Don Mario Cugusi, anche lui al traguardo dei settant’anni. Ripasso d’una biografia, di una ingiustizia, di un nuovo oggi, di Gianfranco Murtas

La Fondazione Sardinia si associa agli auguri per i 70 anni di don Mario Cugusi, tra i suoi soci e fondatori.

Buona e lunga vita a Mario Cugusi, prete conosciuto dell’archidiocesi di Cagliari, oggi parroco della concattedrale del Santissimo Salvatore in Serdiana, sede di sepoltura di due vescovi di gran nome e storia come don Agostino Saba e don Paolo Carta. Parroco presente, attivo e progettuale sempre nella sua comunità, amato in circolarità da tutti, tanto più da quei tanti bambini e ragazzi che sempre ha privilegiato, da uomo di scuola, nella sua azione di affiancamento parrocchiale, formativo ed educativo, godendosi fortunatamente, nel tempo, anche ritorni di affetto e perfino di collaborazione dalle file di chi ha cresciuto e sono oggi donne e uomini presi a fare famiglia e sviluppare lavoro o funzioni civiche di utilità pubblica.

Il traguardo del settantesimo compleanno, s’intende, è puramente convenzionale, forse addirittura artificioso come occasione ricercata per pronunciarsi sul festeggiato. E comunque male non è di certo, nella società delle relazioni amicali, ma non solo amicali: ché i ruoli pubblici ricoperti, direi meglio, ché gli spazi comunitari serviti con eccellenza di prestazione sempre, individuano nel nostro festeggiato, in don Cugusi, una figura di profilo sociale-istituzionale meritevole di ogni riguardo. E infatti, il riconoscimento a lui venuto dalla iniziativa dei consiglieri comunali di Cagliari – il modesto sindaco Zedda (avviluppato nella morsa Mani) escluso – nel giugno 2013, tanto ha dimostrato: benemerito della città di Cagliari per i trent’anni di quotidiano servizio nel quartiere storico della Marina, come leader religioso, come promotore di umanità solidale ed incontro ecumenico, come operatore culturale nel settore prioritario della scuola (per i nostri e per gli stranieri), ma anche in quello della tutela e valorizzazione dei beni archeologici e museali a fruizione universale, come accogliente e sempre positivo interfaccia dei nuovi venuti, da meridiani e paralleli, nella residenza cittadina e nella nostra prossimità personale e familiare.

Uomo della scuola – professore nell’istruzione pubblica per trent’anni – egli ha incarnato l’impagabile esperienza pedagogica come strumento necessario di promozione civile e sociale, di emancipazione e riscatto, di avanzamento nella consapevolezza delle complessità e dei diritti e, insieme, nella assunzione di responsabilità proprie del cittadino. Ciò ha fatto nella sintesi superiore che soltanto il santo sentimento laico integra: quel santo sentimento laico che dà a Cesare ed a Dio quel che a ciascuno compete. Perché l’uomo di fede vive di orizzonti larghi, non soffoca nel catechismo ripetitivo, assiomatico e propagandistico o nel calcolo contingente delle utilità apparenti la ricchezza umana delle ispirazioni più diverse e vagamente perfino opposte, ma anzi anche di esse si nutre per realizzare la fraternità sociale.

Da Siurgus Donigala dove è nato alla vigilia del ferragosto 1945 ed ha ricevuto la prima formazione scolastica oltreché familiare, a Cagliari, che è stata la sede prevalente dei suoi studi nel seminario diocesano e, più tardi, in facoltà di lettere e filosofia ma sede prevalente anche della sua missione di presbitero, tutto è stato tensione a far bene il bene, a darsi obiettivi di formazione ed esempio umano e cristiano e strumenti adeguati ad essi. I rinforzi di studio sono stati a Cuglieri, giusto negli ultimi anni in cui il seminario regionale ha mantenuto la sua sede nel Montiferru, prima del suo trasferimento nel capoluogo, mentre le applicazioni esperienziali propriamente d’apprendistato parrocchiale, dopo un rapidissimo fermo a Sant’Ambrogio di Monserrato (parroco don Giovanni Serra), si sono sviluppate a Senorbì (parroco di Santa Barbara è don Lauro Pinna: cf. Don Lauro Pinna Padre, Maestro e Amico, di Salvatore Ruggiu, p. 42) per qualche mese dopo l’ordinazione avvenuta nel luglio 1970 (nella sua parrocchia battesimale di San Teodoro martire) per le mani del cardinale Baggio, e quindi soprattutto a Guasila (parroco l’anziano don Patrizio Casula) per oltre un triennio fra 1971 e 1974, ed a Selargius (parroco don Mario Pisano) per un altro triennio fino al 1977. Curioso che entrambe tali ultime parrocchie si intitolino alla Vergine Assunta, titolo evocatore di tante consolidate e diffuse devozioni, forse soprattutto per retaggio bizantino, nell’Isola.  Animatore dei teologi, nel seminario regionale, dal 1977 e per un ulteriore triennio, nonché assistente della FUCI, ecco poi il balzo in Sant’Eulalia.

E’ nella primavera del 1980 che, giovane trentacinquenne, forte di un accredito accademico che lo introduce alla carriera docente (un sacerdozio laico vissuto in parallelo a quello ecclesiale), don Cugusi viene affiancato, per volontà dell’arcivescovo Bonfiglioli, a don Salvatore Casu, da ormai quasi un decennio alla guida della comunità della Marina e presto, date le cattive condizioni di salute, chiamato a riserva. Con incarico di vicario parrocchiale e quindi, dalla fine del 1983, di amministratore della ex Collegiata, di questa egli assume in progress la responsabilità, fino a che nel 1988 l’ufficio viene formalizzato dall’arcivescovo Alberti  in parrocato pieno. A Sant’Eulalia (e al Santo Sepolcro) complessivamente per tre decenni , oltre diecimila giorni. Diecimila giorni tutti donati per ricostruzioni ora di mattoni, così da soddisfare la storia civica, ora di anime, per soddisfazione dell’economia di Domineddio. E per essi infatti – diecimila giorni di lavoro indefesso e di qualità resistente –, come ho accennato, la rappresentanza municipale su apprezzabile iniziativa dei consiglieri Lobina e Portoghese ha detto il suo grazie nell’aula grande di palazzo Bacaredda, così come lo ha detto, il proprio grazie, la comunità religiosa nelle diverse celebrazioni che nell’estate del 2010 hanno accompagnato insieme i quarant’anni di messa di don Cugusi e il suo licenziamento, arrogante per i toni padronali e feudali, notificatogli dal subentrato arcivescovo Mani.

