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Il nostro 28 aprile. Sa Die de sa Sardinia, Giacomo Meloni

Posted By cubeddu On 2 maggio 2017 @ 06:43 In Blog,Sa die de sa Sardigna | Comments Disabled


Il Consiglio Regionale con Legge Reg. le nr.44 del 14 settembre 1993 istituì la Giornata del Popolo Sardo –Sa Die de sa Sardinia – con un testo breve composto da un solo articolo diviso in quattro semplici punti:

  • Il 28 aprile è dichiarata la giornata del Popolo Sardo “Sa Die de sa Sardinia”.
  • In occasione della ricorrenza la Regione Autonoma della Sardegna organizza manifestazioni ed iniziative culturali.
  • A tal fine la Giunta Regionale approva annualmente, sentita la competente Commissione consiliare, uno specifico programma, predisposto dall’Assessore della Pubblica Istruzione anche sulla base delle iniziative indicate dagli Enti Locali ed Associazioni senza scopo di lucro.
  • Detto programma deve mirare a sviluppare la conoscenza della storia e dei valori dell’Autonomia, in particolare tra le giovani generazioni.

Sa Die dunque nasceva come una Festa di popolo e nell’intenzione del Consiglio la data del 28 Aprile era stata indicata perché fosse vissuta dai giovani ed in particolare dagli alunni delle scuole non come un semplice giorno di vacanze, ma come giorno libero dagli impegni di lavoro e di scuola da dedicare tutto alla memoria agli approfondimenti, alla celebrazione, al rivissuto storico nelle vie e nelle piazze della Sardegna come giorno del riscatto del Popolo Sardo.

I numerosi critici di quella data tentano di sminuirne il valore della ribellione popolare e riducono il 28 Aprile ad un singolo episodio seppure significativo che coincide con la sollevazione del popolo cagliaritano e la cacciata del vicerè piemontese e della sua corte. Gli storici come il compianto Tito Orrù dell’Università di Cagliari e Federico Francioni della Università di Sassari al quale quest’anno il Comitato de Sa Die ha voluto affidare la relazione durante la rievocazione storica dell’evento nel Palazzo Regio di Cagliari, hanno doverosamente reso giustizia al Triennio rivoluzionario (1793-1796 ),mettendo in luce i fatti di Ittiri, Sennori e Sorso, che insieme a quelli di Bulzi, Sedini, Nulvi, Osilo e Ploaghe nel 1793 danno la dimensione di quanto la lotta antifeudale fosse estesa in tutta la Sardegna e di come la Corte sabauda di Torino seguisse con grande preoccupazione l’evolversi delle ribellioni nei piccoli centri dell’isola.

Il salto di qualità si ebbe nel 1794 quando la protesta si fece più dura ad Oristano ed Iglesias dove la repressione dei moti popolari fu effettuata dalle truppe in armi e si procedette a numerosi arresti come a Milis, a S. Vero, a Bauladu e a Quartu. Nel volume “Dalla Guerra all’Autogoverno. La Sardegna nel 1793/94: dalla difesa armata contro i Francesi alla cacciata dei Piemontesi “ a cura degli storici Tito Orrù e  Marinella Ferrai Cocco Ortu .Ed. Congaghes 1996 vi è l’analisi puntuale e la ricostruzione storica del 28 Aprile del 1794 basata sul resoconto ufficiale della Reale Udienza di Torino. Scrive la storica Ferrai Cocco Ortu: “Gli avvenimenti cagliaritani del 28 aprile 1794, che portarono alla clamorosa espulsione dall’isola del viceré assieme agli alti funzionari piemontesi, sono peculiare espressione in Sardegna della crisi politica ed economica dell’Ancien Règime nel XVIII secolo, che aveva investito i vari Stati italiani e l’Europa tutta. In particolare, gli anni Novanta del Settecento furono caratterizzati da una crisi economico- sociale che rese ancor più esosi i gravami sulle masse popolari, soprattutto nelle campagne, dove contadini, mezzadri e fittavoli si trovavano alla mercé dei proprietari, appartenenti spesso alla ricca classe dell’aristocrazia terriera di origine feudale.”

