- Fondazione Sardinia - http://www.fondazionesardinia.eu/ita -

L’origine dei Giudicati sardi, di Raimondo Carta Raspi

Posted By cubeddu On 7 novembre 2015 @ 07:15 In Blog,Istituzioni sarde,Storia della Sardegna | Comments Disabled

Sommario: 1. La scarsità delle fonti. 2. Quando sorsero i Giudicati. 3. Chi istituì i Giudicati: i Sardi. 4. La formazione dei Giudicati. 5. La scomparsa dei Barbaricini come comunità organizzate e indipendenti. 6. Perché quattro Giudicati. NOTIZIE SULL’AUTORE.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

n°6. documenti politici su SARDEGNA e … dintorni. Ogni sabato questo sito mette a disposizione documenti del presente e del  passato utili per l’operosa attività politica dell’oggi.

1. La scarsità delle fonti.

Per un intiero millennio, dai tempi d’Augusto all’ultima spedì­zione .araba di Mugahid (1015), della Sardegna non si ha ricordo piu di una o due volte in ciascun secolo – e in alcuni se ne tace completamente – con l’unica eccezione del periodo bizantino in cui le lettere di Gregorio Magno valgono a gettare un po’ di luce sulla regione dimenticata.

Appunto perciò, lo storico che rievoca cosi lungo spazio di tem­po non puo essere un brillante narratore, né un pittore che lumeggi Il vasto quadro con forti pennellate descrittive. Le molte lacune possono venire colmate solo dall’opera paziente e nello stesso tempo accorta e geniale del restauratore. Lavoro tuttavia assai più arduo di quanto si possa pensare, anche perché prima di procedere alla ricostruzione è indispensabile rimuovere tutte le incrostazioni dovute a mistificazioni o a mani esperte ma frettolose o arbitrarie. Questo avvertiamo, poiché è proprio quello che dobbiamo fare prima di procedere oltre.

Quando e come ebbe origine lo Stato giudicale che conosciamo nelle fonti dirette della fine dell’XI secolo, allorché ha raggiunto la maturItà e ormai si avvia al declino ma per forze che premono dalI esterno, lo abbiamo detto ma occorre ancora insistervì, Su due problemi, effettivamente della massima importanza per la storia della Sardegna, è stato richiamato l’interesse degli studiosi: la costruzione e la funzione dei nuraghi e l’origine e la costituzione dei giudicati. Su entrambe le questioni sono stati scritti opuscoli e libri di vana mole e importanza, talvolta per esporvi ipotesi cervellotiche, altra per prospettarne con molta perizia e dottrina la soluzione, però su basi troppo fragili.

Abbiamo forse risolto il primo problema, sull’origine e lo svi­luppo dei nuraghi. E il secondo è infinitamente più semplice: tanto che in principio ci apparve sorprendente che gli storici che ci hanno preceduto potessero escogitare tutte le soluzioni all’in­fuori di quella che pure era evidente e, possiamo dire, a portata di mano. Solo in seguito ci fu dato di capire che ai medievalisti che si occuparono della questione cosi fondamentale sfuggì la solu­zione solo perché, trattando della storia medievale della Sardegna, non approfondirono prima quella dei secoli precedenti in cui eb­bero tanta parte le città-stato dalle quali sorsero nel VII secolo i Giudicati di Torres e di Gallura, d’Arborea e di Cagliari; i quali ­altro non furono, prima e dopo il Mille, che le stesse città-stato superstiti del mondo antico.

Ignorando la storia antica della Sardegna – che non è costituita, come è stato appreso fino all’opera del Pais, dal succedersi di guerre e di consoli e di pretori, ciò che riguarda più propriamente la storia di Roma – era naturale la domanda che si sono posti tutti gli studiosi: come e quando si formarono i quattro Giudi­cati in cui troviamo divisa la Sardegna subito -dopo il Mille?

