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“Hombre y Dinero”, romanzo di Pietro Maurandi, recensione di Maria Michela Deriu

Posted By cubeddu On 8 aprile 2017 @ 15:54 In Blog,Letteratura sarda | Comments Disabled

“Quando i due ebbero ripreso la strada del Castell, il gruppo dei sicari si adunò in cerchio intorno a una roccia piatta sotto le fronde di una quercia. Chi  aveva preso la borsa aveva anche lui il viso coperto da un fazzoletto nero e lurido, inzuppato di sudore e di sangue; aprì la borsa e rovesciò sulla roccia le monete, che tutti videro luccicare al primo sole. Erano tutte d’oro, come avevano pattuito, in quelle occasioni non c’era bisogno di contarle e neanche di controllare se erano autentiche, i signori rispettavano i patti quando si trattava di ammazzarsi fra loro.”

Quando i  nobili amavano ammazzarsi  tra loro……..

Scorre a fiumi il sangue e luccica il danaro in Hombre y Dinero di Pietro Maurandi, edizioni Cuec anno 2010. L’autore ripercorre i famosi fatti realmente accaduti tra il  1665 a una sera di maggio del 1719.

Siamo nella Cagliari spagnola della seconda metà del 1600, il 24 Maggio 1665 Don Emanuele Gomez de los Cobos, Marchese di Camarassa viene nominato Vicerè succedendo al Don Bernardino Mattia di Cervellon.

Questa nuova nomina  irrita profondamente il sentimenti della nobiltà sarda che per l’ennesima volta si vede esclusa dalle alte cariche dello stato.  I feudatari sardi si sentono forti del fatto che le Cortes de Cerdena dovranno votare il donativo al Re di Spagna. Un donativo particolarmente oneroso  e di cui Madrid, a causa delle guerra con la Francia, ha particolarmente bisogno.

Gran parte della nobiltà, dell’alta borghesia e parte del clero si stringe intorno al Marchese di Laconi Don Augustin de Castelvì che si pone a capo della corrente che vorrebbe  che il re di Spagna riconoscesse alla nobiltà spagnola sardizzata importanti cariche dello stato.

Il partito così creato, assunta a premessa generale la propria fedeltà alla corona di Spagna, contestava la preclusione ai Sardi di alcune delle cariche chiave quali ad esempio quella Viceregia, la reggenza del la cancelleria, l’Arcivescovado di Cagliari e il Vescovado di Alghero.

Il Camarassa non trovò certo un clima disponibile ad accoglierlo. Poteva contare solo sull’appoggio dei funzionari spagnoli, di poche famiglie patrizie come la famiglia Alagon e dei gentiluomini al servizio del Viceré. Lo scontro “politico” ebbe modo di crescere alimentandosi di toni a tratti anche aspri per tutto il 1666. Gli Stamenti non volevano votare il donativo, il Vicerè in carica decise di rimettere la questione, tramite Don Antonio de Molina, al Reggente di Spagna e al Supremo Consiglio.

L’iniziativa del Vicerè fece sì che l’ardimentoso don Augustin de Castelvì decidesse di presentarsi di persona presso la reggenza di Madrid,nell’intento di difendere i propri interessi e quelli della fazione da lui rappresentata.

Purtroppo l’impresa  Marchese di Laconi, seppur suffragata in terra di Spagna da don Jorge de Castelvì, suo cugino, molto ben introdotto alla corte della regina, fu del tutto ignorata. Politicamente fu un autentico fallimento.

Il viceré Camarassa, nel frattempo ebbe ordini chiari da Madrid, convocò gli Stamenti e comunicò che il donativo doveva essere votato senza correzioni.

I fatti presero una piega decisamente differente la notte tra il 20 ed il 21 Giugno 1668: il Marchese di Laconi cadde colpito da alcune archibugiate e finito con un coltello presso la Calle Mayor (via la Marmora); la morte dell’ultracinquantenne  Marchese fece si che la giovanissima moglie, Donna Francisca Zatrillas,  marchesa di Sietefuentes,  diventasse vedova. La Marchesa di Castelvì  divenne così una delle donne più ricche e potenti dell’isola.

 

I seguaci della causa del Castelvì non ebbero dubbi nell’attribuire alle persone vicine al Vicerè il fatto di sangue e, secondo quanto affermano le fonti, in risposta misero in atto una congiura. Il 21 Luglio 1668 lo stesso Marchese di Camarassa fu assassinato mentre in carrozza percorreva la via dei Cavalieri (l’attuale via Canelles) di rientro dalla festa del Carmine. Dopo un veloce sopralluogo del sito le autorità individuarono nelle persone di Jacopo Artaldo di Castelvì, Marchese di Cea e cugino dell’estinto, il Marchese don Antonio Brondo, don Francesco Cao, don Francesco Portogues e Don Silvestro Aymerich i responsabili di questo secondo fatto di sangue; il periodo di confusione che seguì diede modo ai presunti colpevoli di lasciare la città.

