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Lingua, lavoro, albo degli imam: c’è il piano per integrare i rifugiati, di Vladimiro Polchi

Posted By cubeddu On 3 novembre 2017 @ 17:11 In Blog,Persone | Comments Disabled

Nel documento del Viminale diritti e doveri per 75mila migranti in fuga dai loro Paesi. Servizio civile e borse di studio. Sì a nuove moschee, ma con risorse trasparenti

IMPARARE l’italiano, rispettare la legge, a partire dalla Costituzione, impegnarsi nella vita economica e sociale del Paese. “Diritti in cambio di doveri”. I tecnici del Viminale sintetizzano così il nuovo “Piano nazionale per l’integrazione”: “Per la prima volta l’Italia prova a dotarsi di un vero progetto d’inclusione a lungo termine, per garantire un’ordinata convivenza civile”. I destinatari? Non i cinque milioni di ‘nuovi italiani’ che vivono e lavorano oggi nel nostro Paese, ma solo i profughi. Per l’esattezza: 74.853 beneficiari di protezione internazionale, di cui 27.039 rifugiati e 47.814 titolari di protezione sussidiaria. Ossia, non i migranti economici, ma solo chi non può far ritorno nel proprio Paese d’origine senza correre gravi rischi.

Il Piano, presentato ieri al Viminale, prevede un impegno reciproco tra chi è accolto e chi accoglie. Da un lato si chiede infatti a chi ha ottenuto la protezione di imparare la lingua, condividere i valori della Costituzione, rispettare le leggi, partecipare alla vita economica, sociale e culturale del territorio. Dall’altra, chi accoglie si impegna ad assicurare ai rifugiati uguaglianza e pari dignità, libertà di religione, accesso a istruzione e formazione e una serie di interventi volti a facilitare la loro inclusione nella società e l’adesione ai suoi “valori non negoziabili”. Tra i quali il ministro dell’Interno, Marco Minniti, sottolinea la laicità dello Stato e il rispetto della donna.

Il Piano non prevede sanzioni. Nel testo si legge infatti che “il tentativo di imporre l’integrazione per via legislativa non sembra funzionale. Obbligare all’assimilazione rischia di causare processi di deculturazione degli stranieri, suscitando, soprattutto nelle seconde e nelle terze generazioni, la percezione di essere esclusi dal discorso pubblico”. Insomma: sì al “confronto aperto con le minoranze”, ma senza ordini calati dall’alto, né tantomeno sanzioni.

Il Piano, finanziato “prevalentemente dai fondi europei”, individua alcune priorità: sostegno al dialogo interreligioso, partecipazione obbligatoria ai corsi di lingua svolti nei centri di accoglienza, diritto all’istruzione (si prevedono 240 borse di studio universitarie) e alla cultura, formazione professionale, accesso al servizio sanitario e all’alloggio “includendo i titolari di protezione nei piani di emergenza abitativa regionali”, ricongiungimenti familiari, cittadinanza attiva (incentivando la partecipazione al servizio civile nazionale e al “volontariato sul territorio”), maggiori percorsi di socializzazione riservati ai minori, rafforzamento della rete dei centri per la tutela delle vittime di tratta. Non solo. Per combattere “il rischio di islamofobia”, il Piano raccomanda di “attuare il Patto nazionale per l’Islam”, attraverso la formazione degli imam e l’apertura di nuovi luoghi di culto “in condizioni di totale trasparenza dei flussi finanziari”.

E ancora: il Viminale continua a legare il tema dell’integrazione a quello della sicurezza. “Il buon esito di questo modello di integrazione – si legge infatti nella premessa al Piano – non può prescindere dalla capacità concreta di accoglienza dei territori, che non può essere illimitata. L’ingresso e la permanenza sul territorio italiano necessitano di essere inquadrati rigorosamente in una cornice di legalità, poiché è chiaro che l’afflusso massiccio irregolare di persone, e la gestione emergenziale non razionalizzata che ne deriva, si ripercuotono negativamente sulla possibilità di integrare”.

Il Piano piace all’Unhcr, che lo considera “uno strumento fondamentale per adottare azioni concrete che facilitino percorsi di inclusione sociale dei rifugiati” e il frutto “di un lavoro collettivo cui hanno

preso parte rappresentanti dei diversi ministeri interessati, degli enti locali, della società civile e delle organizzazioni internazionali. Il Piano ha inoltre raccolto la voce dei rifugiati stessi, attraverso dei focus group condotti dall’Unhcr in varie regioni d’Italia”.

Il corriere della sera, 27 settembre 2017

 

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