 

2. Quando sorsero i Giudicati.

 

Sorsero indubbiamente tra il VII secolo, nel quale abbiamo ancora traccia di una signoria bizantina, per quanto ormai nominale, e i primi decenni dell’XI secolo. Vale a dire, nello spazio dei tre se­coli in cui la Sardegna, dopo aver perduto il contatto con Bisanzio, subì le incursioni arabe (VIII-X secolo), e quindi, dopo l’ultima incursione (1015) venne a contatto con Genova e Pisa e subito dopo con la Chiesa. Entro questo spazio di tempo, l’origine dei Giudicati venne perciò attribuita ai Bizantini o agli Arabi o alle due repubbli­che marinare. o alla Chiesa; a tutti, beninteso, fuorché agli stessi Sardi, ai quali, è evidente, non poteva riconoscersi la capacità di darsi leggi e un governo proprio se non prendendo tutto a pre­stito da altri modelli o con magistrati stranieri.

Non vi è nulla di straordinario che cronisti pisani e genovesi, molto più tardi e cioè quando Genova e Pisa, dopo aver fatto del loro meglio per sfruttarla, cercarono di escludersene a vicenda e di impadronirsene, inventassero ridicole favole, attribuendo ora al­l’una ora all’altra repubblica il merito di aver sottratto la Sardegna agli Arabi; e neppure possiamo stupire che poi la Chiesa abbia rivendicato, su false donazioni, il possesso. dell’isola. Tutte queste frottole e leggende, accreditate per molto tempo dal dilettantismo storico, furono disfatte come neve al sole allorché vennero vagliate             dalla critica.            .

 

Come avrebbero potuto istituire i Giudicati già prima del Mil­le i Pisani e i Genovesi che rivolsero il loro interesse alla Sardegna e ai suoi prodotti solo quando il Mediterraneo occidentale divenne piu sicuro e poterono allontanarsi dalle proprie coste in cerca di commerci? Anche la Chiesa ignorò la Sardegna finché questa ri­mase alla mercé degli Arabi, che la tenevano prigioniera in un mare musulmano, e ne reclamò la sovranità alla fine dell’XI secolo, quando si diffondeva la notizia della sua ricchezza agricola e armen­tizia, e la brama dei pontefici era acuita dagli appetiti dei principi e dei baroni che ne chiedevano l’infeudazione.

 

3. Chi istituì i Giudicati: i Sardi.

 

Solo il Manno, poi seguito dal Tola e da altri, aveva affacciato l’ìpotesì che potessero essere gli stessi Sardi, pressati dalle necessità contingenti, ad aver istituito i governi giudicali. L’imperioso bi­sogno di organizzare la difesa dagli Arabi sarebbe stato motivo della quadripartizione in Stati indipendenti. Ma il Manno, come in molte altre occasioni, dopo aver accennato a un’ipotesi talvolta felice, non seppe confortarla in alcun modo e dimostrò anzi di non aver afferrato la realtà storica. Infatti i Sardi di quei decenni non ebbero alcuna cosa da innovare, creando dal nulla i Giudicati la cui orga­nizzazione, pur nella semplicità democratica, rivela una maturità raggiunta nel corso di molti secoli.

 

In questo errore e nella stessa direzione si spinsero gli storici dei primi decenni di questo secolo, fra i quali emersero il Besta, e, ingegnoso quanto superficiale, il Solmi. Anche per questi, i Giudicati sarebbero sorti ex novo nei secoli delle incursioni arabe, e, come aveva supposto il Manna, ad opera di « uomini dalla loro reputazione o dalla loro fortuna innalzati già a tal grado che il passo al supremo potere fu per essi .assai breve». Ciò che il Manno aveva intravisto appena sfiorandolo, il Besta e il Solmi, special­mente il primo agguerrito di erudizione e dalle diligenti indagini, svilupparono con acume immaginoso ricostruendo il lungo pe­riodo di formazione dei Giudicati dalla magistratura bizantina all’autonomia dei Giudici.

 