E’ storia conosciuta quella più recente: la collaborazione prestata per oltre un anno a San Lucifero (parroco don Elvio Madeddu) e per un altro anno a San Giovanni Evangelista in Quartu (parroco don Gianfranco Falchi, compagno di studi e sodale nella creatività progettuale di iniziative ed opere sociali). Entrambe le esperienze caratterizzate, oltreché dalla pratica formativa a favore in particolare dei minori, bambini e adolescenti, e di accompagnamento delle giovani coppie in vista delle nozze, dalla riproposta della paraliturgia in lingua sarda della Novena natalizia (come un tempo al Santo Sepolcro così a San Saturnino e infine a Pitz’e Serra).

Ed effettivamente alla questione della introduzione della lingua sarda nelle liturgie della Chiesa cattolica don Cugusi ha dedicato molte sue energie negli ultimi anni, così in scritti come in convegni. Fra il molto altro ricorderei almeno il contributo consegnato col titolo di “Il concilio plenario sardo e le domande della società sarda” a L’ora dei sardi, a cura di Salvatore Cubeddu, Cagliari, edizioni Fondazione Sardinia, 1999; la sezione “Missa po sa Die de sa Sardigna” in Lingua sarda e liturgia, a cura di Bachisio Bandinu, Antonio Pinna e Raimondo Turtas, Cagliari-Selargius, Domus de Janas, 2008; la “presentada”  e la cura complessiva, con Bachisio Bandinu e Antonio Pinna, di Sa Novena de Pascha ‘e Nadale, Cagliari, 2008 (esordio della iniziativa in Sant’Eulalia nel dicembre 2008 e replay l’anno successivo nel Santo Sepolcro anche con diretta RAI ).

Ma anche altro si può qui menzionare, degli scritti del parroco-filosofo mossi tutti da un intento informativo-divulgativo dell’opera compiuta sempre per  un interesse generale e dunque da condividere:  da “Cronistoria del museo del Tesoro di Sant’Eulalia e della sua area archeologica”, in Miscellanea ieri e oggi [del] Notiziario Diocesano, a cura di Gianfranco Zuncheddu, vol. III, Quartu, JEI edizioni, 2000, a “Non solo incoraggiamenti. Dopo 10 anni è il momento di nuove risorse”, in Cagliari, le radici di Marina: dallo scavo archeologico di S. Eulalia un progetto di ricerca formazione e valorizzazione, Cagliari, Scuola Sarda Editrice, 2002.

Ma certo è Congregazione del Santissimo Sacramento nella Marina. Storia di ieri Cronaca di oggi, il maggior saggio che colloca don Mario Cugusi nel campo dei saggisti storici e, insieme, dei testimoni del suo tempo: con posizioni sempre argomentate e sostenute da documenti egli ha ricostruito la complessa e complicata trama della relazione tre (quasi quattro) volte  secolare della pia confraternita battezzata da bolla papale e la parrocchiale collegiata che tanta storia di Cagliari ha attraversato e perfino edificato. (Recensii il libro, a richiesta di terzi, ma risulta che il direttore del tempo, campione di liberalismo berlusconiano, ne fermò la pubblicazione per un riferimento ritenuto polemico all’arcivescovo Mani, che della parrocchia si era lavato… le mani, trovando solide ragioni per parteggiare col contendente: circostanza curiosa alla luce di quanto si è scritto di recente circa l’autonomia, in ogni tempo ed era, della testata dalle zampate del presule ormai perduto).

Ho visto che l’Opac Sardegna segnala anche uno scritto che, in verità non conosco, e che dunque cito… sulla fiducia si tratti comunque di cosa egregia: “L’arciconfraternita della Morte della chiesa del Santo Sepolcro di Cagliari”, in Il culto dei morti in Sardegna e nel bacino del Mediterraneo: atti dei cinque Convegni tenutisi a Fordongianus dal 2003 al 2007, 2008. (Sul punto peraltro porterei la personale testimonianza che proprio sul cantiere auspicato, e infine avviato, della antica chiesa in abbandono da anni avvenne il mio incontro con don Cugusi, nel 1980: dovendo realizzare un documentario televisivo sul suggestivo edificio cinque-secentesco di fama templare, da lui fui accompagnato a rivisitare spazi ed impianti che avevo conosciuto efficienti nella mia infanzia e mi si presentavano adesso decadente. La risurrezione monumentale della chiesa avrebbe portato, oltre che a riscoprire ambienti battesimali rimontanti addirittura ai primi secoli del cristianesimo e aule sotterranee officiate dalla arciconfraternita, a una insperata ma felicissima fruizione ecumenica, in risposta alle crescenti necessità della comunità ortodossa, pacificando così la storia con la cronaca).

Mi piace in conclusione associare il nome del festeggiato neosettantenne qui richiamato per le attività d’incontro fra pastorale e culturale, alla sua personale partecipazione a eventi di lutto da assorbire elaborandole emozioni ed onorando il passaggio del testimone: per il professor Roberto Coroneo, certamente una delle personalità del mondo accademico più sinceramente amate – valga il verbo – da ogni segmento della società degli studi, e per il carissimo mio professore Tito Orrù, con il quale don Cugusi condivise almeno una volta, a Biella, presso il circolo “Su Nuraghe”, l’esperienza circolina della emigrazione sarda in continente.

Nelle ultime, frequentissime email, del professore, sempre v’era questa richiesta di aggiornamenti sullo stato… umorale del comune amico dopo lo schiaffo balordo infertogli dall’arcivescovo venuto in Sardegna per comandare non per servire il bene di tutti. E la sollecitudine financo commovente dell’anziano professore si faceva sollecitazione a me perché trasmettessi a don Cugusi incoraggiamento di stima e fraternità nel nome di Asproni, canonico e massone, mazziniano e profeta del miglior sardismo, fedele a Dio creatore ed ai valori della libertà repubblicana.

Risale di tanto in tanto l’augurio di un ritorno a Cagliari dello storico parroco della Marina. Ma a Sant’Eulalia fa bene, benissimo, don Lai che fatica tanto anche con la Caritas. Don Cugusi non è penalizzato dallo stare a Serdiana, impegnato a curare nella sua concattedrale una comunità vivace, intelligente, generosa. Al SS. Salvatore egli è stato indirizzato non dall’arcivescovo successore di Mani, che non è stato da meno del suo predecessore in quanto da grossolanità abbandonando la celebrazione di insediamento per assistere ad una partita di calcio (!), ma dal vicario generale, alla ricerca di una soluzione rispettosa dell’uomo e del collega presbitero di tanto merito e tanto valore ed insieme opportuna nell’interesse di una comunità bisognosa di nuovi stimoli.