Io stesso, approfondendo  l’argomento,  ho trovato documenti e tabelle che riportano con esattezza  le spese e la  quantità ingente di denaro che il Regno Sardo-Sabaudo impegnò  nelle campagne militari contro l’esercito e la marina francese a fine anno 1792 e per tutto il 1793 – mi riferisco in particolare  alla presenza attiva della possente  flotta francese in rada nel porto di Cagliari al comando dell’ammiraglio Laurent Jean Francois  Truguet  che per due mesi cinse  d’assedio,tentò vari sbarchi (famoso quello nella spiaggia di Quartu del 14 febbraio 1793) e cannoneggiò continuamente  la città che resistette agli assalti e fu difesa  dai miliziani  cagliaritani e dai valorosi contingenti armati giunti da tutta l’isola. Il 16 febbraio 1793 una forte tempesta coinvolse l’intera flotta francese, affondando e danneggiando molte delle sue navi che furono costrette a cercare    riparo altrove, liberando la città dall’assedio -fatto clamoroso che gli abitanti e l’Arcivescovo di Cagliari Vittorio Filippo Maria Melano attribuirono all’intercessione miracolosa di Sant’Efisio che con breve pontificio del Papa Pio VI del 31 agosto 1793 proclamò Efisio protettore dei Sardi.

Ebbene gran parte di queste ingenti spese militari furono fatte pagare in particolare ai sardi con l’aggravio delle tasse che impoverirono ulteriormente le popolazioni della città e dei paesi. “L’insieme di questi elementi – conclude la Ferrai Cocco Ortu – creò una miscela pronta ad esplodere alla minima scintilla. Un po’ dovunque infatti scoppiarono moti popolari, tumulti sommosse, sintomo del diffuso malcontento; molte di queste agitazioni rivestirono un carattere antifeudale e antibaronale.” Il 28 Aprile dunque non fu solo la ribellione del popolo cagliaritano, ma quell’episodio cittadino fu veramente il culmine dei moti popolari che si erano manifestati e diffusi in tutta la Sardegna.

Il malcontento a Cagliari era papabile ed era sentito, oltre che dagli artigiani e dagli abitanti dei quartieri popolari, in particolare dalla borghesia professionale fatta di avvocati e notai. La decisione del viceré Balbiano di far arrestare gli Avvocati Vincenzo Cabras ed Efisio Pintor,rei di fomentare il popolo e di preparare una congiura,fece divampare l’insurrezione dei quartieri popolari della città: da Stampace, Marina e Villanova venne un’unica risposta e coll’assalto al Castello, quartiere simbolo del potere  e della Corte,fu consumato l’atto di ribellione più alto perché il popolo cacciò il viceré Balbiano e la sua Corte,costringendoli con spintoni ed urla ma senza uso delle armi a salire sulle navi ancorate nel porto e a salpare verso il Piemonte con destinazione Torino.

E’ proprio un peccato che il 28 Aprile non venga più ricordato negli anni recenti, almeno fino ad oggi, con le rappresentazioni di piazza ed il coinvolgimento diretto della gente che il 28 Aprile del 1994, proprio nel rivivere quelle scene, sentiva risorgente la voglia di riscatto da tutte le oppressioni ed angherie che ancora oggi il popolo sardo subisce. C’è chi nutre  il forte  sospetto che quelle rievocazioni del 1994 ,che videro il Castello riempirsi di migliaia di persone – che gridavano a gran voce “Nara cixiri” e che sotto il balcone del Palazzo Regio vicino alla Cattedrale  sfidava le guardie perché consegnassero il vicerè nelle mani della giustizia popolare, urlando “A foras, a foras “- furono sospese perché troppo pericolose in quanto potevano creare coscienza critica e spingere ad una nuova ribellione popolare contro  le Istituzioni ed il Potere costituito della stessa Regione e dello Stato Italiano.

I sardi hanno bisogno di riappropriarsi della propria storia, facendo tesoro di quanto è loro accaduto nei secoli di denominazione e repressione coloniale. Nessuno ci può far dimenticare come i Piemontesi-Savoiardi abbiano esercitato tutti i loro poteri con la forza dell’esercito, con le inchieste poliziesche, con le carcerazioni, le torture e condanne a morte col il costante disprezzo di noi sardi e la stessa esclusione dai pubblici uffici. E quel 28 Aprile del 1794 servì anche a questo:sancire che i sardi sono in grado di esercitare la propria potestà  ad iniziare dalla presenza dei loro rappresentanti ufficiali nella Reale Udienza che da allora fu composta da magistrati locali come dal grande Giovanni Maria Angioy, figura di cui noi sardi dobbiamo andare fieri insieme a tanti patrioti che la storiografia italiana e purtroppo anche in certa misura  quella sarda soprattutto nell’insegnamento scolastico ed universitario ) ha voluto ignorare,mentre questi eroi avrebbero bisogno anche di essere celebrati visibilmente per esempio con un monumento al posto di quello vergognosamente eretto al loro persecutore Carlo Felice  e di altri Re savoiardi che dominano ancora le nostre piazze e a cui sono intitolate un gran numero di strade nelle nostre città e paesi.