Per entrambi questi storici del Diritto, i quattro Giudicati sarebbero sorti nell’isola « per diretta e spontanea propaggìne della magistratura bizantina» (Solmi). Necessità amministrative e di difesa avrebbero spinto l’alto ufficiale bizantino, l’Arconte, che dall’Impero non dipendevapìù che di nome, a inviare tre funziona­ri, probabilmente tre membri: della stessa famiglia dell’Arconte (La­con o Lacon-Gunale) nei territori che per ragioni storiche e geogra­fiche facevano capo a Tarros (Arborea), a Turris (Torres o Logudo­ro), a Civita (Gallura) e conservando per sé il Cagliaritano. In un periodo di poco posteriore, questi funzionari si sarebbero svincolati dalla soggezione all’Arconte, insignorendosi del territorio a loro af­fidato e intitolandosi Giudici, cosi come quello di Cagliari. I Lacon cagliaritani sarebbero stati gli Arconti che si distaccarono da Bi­sanzio proclamandosi indipendenti. Ouanto sia fragile la tesi lo dimostra il fatto che il cognome è sardo: il CDS del Tola ne è dis­seminato, portato da Giudici e Maìorali, da, liberi e servi: Lacon, Lacunu, Laconi, Lagunuecc. e il significato toponimo non è diverso dagli altri cognomi di Giudici e Maìorali: Zori, Gunale, Sogostos, Orvu, Cherchi, ecc. che sono altrettanto sardi. Anche tutti i nomi dei Giudici – ai quali già abbiamo accennato – sono esclusivamente sardi: Orzocco, Torbeno, Gonnario, Barisone, ecc. Tutta l’onoma­stica dei Giudici sardi è estranea a quella bizantina, non solo, anche a quellapseudo-bizantina delle province d’Italia. Il Besta e il Solmi non ignoravano che se gli Arconti fossero stati d’origine bi­zantina, si sarebbero chiamati Basilio, Teofilato, Teodosio, Ste­fano ecc.

La ricostruzione del Besta e del Solmi, presentata nell’apparenza con solide basi e armonica nei particolari, apparve finalmente come definitiva soluzione all’intricata questione che aveva affaticato tanti altri studiosi e da tutti venne accolta senza ulteriori discus­sioni.

Ma la storia della Sardegna, che mal sopporta i raffronti e i cal­chi di altre regioni, non poteva essere ricostruita e interpretata en­tro schemi preconcetti, che, quanto più sapientemente disposti e intessuti, meno si prestano ad accogliere dati e fatti altrimenti sem­plici, regolari e originali.

4. La formazione dei Giudicati.

I Giudicati sorsero spontaneamente e dìrettamente dalle città­ stato superstiti le cui istituzioni furono le stesse che ritroveremo nell’ordinamento giudicale. E’ dal magistrato supremo che prende nome la forma di governo e cioè dal Giudice, che già era a capo dell’ordinamento cittadino nelle città-stato della Sardegna antica. Giudice, Sufeto e Arconte, come abbiamo detto in precedenza, erano lo stesso magistrato espresso nelle diverse lingue e che ab­biamo conosciuto o ritroveremo nel governo cittadino di Cagliari, non altrimenti che nelle altre città superstiti.

Il solo mutamento notevole che possiamo riscontrare non è isti­tuzionale bensì territoriale. Qualunque altra trasformazione non può essere ricercata nei secoli in cui le città-stato riconquistarono l’indipendenza dell’isola e vi estesero il governo. Ce ne renderemo conto infatti solo in ultimo, col sussidio delle fonti che mostrano il corso dell’evoluzione dal Giudicato al Principato: sono gli ultimi decenni di vita dei Giudicati di Torres, di Cagliari e di Gallura, che crollarono non tanto per estrema vecchiezza quanto per aver ceduto al contatto col nuovo mondo politico e sociale dell’Europa continentale.

Più volte è stata affacciata la domanda se prima della nota ripar­tizione i Giudicati poterono essere più di quattro o con minore pro­babilità in numero inferiore. Non siamo in grado di rispondervi e prima di tutto perché non sappiamo quali altre città-stato fos­sero in vita nel VII-VIII secolo oltre quelle di Tarros,di Cagliari, di Torres e di Olbia che costituirono i Giudicati che conosciamo. Se vi è qualche probabilità per Solki – ne diremo i motivi – ve ne sono poche per le altre; nulla sappiamo inoltre della sopravvivenza di altri centri all’interno i cui ordinamenti non appare inoltre che fos­sero di città autonome. In secondo luogo, seppure altre città-stato rimasero in piedi nei secoli VII-VIII, possiamo essere sicuri che vennero incorporate nei quattro Giudicati d’Arborea, di Cagliari, di Torres e di Civita (Olbia); questo sembrerebbe anzi verosimile per Solki, con un’autonomia di cui ignoriamo l’estensione.

