Io e Berlusconi, vi racconto l’imprenditore che voleva sedurre e comandare, di EUGENIO SCALFARI

Il racconto del fondatore di Repubblica sul rapporto personale con l’ex premier che oggi compie 80 anni. La tv, la guerra di Segrate: gli incontri privati fino alla discesa in politica.

 

 

OGGI, 29 settembre, Silvio Berlusconi compie 80 anni. Dovrei fargli gli auguri e infatti glieli faccio anche se non ci parliamo più dal 1994, quando lui diventò presidente del Consiglio, cioè da 22 anni.

Sull’ultimo numero dell’Espresso Ezio Mauro ha raccontato la battaglia politica che si è svolta tra la Repubblica ed il suo partito, cioè con lui, perché il suo partito di fatto non è mai esistito. Ha anche elencato le dieci domande che a suo tempo gli fece Giuseppe D’Avanzo dalle nostre pagine e ne ha aggiunta una, l’ultima: “Cavaliere, ne valeva la pena?”.

    Per quanto mi riguarda ho deciso di raccontare i miei rapporti personali con lui. Furono interessanti ed anche divertenti. Cominciarono nel 1979. Repubblica esisteva già da tre anni e le sue vendite avevano quasi raggiunto quelle del Corriere della Sera.

    L’anno dopo le superarono. La Mondadori, allora di proprietà della famiglia di Arnoldo, condivideva con il nostro gruppo dell’”Espresso” le azioni del nuovo giornale con un rapporto del 50 per cento e in più noi avevamo la partecipazione dell’11 per cento nella società di Rete 4, la televisione mondadoriana.

    Questi preliminari sono forse un po’ noiosi ma indispensabili per dare inizio al racconto con Silvio: lui e il suo amico quasi d’infanzia Fedele Confalonieri da un lato, Carlo Caracciolo ed io dall’altro.

    Rete 4 andava male e la Mondadori aveva deciso di venderla al solo acquirente possibile che era appunto Berlusconi. Carlo Caracciolo ed io fummo incaricati di trattare la vendita. Berlusconi ne fu informato e ci invitò a cena ad Arcore e fu quello l’inizio non dico di un’amicizia ma di una conoscenza che col passare dei giorni e dei mesi diventò molto cordiale. Del resto il carattere di Silvio era fatto così: voleva piacere, voleva sedurre, voleva comandare ed essere ammirato; in compenso offriva amicizia e se necessario anche denaro e potere.

    Arcore l’aveva comprata dalla famiglia Casati. Il corpo centrale era tipico d’una famiglia nobile come i Casati: ampio ingresso, salotti e sala da pranzo con antica mobilia, caminetti, quadri antichi alle pareti, e lì fummo ricevuti e cenammo. Ma poi la villa continuava con una casa nuova costruita da Berlusconi e grande il doppio di quella antica. Era ovale e percorribile in un ampio corridoio che da un lato dava sull’esterno e dall’altro su una fila di stanze adibite agli usi più vari. La visita cominciò.

    La prima stanza era una palestra molto grande e piena di attrezzi, le pertiche, le funi, le parallele, cavalli da ginnastica, le reti verticali, il ring della boxe. Insomma tutto. Mancavano soltanto il tennis e la piscina, che erano stati costruiti a poca distanza dalla villa circondata da prati con alberi di faggio. Lui era un cicerone che illustra. “Voi praticate qualche sport?” ci chiese. Caracciolo non ne praticava alcuno. Io dissi il nuoto l’estate e il calcio con i redattori del giornale e con i redattori di Panorama e delle riviste Mondadori.

    “Lo sport – disse lui – è una perdita di tempo, ti stanca e non serve a niente, ma se sei proprietario di palestre pubbliche, campi sportivi, squadre che emergono nel calcio o nel rugby, allora servono molto, ti danno notorietà ed anche profitto. Da questo punto di vista è un’attività importante”. Gli domandammo se lui avesse qualche cosa del genere e rispose: “Ancora no, ma ci sto pensando. L’Inter ed il Milan sarebbero l’ideale”.

    Le stanze seguenti erano tutt’altra cosa: le pareti erano tappezzate di televisioni di tutta Europa: spagnole, francesi, tedesche, inglesi, olandesi e naturalmente italiane. Al centro della parete con una grandezza doppia delle altre c’era la sua, mi pare si chiamasse Telemilano che poi diventò Canale 5. Il nostro cicerone illustrò l’argomento per almeno un quarto d’ora.

    Seguirono molte altre stanze e stanzoni e a un certo punto all’esterno vedemmo un ampio giardino con una serie di tombe di marmo distribuite tra alberi e siepi fiorite. “È il mio cimitero di famiglia” la voce era diventata più bassa e malinconica, lui è molto bravo a cambiare voce secondo le circostanze in cui si trova. “Qui sarò sepolto io e la mia famiglia. Ed anche qualche amico se lo vorrà. Fedele ancora non ha deciso, ma io spero mi dica di sì, siamo amici fin da bambini, lui è un uomo d’affari quanto me ma anche un grande musicista del Conservatorio. Hai deciso Fedele? Tu e tua moglie”.

