Quel silenzio tombale delle istituzioni sull’annessione del Veneto all’Italia, di Ernesto Galli della Loggia

A Cittadella (Padova), sventolerà il Leone di San Marco a mezz’asta, in segno di lutto..

Da sabato, a quel che riferiscono le cronache, sul municipio Cittadella, un comune poco lontano da Padova, la bandiera veneta con il leone di san Marco sventolerà a mezz’asta con il segno del lutto, a ricordo di quello che le locali autorità considerano una sciagura tra le maggiori: cioè l’unione del Veneto (nonché di Mantova e di buona parte del Friuli per la verità) all’Italia all’indomani della III guerra d’indipendenza, di cui in questi giorni ricorre per l’appunto il 150esimo anniversario. Ma non sono affatto soli il sindaco e la giunta di Cittadella. In tutto il Veneto, infatti, questo anniversario è accolto da un silenzio tombale che vuole essere di denuncia e di mestizia: nessuna commemorazione ufficiale, nessuna iniziativa pubblica, nessuna manifestazione di alcun tipo. Assenti anche le istituzioni culturali, a cominciare da quella Università di Padova che pure tante pagine ha scritto nella storia del patriottismo italiano. Attilio ed Emilio Bandiera, Daniele Manin e le altre centinaia di poveri veneti illusi che sopportarono il carcere, l’esilio e si giocarono la pelle per l’unità e la libertà d’Italia se ne facciano una ragione, insomma: di loro e di quelle vecchie storie i loro successori non ne vogliono sapere più niente.

Che tutto ciò corrisponda al reale sentimento della gente che abita tra il Mincio e l’Isonzo, è tutto da dimostrare, e c’è da dubitarne assai. Di sicuro corrisponde a qualcos’altro, invece. Alla sgangherata demagogia doppiogiochista della Lega (che fa la «veneta» in Veneto ma vorrebbe essere «nazionale» a sud del Po), e dall’altro al conformismo politico e alla fragilità ideale di tutti gli altri attori della scena politica locale, i quali da tempo si arrendono senza fiatare al ricatto leghista. Dal Pd, che — in questo caso con la lodevole eccezione del sindaco di Treviso — sembra ancora troppo spesso ammaliato dalle fole del «federalismo» anti-italiano , ai partiti della Destra, rovinosamente inerti e paralizzati come sempre di fronte ai berci di Salvini e ai favorucci di Zaia. Ma anche a Roma, per la verità, lo Stato nazionale non sembra stare a cuore più di tanto, se è vero, come è vero, che le distratte autorità centrali della Repubblica (a cominciare dal Ministero dell’istruzione o dalla Presidenza del Consiglio ) si sono ben guardate dal rompere il silenzio tombale di Venezia e dintorni. Eppure sarebbe bastato poco, sarebbe bastato un segnale: chessò riunire il Consiglio dei ministri, per una volta, nella città della laguna. Alla fin fine qualche italiano è rimasto che vuole continuare a sentirsi innanzi tutto tale.

 

Il corriere della sera, 20 ottobre 2016

 

Condividi su:

    Comments are closed.