Il nostro 28 aprile quest’anno 2017 ha visto in quasi  tutti i paesi  e centri della Sardegna un gran fiorire di iniziative a partire da Cagliari con la rievocazione storica nel Palazzo Regio a cura dello storico Federico Francioni dell’Università di Sassari , che nella sua relazione ha rivolto un Appello al Popolo Sardo e alla sua classe politica perché si scrolli d’addosso l’atteggiamento di sudditanza verso il Governo Italiano che spesso si comporta nelle scelte come i dominatori savoiardi con le politiche  di occupazione militare e coloniale,come le servitù militari dei poligoni di morte e le servitù di industrie  inquinanti  come il progetto di costruzione della centrale a carbone  a 400 metri dalle abitazioni di Portoscuso, l’inganno della Chimica Verde , i grandi  Inceneritori, i mega impianti fotovoltaici sulle fertili  terre dei contadini,la infamante per noi sardi fabbrica delle Bombe di Domusnovas ,ordigni micidiali che servono all’Arabia Saudita per maciullare donne,bambini e civili dello Yemen, le mancate bonifiche,tutti  temi e battaglie che stavano a cuore al grande Vincenzo Migaleddu che ci ha lasciato improvvisamente  il 9 aprile  di quest’anno e a cui rendiamo perenne omaggio.

 

 

 

 

Il 28 Aprile 2017 ha vissuto   in contemporanea la mobilitazione dei movimenti pacifisti ed indipendentisti della Sardegna che hanno manifestato davanti al Poligono interforze di Quirra per ricordarci che il 28 Aprile è terribilmente attuale e che l’occupazione militare della Sardegna deve cessare perché è una servitù coloniale che impedisce lo sviluppo dell’isola. La sera l’interessante dibattito alla Fondazione Sardegna, organizzato dal Comitato sardo d’Iniziativa Costituzionale e Statutaria con gli interventi di Paolo Maninchedda, Andrea Pubusa, Ottavio Olita che coordinava il dibattito, Tore Cherchi, Tonino Dessì e Giacomo Meloni sul tema” Sardegna: Costituzione, Statuto Speciale, Sovranità Popolare “.

Il 28 Aprile dunque, deve servire a noi sardi perché cresca in noi l’autostima, la voglia di riscatto come popolo e nazione sarda. La voglia di rinnovarci culturalmente aprendoci al mondo, ad iniziare dal vicino mondo mediterraneo con i suoi popoli e civiltà millenarie come quella sarda, pensando alla nostra identità come ad un grande orizzonte aperto ed inclusivo. Così ci ha insegnato Nereide Rudas che ci invitava a considerare le nostre radici come quelle di una quercia millenaria che si estendono sempre più lontane in cerca dell’acqua.

Esse non sono mai rigide, sclerotiche e infeconde, ma sono sempre in ricerca e crescono e si allungano perché la loro linfa è il mondo, sono le persone che ti sono vicine e quelle lontane, perché noi siamo fatti per amare e per costruire una società di persone che tendono alla felicità. L’Arcivescovo di Cagliari Arrigo Miglio, Presidente della Conferenza Episcopale Sarda di origine piemontese nella sua omelia ha parlato di orgoglio del popolo sardo e della preziosa sua identità, chiamando come ha fatto in analoghe occasioni la Sardegna “Patria Nostra “, aprendo la liturgia della S. Messa a preghiere bellissime e canti emozionanti in lingua sarda.

Ma il segno della novità ed il passaggio simbolico di testimone è stata la consegna della nostra bandiera dei quattro mori alle bambine e bambini, ai ragazzi e ragazze sardi che hanno aperto la sfilata verso il Duomo con in mano le bandiere sarde al suono delle launeddas e del canto  “Procurad’e moderare, barones sa tirannia”, segno di speranza e di un tempo benidore per tutti noi nel segno di una Sardegna di pace,di salute,di lavoro e di benessere verso una civiltà inclusiva e solidale all’insegna della fratellanza e della felicità  del nostro popolo e dei popoli di tutto il mondo.

 

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