    “Ancora non ho deciso, ma lasciami il tempo, spero non sia un fatto imminente”. “Hai ragione ma alla fine starai qui con me, io lo so” poi si voltò verso Caracciolo: “Carlo, se vuoi una di queste tombe io sarò molto lieto”. “Ti ringrazio ma noi Caracciolo siamo una famiglia nobile e abbiamo le tombe a Napoli”.

    La camminata continuò e alla fine arrivammo alla stanza da letto. Aveva una porta d’uscita indipendente e un arredo tipico di una garçonnière. Lui ne era molto soddisfatto. Aveva una casa anche a Milano ma spesso era ad Arcore, il suo sito preferito. “Eugenio vive a Roma, ma tu Carlo? Ti do la chiave e vieni quando ti pare”, “Silvio io abito a Milano e vivo solo”.

    Infine entrammo nella sala di musica. C’era un bel pianoforte a coda e ci disse che era il pianoforte di Toscanini. “Volete che Fedele vi suoni qualche cosa?”. Io risposi che l’avrei molto gradito, Carlo si sdraiò su un divano, era stanco e si addormentò alle prime note. Chiesi la “Rapsodia in blu” e Fedele a memoria suonò per mezz’ora benissimo. Alla fine ci alzammo per andarcene ma Silvio ci disse che voleva farci sentire le sue canzoni, o almeno quelle che più di frequente suona e canta. Naturalmente fummo costretti a risederci e lui cantò “Stormy Weather”, “Polvere di stelle”, “Milord”, “Parlami d’amore Mariù” e qualche altra che non ricordo. E così finì la serata. Avremmo dovuto parlare di Rete 4 ma “gli affari si rimandano. Prima si diventa amici e noi mi pare che siamo sulla buona strada”.

    ***

    I contatti durarono a lungo, l’affare Rete 4 fu concluso. Ci vedevamo spesso finché lui cominciò ad occuparsi di politica. Per metà diventò socialista (craxiano ovviamente) e fu lui ad inventare lo slogan “Milano da bere”. Per l’altra metà diventò democratico cristiano, vicino ad Andreotti e a Forlani. Questo triplice sodalizio si chiamò con le tre iniziali CAF. De Mita naturalmente era detestato dai tre del CAF e da Berlusconi, il quale serviva ai tre del CAF e loro servivano a lui. E fu poi quel quadrilatero a rompere il monopolio della Rai. Nel frattempo accadde che Indro Montanelli ruppe con il Corriere della Sera e fondò Il Giornale ma i soldi non li aveva e fu Berlusconi a fornirglieli, prima senza apparire, ma poi diventando scopertamente l’editore.

    Il Giornale cominciò a sostenere la destra o meglio la destra berlusconiana diffondendo anche qualche notizia del tutto falsa nei confronti degli avversari politici di Berlusconi e quindi anche nei nostri confronti. A mia volta scrissi il 13 gennaio 1990 un articolo diventato celebre per via del titolo tratto dal libretto dell’Opera da tre soldi scritto da Bertolt Brecht: “L’ultima minaccia di Mackie Messer”. Poi Berlusconi si presentò alle elezioni del ’94 ed io scrissi un altro articolo il 22 gennaio 1994 intitolato “Scende in campo il ragazzo coccodè” preso da una celebre trasmissione di Renzo Arbore. Lì però sbagliai: non era affatto il ragazzo coccodè e ce lo ritrovammo sul gobbo per vent’anni e ancora non è finito.

    Debbo dire che invecchiando è migliorato, l’età porta guai ma anche qualche prestigio. Non ho qui parlato della “guerra di Segrate” quando lui cercò di impossessarsi di Repubblica ma per fortuna non ci riuscì, pur avendo comprato un giudice della Corte d’appello di Roma che fu scoperto e si rifugiò nello studio di Previti.

    Ma durante la “guerra di Segrate” ci fu un particolare divertente. Ciarrapico, molto amico di Andreotti, era stato scelto come mediatore e dopo sette mesi riuscì faticosamente a trovare l’accordo tra il nostro gruppo, rappresentato da Carlo De Benedetti, e Berlusconi. L’accordo doveva essere reso pubblico un certo giorno ma scoppiò il caso delle spese legali, che ammontavano a 50 milioni in lire. Ciarrapico risultava introvabile, per riposarsi era andato con una ragazza in un hotel. Caracciolo aveva cercato di far intervenire direttamente De Benedetti, ottenendone peraltro un rifiuto perché era evidente che le spese legali non toccasse pagarle a chi aveva vinto la contesa ma a chi l’aveva persa, ed era Berlusconi. Il quale tuttavia rifiutava in modo assoluto e diceva che semmai sarebbe nata una crisi legale per vedere chi dovesse pagare.

    A quel punto dovetti intervenire io e dopo molti suoi rifiuti riuscii a persuaderlo promettendogli e dandogli la mia parola d’onore che se lui accettava di pagare le spese legali io l’avrei trattato d’ora in avanti come un socio cioè eventuali notizie che lo riguardassero sarebbero state anzitutto rese note a lui che ne dava la sua interpretazione dopodiché l’inchiesta sarebbe andata avanti come sempre accade in tutti i giornali. Lui ci pensò qualche minuto e alla fine mi disse che accettava e il mio impegno durò fino a quando divenne presidente del Consiglio.

    Da quel momento non l’ho più visto né sentito.

    LA REPUBBLICA, 29 settembre 2016

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