In meno di un mese, in uno spazio molto ristretto, per ben due volte era stato versato del sangue.

Il romanzo di Maurandi riporta fedelmente la vicenda illuminandone tutti i lati oscuri, ma  non si limita ad attraversare la storia ufficiale;  la grande abilità dell’autore è quella di ricostruire la vita sociale, economica e culturale della dominazione spagnola; proprio da queste argomentazioni il racconto trae forza e avvince il lettore.

Hombre y dinero  è un romanzo corale, tanti sono i personaggi, tante sono le storie che interessano i diversi strati sociali sia di Caller che di tutta la Sardegna.

Questo realistico spaccato dell’epoca vive grazie alle voci dei protagonisti. Soffermandoci brevemente tra” i signori che ”amano ammazzarsi tra loro”:e quindi il Marchese di Castelvì, al quale si attribuiscono virtù leggendarie; il cugino Marchese di Cea, riflessivo quanto irrealistico politico; il Marchese di Camarassa, che non brilla per coraggio; Don Silvester Aymerich, presunto amante della Marchesa di Castelvi’. Tutti recitano alla perfezione il ruolo che è stato loro assegnato. Sorprendono le figura femminili : la marchesa Alagon e i suoi perfidi intrighi, la marchesa di Camarassa e la sua abilità nel governare in vece di suo marito, la fragilità e l’incertezza di Francesca Zatrillas.

Ma è soprattutto grazie ai personaggi minori che la vita sociale del tempo emerge e coinvolge con forza Il lettore. Affascinante è la figura del giudice Juan Herrera, presa in prestito dalla storia ufficiale. Don Juan è arrivato a Cagliari da Napoli per imbastire un processo che, credibile o no,  deve scardinare totalmente la tesi del primo, quello della Reale Udienza che dichiarava vincitore il partito della nobiltà sarda.

Il giudice Herrera è una figura singolare. Uomo di diritto, devoto alla Corte di Madrid, deve necessariamente leggere gli atti in modo tale da costruire un’accusa che distrugga per sempre le ambizioni dei nobili spagnoli sardizzati. Deve assolutamente organizzare  una verità  processuale utile alla reggenza.

 

Ma Juan Herrera, pur non discostandosi mai dal motivo che lo ha portato a Caller e dal servizio che deve rendere alla Corona, non procede senza valutare l’ ambiente che lo circonda. Non è certo usuale, per un uomo di quel tempo e di quel ruolo, cercare di capire le motivazioni che hanno portato lo scorrere di tanto sangue.

Il giudice Herrera ha come collaboratore Pasqual, archivista eccellente, sfuggito al destino di contadino di Villanueva. Il giovane mette tanta di quella passione nel riportare atti giuridici e voci di strada  che Herrera decide di uscire dalle mura di Castell per sentire il clima che si respira in città.

 

Dopo una serata passata in una taverna a Stampace Herrera  è sempre più confuso e a bruciapelo chiede a Pasqual:

“Come chiamereste voi quel sentimento che circola tra voi sardi? Ribellione, delusione, sfida, guerra, faida, come?”

“Disamistade, forse”

”Disamistade! Che vuol dire?”chiese don Juan.

”E’una parola sarda, deriva dall’italiano antico. vuol dire inimicizia, avversione, in Sardegna anche faida. O meglio, vuol dire il contrario di amicizia. Non c’e’ solo inimicizia in questo termine, vuol dire che l’amicizia, quella che c’era prima, ora non c’è’ più, è’ diventata altra.”

L’aristocrazia di Sardegna aveva combattuto col Re di Spagna per la conquista dell’isola, come si era trasformata ora quella amicizia?

E’ solida invece l’amicizia tra Pasqual, Raimundo ed Antonio.

Pascal come abbiamo visto è un giovane archivista molto scrupoloso.

Raimundo è quello che si definirebbe oggi uno studente fuori sede che porta dalla campagna ogni sorta di prelibatezza.

Antonio è una premonizione, ancor prima di Falcones ,  Maurandi descrive le gesta di un valoroso bastaxiu.

L’autore racconta esattamente in cosa consisteva questo antico e onorata mestiere e le vicissitudini semi manzoniane del bastaxiu Antonio.

Certamente nella vicenda la verità non ha forza alcuna.

Dice Juan Hererre:

“La verità, non è questo l’incarico che mi hanno dato. Io faccio parte dell’apparato del potere, anche se potere non ne ho; e l’obiettivo ora è di sconfiggere i ribelli. Con tutti i mezzi, anche con i processi”.

La storia non ha regole , né logica. Le vicende dopo il 1700 lo dimostrano.

Antonio e Raimundo si trovano una sera di maggio del 1719 a fare i conti col passato.

Conti che non tornano né ieri né oggi.

 

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