Così va bene, benissimo. Tutto questo però non toglie che il bene-benissimo dell’oggi sia risultato soltanto della sapiente abilità del protagonista il quale ha convertito nel segno positivo il negativo confezionato, fra tanto penoso conformismo clericale, in curia. Parlerà la storia, parleranno un giorno i lettori competenti dei fascicoli canonici che la Congregazione del clero – anzi, gli uomini della Congregazione del clero –, in Vaticano, ha amministrato senza buona fede, coprendo gli esagitati affondo dell’arcivescovo Mani e mostrandosi nel concreto avversario della linea moralizzatrice di papa Bergoglio. La stessa, varrà la pensa di ricordarlo, che di recente ha restituito ragione al diacono Piras, impedito con abusi d’ogni tipo ad accedere al sacerdozio per un lustro e più.

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Soltanto a titolo documentario, e per la condivisione di amici ed estimatori di don Mario Cugusi, presento qui di seguito alcune pagine tratte dal libro, uscito nel dicembre 2011, Da Chorus a Cresia: scritti di storia e d’impegno ecclesiale 2008-2011, con il quale ho voluto lasciare ampia e dettagliata traccia testimoniale di eventi seguito da presso, e parzialmente anticipati in una conversazione con il giornalista Vito Biolchini per la diffusione tramite il suo blog.

A-“Ecco come è stato cacciato don Cugusi”

Vediamo di ricostruire i fatti. Partiamo da quel 17 luglio 2010, dalla contestazione all’arcivescovo di cui è ancora traccia nella rete web.

«Il 17 cadeva di sabato; ma la comunicazione verbale a don Mario Cugusi della sua rimozione era stata di qualche giorno prima, di mercoledì 14. “Per il tuo bene”, aveva giustificato la propria decisione l’arcivescovo. Parole irrispettose perché non spiegavano, non spiegano nulla. Ecco il vescovo-conte, certo di avere dei dipendenti, non dei fratelli nel sacerdozio da onorare anche nello scambio informativo, anche nelle notifiche delle decisioni assunte. Proprio nei giorni scorsi mi ha scritto un collaboratore diretto di don Tonino Bello e mi ha confidato come a Molfetta gli avvicendamenti dei parroci avvenissero in fraternità… So che don Mario chiese all’arcivescovo di comunicare personalmente il suo deliberato non motivato ai parrocchiani, per il che si previde la serata di sabato».

Intanto…

«L’indomani giovedì, intanto, il Consiglio pastorale, copresieduto dal parroco e dal decano laico, già reso edotto della novità, si riunì e discusse la questione, immediatamente esprimendo piena e convinta contrarietà a quel deliberato ed impegnandosi a interloquire attivamente con l’arcivescovo per chiedergli le ragioni del provvedimento e rappresentare a lui come l’avvicendamento del parroco avrebbe portato, inevitabilmente, a difficoltà non agevolmente superabili nella attuazione del piano pastorale in corso su numerosi campi applicativi».

La notizia nel frattempo era già arrivata ai giornali…

«La stessa mattina di sabato 17 uscì un articolo sull’“Unione Sarda” il cui occhiello recita “Va via il parroco storico, da trent’anni nel quartiere. Ignota la destinazione” ed il sommario invece “Lui conferma, l’arcivescovo smentisce. Oggi assemblea”».

Forse questa anticipazione sulla stampa dispose male il presule invitato all’assemblea. O no?

«E’ credibile, mi pare lo abbia detto lui stesso, addebitando a don Mario di aver dato notizia ai giornalisti prima del tempo. Don Mario, a sua volta, ha assicurato di non aver avuto alcuna parte in questa anticipazione “profana”. Ne parlò con gli amici più stretti, naturalmente, con il Consiglio pastorale, anche con me esterno alla parrocchia ma amico e… raccoglitore sempre di materiali per la storia. Ma certo bisognava che l’evento fosse ripreso dalla stampa e rimbalzato alla conoscenza e valutazione della opinione pubblica. Io stesso chiesi ad un amico inviato dell’“Unione Sarda” di intervenire la sera, per farsi una idea, per valutare se il caso meritasse di giungere alla considerazione generale della cittadinanza, non soltanto della opinione ecclesiale. Don Cugusi non è stato infatti soltanto il parroco di Sant’Eulalia, o forse si potrebbe dire che lo è stato a un livello talmente alto da aver promosso un ecumenismo di interessi partecipativi, civili e religiosi, sociali e culturali, pedagogici e politici nel senso nobile e autentico della parola, da aver materializzato quella idea, che anche a me è particolarmente cara, della unità non scomponibile, nelle rispettive autonomie ma anche interconnessioni valoriali, fra il campo della fede e il campo della umanità».

Non è il caso di ripassare quel che già si sa: del decano Fadda che legge un discorso rivolto all’arcivescovo, formalmente ossequioso, per chiedere al presule di considerare le ragioni della comunità che non può perdere il suo ministro. La risposta di monsignor Mani: no no e no, con i segni di croce all’inizio e alla fine, i riferimenti polemici al gran numero dei convenuti – come per dire che c’era forse una claque non devota ma tifosa, estranea alla parrocchia –, le contestazioni dalle navate, quella battuta infelice della «baracca», il nome del nuovo parroco rivelato contro ogni programma per far capire che ormai ogni ipotesi di ripensamento era caduta. Qualche osservazione su questo?