 

5. La scomparsa dei Barbaricini come comunità organizzate e indipendenti.

La trasformazione di stati cittadini in stati regionali di Torres, Olbia, Tarros e Cagliari, ha in sé tra gli altri un problema da nessu­no finora neppure formulato: la scomparsa dei Barbaricini come co-, munità organizzate e indipendenti. Nella quadripartizione che conosceremo dopo il Mille, i territori delle attuali Barbagie facevano parte del Giudicato d’Arborea e di quello di Cagliari; ma la Barba­ria dei Sardi Pelliti, lo sappiamo, abbracciava un territorio molto più  esteso, a occidente e a nord, si che nella quadripartizione ebbero parte anche i Giudicati di Torres e di Gallura.

Come possiamo spiegare questo smembramento? Certamente non con la forza. Abbiamo visto che in ogni tempo questi Nuraghici rimasero liberi da ogni soggezione; e nelle ultime fonti a noi note prima che la marea araba dilagasse nel Mediterraneo occidentale, mentre le città erano ancora soggette alla dominazione straniera, i Barbaricini continuavano a combattere mantenendo la loro indi­pendenza, e, ciò che più conta, erano organizzati e guidati da un grande capo. Ora, per quanto le ipotesi siano consentite fino all’in­verosimile, non essendo impugnabili, nessuno può supporre che i Bizantini, proprio negli ultimi decenni del loro traballante dominio; potessero riuscire in ciò in cui nel corso di vari secolifallirono le numerose legioni romane. Non abbiamo perciò neppure il minimo dubbio che, allorché in un modo o in un altro ebbe fine la domina­zione bizantina, i Barbaricini .erano liberi e più che mai agguerriti; tutto fa credere inoltre ch’essi non furono estranei alle ultime vi” cende che si conclusero con l’abbandono della Sardegna da’ parte del governo bizantino.

Il problema si pone perciò subito dopo, quando le città supersti­ti, riacquistata l’indipendenza e consolidatesi all’interno e nel loro retroterra con gli ordinamenti politici è sociali di città-stato, esten­dono i territori a tutta l’isola, incorporando in tal modo le regioni occupate dai Barbaricini. E le soluzioni sono due: o vi riuscirono con le armi, oppure pacificamente, con un accordo; ma la prima non è neppure verosimile.

Purtroppo ci mancano gli elementi per capire in che modo poté manifestarsi questo accordo. Fin dagli anni in cui la Sardegna, coll’XI secolo, ritorna in luce, non troviamo alcuna distinzione fra gli abitanti dei territori d’uno stesso Giudicato. Ma non dovette trattarsi solo di parità di diritto fra le popolazioni dei territori delle città e di quelli barbaricini. L’accordo dovette concretarsi anche con la diretta partecipazione al governo dei Barbaricini, coi loro capi, e, naturalmente, col popolo attraverso le assemblee locali e generali. Forse un indizio della partecipazione dei capi bar­baricini ai governi giudicali possiamo scorgerlo nell’alternarsi in Cagliari, ancora nel XII secolo, dei Lacon e degli Unale (Ugunalì, . Gunale) come pure dei nomi dei precedenti Giudici che già conoscìamo nelle iscrizioni greche: Torchitorio e Salusio, anche seIl nome personale è diverso come vediamo in: «Ego Iudex Torchitor de Lacono, qui proprio nomine Marianus vocor » (COS,. XII, 6). Alcune famiglie maiorali che conosciamo nei quattro’ Giudicati sembrano d’origine barbaricina, e, senz’ombra di dubbio, lo fu quella dei Lacon (Lacono, Laconi, ecc.). Lo dice lo stesso nome, che, come gli altri: gli Zori, i Serra, i Gunale, i Salanis, i gostos, ecc. è di derivazione toponima; assumono cioè n casato

dal paese o dalla regione d’origine.

 

Nel Giudicato di Cagliari, inoltre, troviamo Logu Salbadori, che nelle iscrizioni greche è detto Protospatario, vale a dire la prima spada, comandante delle forze armate; e questo dovette essere uno dei successori di Ospitone, probabilmente dagli anni in cui Cagliari fu assediata dai Longobardi e nei tre secoli delle incursioni arabe. Ancora fino al XIII secolo, il vecchio territorio della città, che in alcuni documenti, anziché del Campidano è detto ancora nell’antico significato curatoria di « Civita », cioè della città, risulta affidato al Logu Salbadori. Fu allora in senso amministrativo, mentre in passato aveva indubbiamente carattere militare: le truppe che vi stanziavano agli ordini del Logu Salbadori dovevano provvedere alla difesa della città e del suo territorio. Poiché nel timore d’un ritorno bizantino o quando cominciarono gli assalti degli Arabi, erano le città e il loro retroterra i punti vulnerabili da difendere, è in essi che venivano disposte le truppe; altrove, tanto piti all’interno, sarebbe stato impossibile e anche inutile.

