compiutamente più tardi, nel 1895, con la fondazione del Partito Repubblicano.

Una attenta rilettura di Spadolini e Colombo metterà in luce abbastanza chiaramente quanto sopra e fugherà – spero – i dubbi a riguardo di Guido Melis col quale comunque si può convenire che, con Nuoro, Asproni è finalmente un problema aperto. Per l’Associazione Mazziniana italiana e, credo, per la Facoltà di Scienze Politiche era ciò che si voleva.

 

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