«Si passò dal teatro al campo di pallacanestro, con tribune forse più capienti della platea e loggione del teatro – lo storico e glorioso teatro di Sant’Eulalia –, tribune necessarie ad accogliere il gran numero. Poi però l’arcivescovo, appena arrivato, compreso che sarebbero state scintille, oppose a don Mario un presunto accordo intervenuto non perché colloquiasse il vescovo con i parrocchiani, ma per scambiarsi idee e informazioni il vescovo e il ristretto Consiglio pastorale. Accettato successivamente di incontrarsi con tutti e non con la rappresentanza soltanto, egli impose però di convenire in chiesa, ritenendo quello il luogo più idoneo e forse anche deterrente rispetto a rischi di contestazione che erano nell’aria. E cominciò infatti con il segno corale della croce, disputandosi il microfono con il decano laico e cedendoglielo alla fine, rassegnandosi cioè ad ascoltare, lui abituato soltanto a parlare e disporre. Deve essere stato, già quello, un primo trauma. Del resto si è detto. La conclusione in sacrestia, reclamata da Bandinu – s’è visto in televisione – per non lasciare che l’arcivescovo se ne andasse senza aver con lui compiuto un estremo tentativo di ragionevolezza e confronto pacato e argomentato sulle ragioni che sia i teologi che i canonisti chiamano della “salus animarum”. Più importanti del vescovo e più importanti del parroco. Non mancarono le battute pungenti di qualcuno e qualcuna, poi la mezza fuga con l’auto blu delle eccellenze, quella che ha l’autista e avrebbe fatto venire i brividi a don Tonino Bello».

Ma quel che sembra necessario indagare, a questo punto, è la ragione vera della rimozione annunciata di don Cugusi. Anche sulla stampa taluno ha scritto di inframmettenze della Congregazione in capo a Sant’Eulalia, altri di una lettera inviata al Vaticano per contestare un complessivo comportamento di monsignor Mani: lettera a cui quest’ultimo avrebbe dato una paternità sicura, data la firma in calce appartenente a diversi parrocchiani della Marina.

«E’ bene che si faccia chiarezza su questo. Ma poi da questa conquista di chiarezza dovranno venire, di conseguenza, molte altre puntualizzazioni. Inizierei dalla Congregazione che si intitola al “Santissimo Sacramento nella Marina”. Si tratta di una arciconfraternita – istituita cioè con decreto papale – risalente alla metà del Cinquecento. Costituì, in un certo modo, un rilancio eucaristico della cattolicità controriformistica – siamo press’a poco al tempo del Concilio di Trento –, ed ebbe sviluppo fra il Seicento e il Settecento, sulla spinta della spiritualità matura, chiamiamola intellettuale, che, fra Belgio e Renania, andò a riequilibrare il marchio tutto mariano del devozionismo popolare. Una bella storia. Basterebbe pensare ai contrasti teologici del luteranesimo in boccio allora, in materia eucaristica essenzialmente. Si trattò di dare attualità e universalità di culto alle intuizioni o visioni estatiche della beata Giuliana di Cornillon, apostola dei lebbrosi in Europa, che nel medioevo aveva composto l’ufficio del Corpus Domini. Sorsero anche a Cagliari, fra Cinquecento e Seicento, le Congregazioni del Santissimo Sacramento, una per quartiere. Ne avevamo quattro. Resistette più di tutte – pur fra alti e bassi, fra recessioni e rilanci con nuovi statuti – quella della Marina, appunto in capo alla parrocchia di Sant’Eulalia. Questa raccolse, col tempo, e tanto più dopo la riforma statutaria elaborata dal gesuita Giovanni Battista Vassallo – splendida figura di religioso e di professore di italiano in una terra che ancora parlava o sardo o spagnolo – e ancora dopo, dopo cioè la nuova riforma risalente agli anni dell’episcopato del cardinale Cadello, e nella grande storia quelli press’a poco della sconfitta definitiva di Napoleone, ingenti ricchezze. Furono lasciti ereditari, legati particolari, proprietà immobiliari e fondi liquidi per sovvenire la parrocchia nelle sue fatiche pastorali, di culto e catechistiche, e in generale il quartiere del porto per le urgenze sociali, ad esempio per prestiti senza interesse necessari al riattamento di case malconce e inabilitabili. Don Mario ha pubblicato un bellissimo libro sulla storia della Congregazione, gloria e vanto del quartiere…».

Ma con la Congregazione è stato scontro, e l’arcivescovo si è schierato sempre dalla parte della Congregazione contro il parroco. Il quale ha dichiarato di aver rinunciato agli aiuti considerati ormai marginali e ad accusare, senza tante finzioni, monsignor Mani di aver boicottato le ragioni morali per far prevalere quelle prettamente giuridiche. E’ così?

«La Congregazione ha subito una trasformazione anche giuridica nel tempo. E’ divenuta una onlus, uscendo dal sistema delle normative ecclesiastiche per entrare in quelle civilistiche. Da lì sono cresciute le incomprensioni. Anche la dirigenza della Congregazione è molto cambiata nel tempo. Io ho incontrato la Congregazione che ero bambino, ricordo il presidente Aurelio Espis, che era allora segretario generale del Comune e veniva da tutta una storia personale nell’associazionismo universitario cattolico, ed era nel giro delle amicizie cagliaritane di papa Paolo VI per via della militanza fucina. Ricordo il vice presidente del tempo, poi presidente, Alfredo Tidu. Ricordo le messe solenni della Minerva, a quattro preti, con tutta la dirigenza al banco sul presbiterio. Ricordo la partecipazione della Congregazione alle processioni del Corpus Domini – ecco il culto eucaristico che dà il nome al sodalizio –, reggendo il baldacchino lungo le strade del quartiere. Erano gli anni del lungo e fecondo parrocato di monsignor Ezio Sini, che aveva raccolto e sviluppato il lascito prezioso di dottor Mario Floris…».

Ma poi? Le incomprensioni sarebbero nate, a detta di qualcuno, dai costi proibitivi della ristrutturazione di Sant’Eulalia, degli scavi archeologici, ecc. Vero o falso?

«Dopo il parrocato di monsignor Casu, lungo gli anni ’70, ed alla metà circa del successivo – quello appunto di don Mario – il feeling si è rotto. Andrebbe ricordato il lavoro, all’inizio sostenuto generosamente anche dalla Congregazione, che ha portato al pratico rifacimento della secentesca, bellissima parrocchiale, agli scavi che hanno portato a rinvenire nei sotterranei due livelli sempre più profondi di aule e di carnari, sedi di sepoltura cioè. Ma poi tutto è stato investito nei necessari rifacimenti: le volte maestose e la cupola e il cupolino, gli interni fino alle monofore vetrate istoriate, rifatte ex novo, bellissime, sopra le cappelle laterali, il rosone del prospetto e il campanile, il battistero e l’organo che ho conosciuto quanto fu ricollocato, quasi mezzo secolo fa, e il nuovo presbiterio con il coro… Insieme con questo lavoro che ha richiesto, lungo molti anni, l’intervento delle migliori professionalità specialistiche, io ricorderei anche le transizioni di alcuni arredi d’arte dalla chiesa preziosa del Santo Sepolcro, anch’essa tornata, dopo una prolungata chiusura, a pubblica sacra fruizione – ora anche in chiave ecumenica – in quegli anni fra ’80 e ’90… Un patrimonio d’arte unico, che regge in confronto con il meglio che forse è quello della cattedrale di Santa Maria assunta, a Castello. E naturalmente, insieme con tutto questo, ecco il Museo del Tesoro. Sono contento di aver partecipato, ottenendo nel 1990 una speciale donazione da parte del Banco di Napoli, di cento milioni di lire, per l’acquisto di alcune dotazioni per il Museo, unitamente ad un’area che è servita, e serve ancora oggi, perché i ragazzi dell’oratorio e delle scuole sportive possano giocare a pallacanestro o ad altro. Uno spettacolo a vederli, questi bambini e ragazzini di ogni razza umana, della razza umana che affratella le etnie, le lingue, anche le religioni…».