 

6. Perché quattro giudicati.

 

La quadripartizione che troviamo compiuta nell’XI e XII secolo è di data ormai molto remota e dev’essere considerata come il risultato di un accordo oltre che coi Barbaricini, fra Olbia, Torres, Cagliari e Tarros. I confini dei Giudicati che conosceremo in segui­to attraverso la delimitazione dei territori delle curatorie, sono costituiti infatti dal punto d’incontro di un’irradiazione a ventaglio dell’antico retroterra di queste quattro città. La maggiore esten­sione acquisita è la parte spettante a ciascuna città per l’accordo intervenuto e tutto il territorio dello stato verrà chiamato appunto « Iocu» o «parte », con questo secondo termine designandolo ri­spetto agli altri tre: Parte de Karalis, Parte de Arborea, ecc.: e parte saranno dette anche le curatorie; mentre locu si riferiva al territorio e alla comunità insieme, e cioè nel sensò pieno dello sta­to: locu de Torres (Locudoro = Locu de ore = Locu de (T)’ore); « totu su locu» (l’intera popolazione), «Carta de Logu » (Leggi del Luogo; sottinteso: n luogo d’Arborea).

 

Ancora nei secoli dopo il Mille lo Stato Giudicale non era che la città-stato con un più vasto territorio; e per antonomasia Olbia aveva perduto perfino n nome per chiamarsi senz’altro« la città », Civita. Anche n retroterra di Cagliari era detto «de Civita », tro­viamo pure «sanctu Sadurru de Civita» (e de Giida, de Chiida­Chitade), curatoria de Civita, della città (di Cagliari). Ouest’ul­tima era pur detta « de Campitanu » e con la stessa denominazione troviamo anche il retroterradi Tarros, ciò che fa pensare a Un signi­ficato del termine che ci sfugge.

Mentre il Giudicato turritano prendeva nome esclusivamente dalla città (de Ioco qui dicitur ore; de Loco qui dicitur Turri), quello di Olbia aveva assunto il nome del maggior territorio occupato che a nord si estendeva fino al Fretum Gallicum e a sud fino all’in­circa alla regione un tempo abitata dalle tribù nuragiche dei Gal. lilenses, nome rimasto ancora in periodo aragonese alla curatoria di Guallil. Il Giudicato di Cagliari era pure chiamato « de Pluminis », interpretato con « dai molti fiumi », spiegazione che non convince del tutto. Tanto meno possiamo convenire nel vedere in « de Pìsco­biu » un « Episcopus », nome che aveva il Giudicato di Tarros oltre a quello d’Arborea; che significato avrebbe avuto in questo senso? « Piscobiu » deriva da « pische » = pesce, pescare, per l’immensa quantità che se ne pescava negli stagni-peschiere ‘comunicanti col golfo d’Oristano. Anche l’etimologia di Arborea da arbor è errata. Anzitutto, l’antico nome Arbarea si ritrova ancora nel XIV secolo nel codice rurale di Mariano: « Iughi d’Arbaree» e nella Carta de Logu: «Iuyghi d’Arbare» (in precedenza: «vice comes de Bassu et iudice et rege de Arbaree ») e deriva da arba, acqua sal. mastra stagnante (come acqua « agreste ») e questo nome fu assunto dal Giudicato dopo che da Tarros il governo cittadino si era trasfe­rito in Aristanis (Arestanni, Aurestannì ecc.) la cui radice ha 10 stesso significato di Arbarea.

 

Il maggior territorio annesso al retroterra cittadino non ha un nome specifico, e, come per tutti gli ordinamenti che vi sono intro­dotti, viene ripetuta la terminologia’ ch’era particolare alla città­stato. E cOSI, il « locu » che prima era il retroterra della città; lo

diventa tutto il territorio del Giudicato; e « Parte» significa. tutto il. Giudicato (Parte d’Arborea), come pure una frazione, unaeu­ratoria (Parte OlIa). Anche il « rennu » è tutto il complesso terri­toriale (rennu de Locu d’ore) e nello stesso modo una regione del Giudicato (rennu d’Ardar).