E l’area archeologica…

«Sì, e l’area archeologica, un fiore all’occhiello della parrocchia, del quartiere, della città, della Sardegna tutta, della Chiesa e della Municipalità. A ciascuno poi vada il riconoscimento del suo merito particolare. Siamo tornati alle strade romane di collegamento fra il sito parrocchiale – certamente religioso già dal medioevo – e quello portuale, passando per la fase giudicale, e più oltre ancora, altogiudicale/bizantina… Che storia! I costi di questa impresa titanica sono stati enormi. Gli interventi finanziari pubblici sono stati ingenti ma, da quanto ne so, relativamente modesti se raffrontati al tutto. Don Cugusi ha fatto miracoli, miracoli veri, bisogna dargliene atto. Per procedere con certi lavori, egli è arrivato a ipotecarsi la casa di famiglia, altroché! Le ragioni della mutua disaffezione fra parrocchia e Congregazione non le conosco nel dettaglio: rimontano però alla difformità valutativa di quei progetti e alla provvista per farvi fronte…».

E tutto si è incancrenito. Si poteva evitare?

«Verrebbe da dire: forse sì, dovrei dire: certamente sì. Sono forse mancate figure amiche, intimamente amiche, delle due parti, per favorire l’incontro, la rimozione dei malintesi, lo sviluppo della mutua comprensione. Io ho avuto rapporti con la dirigenza attuale, anzi con il presidente attuale della Congregazione, Giovanni Cappai, un professionista di grande levatura, un galantuomo impegnato anche nel FAI – il Fondo ambientale promosso da Giulia Maria Crespi – e mi si è mostrato leale, immediatamente disponibile, aperto al colloquio, fattivo. Un sardo concreto, uomo di parola. Senza che potessi dargli nulla in cambio, mi ha offerto gratuitamente i locali ove ho allogato la biblioteca di Paolo De Magistris, che spero divenga un primo nucleo di raccolta culturale nel centro storico, a supporto degli studenti medi e universitari che intendano fare ricerca. Per intanto si sta lavorando ad alcune schede sulla storia religiosa cagliaritana (1). La rimozione di don Mario – ingiusta e ingiustificata secondo me – è intervenuta quando potevano crearsi le premesse per un disgelo, per una ripresa di collaborazione, nel nome della storia, delle ragioni morali istitutive della Congregazione, nel rispetto anche dei nuovi vincoli giuridici della onlus. La statura intellettuale e morale di don Cugusi e quella del presidente Cappai – non conosco personalmente gli altri dirigenti della Congregazione, ma credo valgano il presidente – sono tali per cui mi pare impossibile che non si possa trovare, e non si sarebbe trovato in futuro, un punto fecondo di incontro, per il bene di Cagliari, per il bene della Marina, per il bene di chi è nel bisogno e cerca il soccorso della tasca generosa. Sono sardi autentici entrambi, entrambi delle zone interne, del Marghine il presidente, della Trexenta il parroco. Sono terre virtuose quelle, parlano da sempre con la civiltà del lavoro, godono entrambe dell’intesa, del fare insieme. E così da Borore come da Siurgus, presidente e parroco sono venuti a Cagliari per servire, con la loro competenza e moralità, il bene comune nella grande città. Impossibile che non potessero incontrarsi. Questione di tempo. L’arcivescovo ha rovinato tutto, mi spiace».

Però, nelle prime interviste, don Cugusi ha accusato la Congregazione di averlo colpito alle spalle, suggerendo al vescovo la sua cacciata.

«Nella tensione del momento, è comprensibile che qualcosa sia andato sopra le righe. Ma ho visto sui giornali che i riferimenti erano alla Congregazione del Santissimo Crocifisso, che alla Marina… non esiste, o non esiste più. Quella del Santissimo Crocifisso o dell’Orazione era al Santo Sepolcro, accompagnava i funerali, è durata fino ai primi del Novecento. In città, ma a Villanova, c’è poi la Confraternita del Crocifisso, ma niente a che vedere… Noi abbiamo quella del Santissimo Sacramento, che è un’altra cosa, quattrocento e passa anni di storia – sorta prima di Galileo e di Giordano Bruno, al tempo di Ignazio di Loyola e Filippo Neri –, infiniti meriti sociali e religiosi, un futuro di servizio al bene comune, con modalità forse diverse da quelle del passato, ma orientate agli stessi obiettivi: per il bene religioso e per quello sociale strettamente combinati fra di loro, che si legittimano reciprocamente».

B-  “Don Cugusi è stato rimosso da Sant’Eulalia in maniera immotivata”

Torniamo, per concludere, a Sant’Eulalia e al dialogo con il Vaticano riguardo a fatti e misfatti diocesani.

«Potrei ricordare intanto l’intervento generoso di don Cannavera, che nella circostanza si è rivelato vero amico di don Cugusi, partecipando anche ai festeggiamenti dei 40 anni di sacerdozio come a quelli di congedo dalla comunità. Ma anche proponendosi come ponte di dialogo, e altresì firmando testi forti ospitati dalla stampa, che rimarranno come testimonianza di un certo sentire ecclesiale. E ancora offrendo le strutture della Collina per le riunioni dei preti che progressivamente si sono presi l’impegno di dare tempo a una comune riflessione per l’oggi e il domani dell’archidiocesi, alla vigilia del cambio in episcopio…».

In questo quadro sono nati il gruppo e il giornale che portano lo stesso nome: Cresia. Come si è sviluppato questo progetto?