 

La stessa gerarchia degli uffici che si estende territorialmente ripete la magistratura della città: il Curatore ha infatti nella eu­ratoria le stesse funzioni del Giudice cittadino, come le ha pure il Maiore de Villa e quello de Scolca nella minore circoscrizione.

 

Anteriormente ai secoli XI-XII non abbiamo fonti che facciano cenno dell’ordinamento giudicale: sappiamo solo dell’esistenza del­la forma di governo giudicale, di cui a capo era il Giudice. Non possiamo tuttavia supporre trasformazioni precedenti, se ancora in quei. secoli le istituzioni non differiscono da quelle delle antiche città-stato sarde. Questo, naturalmente, per ciò che riguarda la struttura fondamentale. Qualche novità della fine del XII secolo e del successivo si può sceverare agevolmente nella stessa termino­logia . estranea al primitivo ordinamento giudicale e alla stessa Sardegna, che vi giunge con gli influssi dell’Europa medioevale e vi penetra specialmente attraverso Pisa e Genova e le famiglie signorili che si imparentano ai Giudici.

 

Lo possiamo constatare anche meglio, raffrontando questa evo­luzione nei Giudicati di Torres, di Cagliari e di Gallura che aprono le porte all’influenza straniera e accolgono la rapace irrequieta turba di « re in Sardegna ed in Pisa cittadini »; non l’Arborea che invece chiude i confini ai due Comuni e rimane ostile agli stranieri, gli « esitizos » ai quali non era concesso possedere beni nel territorio del Giudicato. Fu per questo, tra l’altro, che mentre i primi, minati nelle fondamenta che reggevano le semplici ma solide sovrastrut­ture;: crollarono su se stessi alle prime scosse violente, il quarto rimase eretto come Un baluardo al centro stesso dell’isola e per oltre un secolo, dopo aver tenuto testa alle coalizioni signoriali e a Pisa, per due volte fece cadere in ginocchio la monarchia arago­nese ridotta al possesso di Cagliari e Alghero.

 

Come buona parte delle città-stato del mondo antico s . la città del periodo giudicale conservava immutati i tre elementi essenziali dello stato misto, essendo oligarchico e democratico insieme. Capo dello stato era il Giudice, che aveva una cancelleria per dirigere tut­ti gli affari del Giudicato e dalla quale dipendevano i funzionari e

i minori ufficiali. Il potere era condiviso da un senato, costituito dai maggiorenti, i «liveros maiorales », e nei momenti piu gravi o per le deliberazioni d’interesse generale, dall’assemblea di popolo, e cioè da « totu su logu » costituente la « corona (cosi detta per la disposizione a corona dei partecipanti) de logu »,

 

Anche la società del periodo giudicale non poteva esser molto mutata da quella delle città-stato del periodo anteriore. Non avendo subito invasioni barbariche ed essendo rimasta immune dal feu­dalesimo, era naturale che mantenesse la vecchia e più semplice divisione in liberi e servi, con una sola gerarchia che fu essenzial­mente economica: quella dei maggiorenti che sovrastavano i liberi minori; mentre gli stessi servi non erano schiavi, ma, al contrario, in condizioni assai migliori del servo medioevale, poiché erano col­liberti. Si trattava di una divisione in classi economiche più che sotto l’aspetto giuridico, in quanto, tra l’altro, anche i servi parte­cipavano della cittadinanza e costituivano coi liberi l’assemblea del popolo. Ciò vediamo ancora in Arborea negli anni in cui era Giudicessa Eleonora (fine XIV secolo).

Da “LA STORIA DELLA SARDEGNA”, Mursia e &, Milano, 1971, pagg. 300 – 309.