«Cresia si deve alla iniziativa di alcuni dei laici appartenenti a più parrocchie cittadine che, negli ultimi tempi, hanno inteso allargare il confronto delle opinioni circa le questioni della Chiesa locale. Sotto un certo profilo, potrei dire della mia parte, che è limitata alla genesi del progetto. A taluni amici – tutti di grande cuore e di grande mente, lo posso dire con certezza assoluta, e anche con forte sentimento di Chiesa – con i quali discorrevo dei disastri ultimi (Sant’Eulalia, il giovane diacono costretto a dare una mano, peraltro felicemente, in una parrocchia della provincia, lo scialacquo di denaro pubblico per il college di lusso, l’esosità della mensa vescovile) io proposi questo: fra pochi mesi, o fra poche settimane se il Cielo vuole, l’archidiocesi nostra avrà un nuovo vescovo, dunque dobbiamo disporci a tendere le nostre analisi sul presente ma le nostre riflessioni e proposte verso quel futuro ormai vicino del cambio di guardia in episcopio; si tratta di approfondire la conoscenza delle varie problematiche, migliorare la nostra competenza, stimolare e incrociare interlocuzioni impegnate, sagge, equilibrate, esperte nella città e fuori, e con esse sviluppare un discorso o un progetto da proporre poi a tutti. E così avanzai l’idea di un numero unico, da far uscire in occasione del saluto di don Mario alla parrocchia di Sant’Eulalia, un po’ come si faceva un tempo soprattutto con i vescovi in partenza o in arrivo, o di prima nomina, ecc.».

Veramente si faceva così?

«Le biblioteche conservano questi giornali, io stesso ci ho lavorato sopra, come per monsignor Serci-Serra, o per monsignor Luca Canepa, o ancora – per dire di qualche arcivescovo recente – il cardinale Baggio, o il caro monsignor Bonfiglioli… L’idea piacque ed è stata messa a fuoco da competenti. Così sono nate “Cresia.info” come giornale on line e/o su carta e Cresia come associazione. Alla testata sono stato gentilmente richiesto di collaborare. E ho ripreso lì quella specie di agenda fra storia e attualità della Chiesa e della città che per anni ho tenuto, con Cleliano Aru, sul periodico “Chorus”».

Il giornale ha accompagnato, e anzi ospitato il saluto di don Mario Cugusi dalla parrocchia lo scorso 10 ottobre, e poi domenica 17 c’è stato l’ingresso ufficiale del nuovo parroco. Commenti?

«Sul numero 3 del “Notiziario Diocesano”, che mi è arrivato proprio ieri, ho letto nella rubrica “Appunto per la cronaca”: “Venerdì (23 luglio) una rappresentanza della parrocchia di Sant’Eulalia ha incontrato l’Arcivescovo”. Punto e basta. Ma il giornale diocesano del 1° agosto le ha cantate sia in do che in fa diesis minore e maggiore, senza gloria per chi ha firmato e anche per chi ha avuto vergogna e non ha firmato. Perché, se posso fare una rapida e pur conclusiva parentesi, non posso non rilevare come fra gli ubbidienti passivi dell’arcivescovo nelle sue mosse recenti, vi sia anche qualche prete che per un anno intero, giusto dieci anni fa, ho difeso presso l’arcivescovo Alberti contro le discriminazioni che mi pareva patisse ingiustamente. Hanno dimenticato e avallato oggi una ingiustizia…».

Don Cugusi però non è stato il solo ad essere stato “bacchettato” dall’arcivescovo…

«Infatti nel mucchio di quelle righe erano anche gli insulti a un galantuomo a cui l’amministrazione pubblica, l’interesse pubblico cagliaritano e sardo deve molto, per il servizio reso nel tempo dall’interno di banche ed enti chiamati a prove non facili. Ma a cui deve molto anche il giornalismo e la cultura, la saggistica storica, per una produzione che ha del prodigioso nel numero dei titoli e più ancora nello spessore delle trattazioni. E non meno gli deve, per la lealtà e l’umiltà del suo servizio all’ambone, la parrocchia di Sant’Eulalia, antica e tornata a vita giovane grazie sì al parroco straordinario dell’ultimo trentennio, ma grazie anche ai tanti collaboratori, dalle catechiste ai responsabili sportivi e dell’oratorio, agli addetti al teatro e al museo o agli scavi, per tornare poi alla cabina di regia dove il decano del Consiglio pastorale ha dato del suo meglio. Aggredirlo come ha fatto, con le parole e con lo scritto, l’arcivescovo è stato indegno dello stato apostolico al quale egli avrebbe dovuto confarsi. Ma tant’è…».

E infine c’è stato però l’arrivo di don Lai. Un punto fermo e una svolta, oppure soltanto una parentesi?

«Dirò subito di don Marco Lai, che certo ha i numeri anche lui – con il suo specifico – per essere non solo un bravo parroco, ma un grande parroco, degno continuatore di don Mario Cugusi… Prima, però, vorrei dire una parola conclusiva, di cronaca, sui passaggi di resistenza rispetto al provvedimento dell’arcivescovo dello scorso luglio, anche se formalizzato soltanto a settembre. Dopo l’informativa generale e previa di cui ho detto all’inizio, indirizzata alla Congregazione del Clero, don Mario ha inviato il suo ricorso all’ordinario diocesano, come il codex prescrive molto chiaramente: rimozione – nonostante che di rimozione non si parli nel decreto arcivescovile ma soltanto di “cessazione dall’ufficio” – senza motivo, perché in un decreto un vescovo non può scrivere “deciso per vendetta”, non sarebbe canonico e non sarebbe estetico».

Si sa che, nella fattispecie, il vescovo può respingere il ricorso ma deve, dovrebbe astenersi da altri atti ostili al ricorrente.

«E invece c’è stata la formalizzazione della nomina del successore. Di qui il nuovo ricorso di don Mario, stavolta alla Congregazione del Clero presso la Santa Sede. La quale Congregazione, con un fax al decano dell’uscente Consiglio pastorale, ha inviato una comunicazione il giorno 16 ottobre con una formulazione tecnico-giuridica molto stretta, che a parere di diversi farebbe ritenere che essa Congregazione propenda ad inquadrare la vicenda di Sant’Eulalia proprio come una rimozione immotivata e non come una neutra “cessazione dall’ufficio” per decorrenza del tempo per il quale l’ufficio fu conferito. Anche perché, sul punto, andrebbe ricordato che nel decreto dell’arcivescovo Alberti del 1989 (che trasformava in parrocato l’amministrazione parrocchiale cominciata nel 1983 e successiva alla vicaria parrocchiale del biennio 1980-1982) si conferiva il mandato sì per nove anni, ma con proroghe ove “esigenze pastorali lo esigessero”. Il che è evidentemente stato riconosciuto dallo stesso Alberti fino al 2003 – sono dunque ulteriori cinque anni dopo l’89 – e ancora da Mani dal 2003 al 2010 – e sono ancora altri sette anni. Esigenze pastorali. Il parroco uscente e il Consiglio pastorale e molti della comunità rilevano questo: la “cessazione dall’ufficio” che non sia da intendersi come rimozione non può negarsi al confronto con le “esigenze pastorali”. Queste non sussistono più? Lo si dica e lo si scriva, nero su bianco. Non sono state fronteggiate adeguatamente? Lo si scriva. Ci si assuma le proprie responsabilità».

In attesa dunque dell’esito dei ricorsi siamo ormai entrati nella fase Lai. Sarà un bene per Sant’Eulalia?

«Don Marco Lai – per me anche un amico da un quarto di secolo!, dai tempi della nostra comune gioventù o dell’inoltro nell’età adulta – è uomo di grandi qualità, è prete di grande fede e spiritualità e anche buone letture, è cristiano di grande sentimento partecipativo alla sorte dei più deboli. Come parroco ha fatto anche lui miracoli. Tanto più a Santa Margherita di Pula, dove ha rilevato – dopo un breve interregno – la parrocchia che era stata di don Cannavera. Parrocchia complessa, multicentrica, distesa sul territorio fra mare e montagna, dico meglio fra villaggi di seconde case marine e turistiche e case coloniche di vecchi assegnatari ETFAS, insomma fra vacanza e lavoro di campagna… E negli anni del parrocato di Santa Margherita egli ha iniziato a dimostrare chi era, arrivando a cedere perfino il suo letto agli ospiti bosniaci che, come Caritas, era riuscito a portare in Sardegna, salvandoli dalla guerra. Nuclei familiari interi, ragazzi e bambini, adulti, uomini e donne, bisognerà scriverla quella storia. Ha fatto, maturando in quegli anni esperienze straordinarie, umane ma anche cristiane, di prete di trincea. Esperienze che, in verità, per certi aspetti aveva iniziato, in altro contesto, certo più tranquillo, come vicario a San Pietro di Assemini, subito dopo la sua ordinazione, nel 1980, e a Sant’Eulalia, collaboratore allora, fra il 1984 e il 1985, proprio di don Mario Cugusi. Ottimo il loro affiatamento, e i risultati si sono visti nel tempo. Poi Santa Margherita e dopo altri tredici anni eccolo a Sant’Elia, a raccogliere una eredità nobile, quella di don Guido Palmas, che era stato per lunghi anni missionario in Brasile e cappellano all’ospedale “SS. Trinità” ed oggi è arciprete nell’antica cattedrale di Suelli. E a Sant’Elia, pur in mezzo alle difficoltà che sono conosciute, ha lavorato con le famiglie, con i giovani, ha valorizzato i collaboratori perché, fortunatamente per lui, non è un accentratore… Certo, dal mio punto di vista e per quanto se ne è detto da chi conosce le cose, il vedere il quartiere di Sant’Elia, che pur non è più quello di trent’anni fa – il quartiere del prete-operaio, il quartiere ante-Vasco Paradisi cioè, per dire dei responsabili parrocchiali –, vedere il quartiere come roccaforte elettorale di un partito come è quello che purtroppo governa o sgoverna Cagliari, è triste» (2).

Cos’è cambiato, perché è cambiato?

«Si risponde: sono arrivate le elemosine comunali, che non aiutano la maturazione dello spirito pubblico, la consapevolezza civica, la comprensione ovvia e banale che una politica elemosiniera non regala nessun futuro ed è a puro esaurimento delle risorse, è intimamente disonesta e prepara nuove sconfitte e segregazioni… Se ne dà qualche colpa, dico di questo scadimento della coscienza di classe e civica in cambio dei belletti e dei deodoranti, anche alla parrocchia che non avrebbe preteso dall’Amministrazione un profilo alto nella progettualità del domani condiviso e non si sarebbe impegnata nella educazione sociale che è dovere e responsabilità, dignità capace di fronteggiare l’imbroglio di certa politica. Sarebbe mancata alla parrocchia la capacità di una lettura critica della sostanza vera di una classe “non”dirigente, senza ideali, senza gusto alla gratuità».

L’avrebbe anzi accarezzata…

«Ma al di là di questo, che pure è importante, importantissimo anzi, certo è che con il parrocato si è associato, in don Lai, il servizio di direzione della Caritas diocesana. E forse nessun prete del clero cagliaritano avrebbe potuto fare di più e meglio di Marco Lai in quel settore in questi anni. E se un limite c’è stato anche nella attività della Caritas – perché la critica è lealtà, è interessamento, è dono di intelligenza, e dunque è doverosa –  è quello di non aver suscitato, fra gli amici della vasta e meritoria rete, una mente “avversa”, critica per statuto o chiamata, sicché la resa avrebbe potuto confrontarsi anche con questo giudizio. E forse alla Caritas – ma credo di più alla testa della diocesi – si sarebbe dovuto chiedere, in questi anni, di lavorare nella educazione, lungo prospettive orizzontali, perché poi il volontariato come recinto sia finalmente sostituito da un volontariato presente nella identità propria e ordinaria di ogni cristiano che va alla preghiera, alla messa, alla processione».

Ha partecipato all’insediamento del nuovo parroco?

«Sì, certo. E però confesso, e mi duole dirlo, con un doppio sentimento: di felicità per Marco, perché Sant’Eulalia – per la storia della parrocchia e per il lascito impagabile che da don Cugusi ha raccolto – costituisce come una promozione, un riconoscimento di merito cento o mille volte più di un titolo di monsignore che l’arcivescovo Mani ha dato a lui e a quanti altri soltanto perché ne aveva un cassetto pieno e non costava nulla regalarlo. E però, con la felicità anche per la comunità che in don Marco troverà per qualche tempo una guida nella fraternità (3), anche una oppressione: perché quella del 17 ottobre è stata una festa, una bella festa, ma che è scaturita da un delitto».

Note

1) Quanto dichiaravo circa la Congregazione del Santissimo Sacramento rifletteva una mia intima persuasione, e non era condizionato, né lo avrebbe potuto, da alcun interesse particolare, magari celato o a latere.