Carta Raspi, Raimondo Storico, edi­tore (Oristano 1893-Cagliari 1965). Nato da una nobile famiglia, si laureò in Scienze sociali a Firenze dove visse fino al 1922, anno in cui decise di tor­nare in Sardegna. Stabilitosi a Cagliari, diede vita a un complesso progetto editoriale e culturale, prendendo le di­stanze dal nascente fascismo “sardistiz­zato”: così nel 1923 fondò la rivista “Il Nuraghe”, che fece uscire coraggiosa­mente per otto anni fino al 1930, e nella quale, pur tra i crescenti ostacoli che il regime gli creava, continuò (sardistica­mente) la difesa della specificità della cultura sarda. Parallelamente diede vita alla casa editrice omonima, la cui vasta produzione (specializzata nella valorizzazione della cultura sarda, in particolare dell’opera dei maggiori poeti in lingua sarda, che egli fu tra i primi a indicare al pubblico dei lettori sardi “urbanizzati”) si prefiggeva di raggiungere analoghi obiettivi. Caduto il fascismo prese parte al dibattito sul­l’autonomia e nel 1946 iniziò a pubbli­care la rivista “Il Shardana”, che però uscì per soli dieci numeri. Negli ultimi anni della sua vita, lontano oramai dalla politica, si occupò della stesura della sua importante Storia di Sardegna in cui vengono esaltati, attraverso il largo spazio e la documentazione messa a frutto, i periodi della vicenda secolare dei sardi in cui paiono prendere corpo, in un contesto di autonomia o di indi­pendenza politica, le potenzialità di una “nazione” regionale (come, in par­ticolare, il periodo nuragico, di cui C.R. immagina le città-Stato che in realtà non sono mai esistite, e il periodo giudicale, cui aveva dedicato numerose, im­portanti opere). La Storia, edita po­stuma da Mursia nel 1971, è stata più volte ristampata, con una appendice sulla Sardegna contemporanea a cura di Alberto Ledda. Autore di saggi, arti­coli e monografìe, ha lasciato, in parti­colare: Preludium, versi, 1910 (opera pubblicata a soli 17 anni); Grazia De­ledda e il suo ultimo romanzo “Il segreto dell’uomo solitario”, “Il Nuraghe”, I, 2, 1923; Francesco Cucca, “Il Nuraghe”, I, 3,1923; Disdegno, versi, “Il Nuraghe”, I, 3, 1923; La vendetta e il brigantaggio nei canti barbaricini di S. Satta, “Il Nura­ghe”, 1,4, 1923; Avanguardie di Sarde­gna, “Il Nuraghe”, III, 16, 1924; Resa dei conti, “Il Nuraghe”, II,12,1924; Miliardo e istruzione, “Il Nuraghe”, III, 24,1925; Artisti, poeti, prosatori di Sardegna. I contemporanei, antologia, 1927; La poe­sia di Paolo Mossa, “Il Nuraghe”, VI, 3, 1928; Cagliari, 1929; Filippo Figari pit­tore, 1929; La poesia di Ejisio Pintor Si­rigu, “Il Nuraghe”, VII, 11, 1929; Sarde­gna terra di poesia, 1929; Dizionarietto dei sardi contemporanei, “Il Nuraghe”, 1,4,1929; Costumi sardi, 1931; Sardegna, 1931; Castelli medioevali della Sardegna, 1933; Mariano IV, 1934; La Sardegna nel­l’Alto Medioevo, 1935; Ugone III d’Arbo­rea e le due ambasciate di Luigi I d’An­jou, 1936; Le classi sociali nella Sardegna medioevale, voli. 3, 1938-1940; Uecono­mia della Sardegna medioevale, 1940; Verso l’autonomia. La Sardegna dalla prima alla seconda guerra mondiale, 1944; Preistoria, i primi abitatori, “Il Shardana”, 1, 1946; La fase eneolitica. La seconda migrazione, “Il Shardana”, 2, 1946; La seconda Camera regionale, “Il Shardana”, 3, 1946; La spelonca nu­ragica, “Il Shardana”, 4, 1946; Alla vigi­lia della Costituente, “Il Solco”, 1946; Sardegna nuragica, “Il Shardana “, 1947; Breve storia della Sardegna, 1950; L’omericità della Sardegna, “L’Unione

sarda”, 1950; Sardegna, 1952; Il poeta del Marghine (Melchiorre Murenu), “S’I­schiglia”, VI, 1, 1954; Una civiltà che ri­sorge. La Sardegna nuragica, 1955; Sto­ria della Sardegna, 1971; Mariano IV d’Arborea, 200l.


Condividi su:

    Article printed from Fondazione Sardinia: http://www.fondazionesardinia.eu/ita

    URL to article: http://www.fondazionesardinia.eu/ita/?p=11039

    Copyright © 2013 Fondazione Sardinia. All rights reserved.