Debbo confidare ora che le opinioni espresse, con assunzione di responsabilità sempre e comunque, in ordine alla vicenda del contrasto o contenzioso fra don Cugusi e l’arcivescovo hanno determinato – ecco come si è sviluppata ora la “persuasione” – gli organi dirigenti della Congregazione a revocare improvvisamente e senza accenno ad alcuna motivazione, se non richiamando una clausola naturale del contratto di comodato gratuito, la disponibilità dei locali affidatimi nei pressi della parrocchia. Locali che ospitavano da alcuni mesi il fondo librario intitolato a Paolo De Magistris, sorto con l’intento di mettere a disposizione dei cagliaritani – e soprattutto dei ragazzi delle scuole del centro storico – una ricca serie di testi di prevalente argomento religioso e storico/letterario/artistico sardo e cagliaritano.

Due precisazioni al riguardo: il testo della conversazione con Biolchini circa le relazioni fra parrocchia e Congregazione io lo segnalai, inviandogli la trascrizione, al presidente. Con questi ebbi anche uno scambio amichevole di lettere che non facevano certo presumere né l’intenzione né tanto meno la tempistica (in termini di imminenza) dello sfratto “per punizione” (evidentemente, ripeto, secondo la mia interpretazione). E anzi, in piena corrispondenza con i miei sentimenti e i miei ringraziamenti per tanta liberalità, egli mi ringraziava a sua volta della qualità della relazione, seppure confermandomi l’orientamento della onlus a vivere in una dimensione del tutto “altra” rispetto alla comunità cristiana della Marina.

Io rispondevo in ultimo: «Quanto ho detto nella intervista risponde pienamente alle mie convinzioni, sulla base delle conoscenze che ho di uomini e cose. E per quanto personalmente ti riguarda – anche come uomo pubblico – , mi consola molto che quanto mi scrivi confermi e certifichi ancora le opinioni maturate anche nella esperienza. Verrà il momento delle ricapitolazioni. Forse adesso è la fase della decantazione delle polemiche, E la decantazione dovrà nutrirsi di attività. Le energie orientate a nuove produzioni favoriranno anch’esse stagioni migliori. Grazie affettuose sempre della considerazione e dell’amicizia cui, con lealtà – la lealtà di sempre – sono impegnato a corrispondere». Così il 26 ottobre 2010. Lo sfratto è venuto meno di due mesi dopo.

E in seconda battuta. Ho adempiuto puntualmente (e perfino in anticipo sulla scadenza notificatami) alla ingiunzione di restituzione dei locali puliti e ordinati, ché la parola – ritengo – vale più di tutto e in tutte le circostanze della vita sociale.

Valendomi della facoltà datami dal figlio di don Paolo, Luigi – conservatore del fondo –, ho regatalo la biblioteca, nella larga espressione dei suoi titoli, alla comunità civica di Villacidro, facendone formale destinataria la Fondazione Giuseppe Dessì, che ne garantiva la pubblica fruizione. E con l’impegno, a questa esplicitamente richiesto, di promuovere dei filoni di ricerca storica e letteraria sul rapporto secolare fra il capoluogo e quel meraviglioso centro di mezza montagna. Ricordo il cidrese senatore Antioco Loru, avvocato e professore, sindaco di Cagliari nel 1850, e consigliere comunale e provinciale per decenni nonché rettore dell’Università, al pari dell’altro cidrese Giuseppe Todde, anch’egli avvocato e professore, giurista ed economista di fama nazionale; così come anche Giuseppe Fulgheri – assessore comunale di Cagliari lui che sarebbe diventato il primo e autentico protagonista del romanzo Paese d’ombre… E ricordo Ignazio Cogotti, altro cidrese e avvocato, sindaco di Norbio-Villacidro ma autore, negli anni di studio in città, dove si sarebbe laureato con il professor Bacaredda, di straordinari sonetti in lingua campidanese su soggetti cagliaritani…  E naturalmente Giuseppe Dessì, nato a Cagliari (e battezzato alla Marina, al Santo Sepolcro, nell’agosto 1909), figlio di cidresi d’antica pianta…

2) Trattandosi di una intervista datata è chiaro che il riferimento era alla giunta Floris che io – nella più soggettiva delle sensibilità e convinzioni – ho giudicato pessima per il fare in pressoché tutti i settori amministrativi e tanto più per lo scadimento dello spirito pubblico che il suo comportamento complessivo, la qualità perfino umana delle sue formazioni, hanno sempre più determinato o incoraggiato.

Né è possibile dimenticare la presa di posizione del sindaco in quanto… parrocchiano di Sant’Eulalia, naturalmente di “rinforzo” alla parte “forte”. Venendo egli, democristiano nato, da un partito che si chiama “Forza” Italia tutto si spiega. E’ competenza di radici.

Non so se la più empatica personalità del suo giovane successore saprà riaggiustare il tiro, e dire non all’arcivescovo quel che deve fare o non fare, ma alla città intera che l’Amministrazione municipale conosce la virtù civica di don Mario Cugusi e la onora per i trent’anni di servizio quotidiano da egli reso al quartiere della Marina. No so, ma lo spero.

3) Nei dieci mesi circa di suo parrocato don Marco Lai si è speso con generosità, abilità  e risultato a favore della comunità affidatagli e da lui già conosciuta per la partecipazione avuta, alla metà degli anni ’80, come diretto collaboratore di don Cugusi. Ricostituito il Consiglio pastorale, riavviati i corsi di catechismo tanto più dei bambini, rilanciate alla grande le attività in teatro e nei campi sportivi dell’oratorio, seguito pur con modalità diverse l’impegno ecumenico con cattolici-uniati e con ortodossi, la trama delle relazioni parrocchia/quartiere ha ripreso slancio, irrobustita anche dalle mediazioni della Caritas che don Lai dirige ed è prezioso indirizzo all’inserimento di giovani e famiglie provenienti dal più lontano estero. La semina trentennale di don Cugusi non poteva non dar frutto. Così come ha dato frutto, evidentemente dove più dove meno, o dove meglio dove peggio, la semina di lunghi anni che ha avuto, in luoghi diversi, don Lai come protagonista.

Gli uomini passano. Anche gli uomini ingiustamente feriti, e prima che arrivi il tardivo compenso. La cronaca prende ad occuparsi d’altro e di altri. Anche don Cugusi è passato, almeno per la cronaca, è giusto che passasse. E’ giusto però anche che ancora e sempre si sappia: abbattuto con la violenza del contro-Vangelo, fra gli applausi dei proni e dei sibilanti che non fanno storia.


 

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