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Vindice Ribichesu, fra giornalismo e massoneria la via per la libertà e il progresso civile e materiale della Sardegna, di Gianfranco Murtas

Posted By cubeddu On 27 giugno 2015 @ 07:10 In Blog,Cultura e Scuola,Persone | Comments Disabled

 

L’articolo che pubblichiamo è per la massima parte lo stesso che è uscito, venerdì 26 giugno 2015, sul sito di Edere Repubblicane. Al termine della assemblea degli amici che nella medesima data ha ricordato, in una sala del Consiglio regionale della Sardegna, la figura pubblica e la personalità a tutto tondo di Vindice Gaetano Ribichesu da poche settimane scomparso, l’autore ha voluto integrare con poche altre righe il testo.

 

La biografia pubblica del giornalista è consegnata per la parte prevalente alla sua stessa scrittura. Essa la documenta e la racconta.

Movendo da questo assunto e con la intenzione di onorare la memoria, cara e calda, di Vindice Gaetano Ribichesu – fratello di idealità umanistiche e repubblicane che ci ha lasciato pochi giorni fa –, ho cercato di ricostruire, sia pure per sommi capi, un suo profilo proprio basandomi sulle stagioni in cui la professione ne ha marcato la vita, facendone come l’interfaccia di altre esistenze ed esperienze, di altre ricerche e conquiste. Radicata la sua, oltre evidentemente l’area degli affetti più intimi, sull’amore indissolubile alla Sardegna e insieme ai valori universali della libertà e della democrazia, della giustizia e della tolleranza, della uguaglianza e della prossimità. In essi – egli uomo di ascolto più che di parola, di misura più che di espansioni, parco ed austero per natura ed educazione – collocava la riflessione sulle modalità, storicamente più rispettose degli interessi generali, dell’ordinamento statale, e dunque sugli indirizzi del federalismo, della autonomia dei territori non per l’isolamento ma per la relazione. Direi meglio: sulla responsabilità e la cultura dell’autogoverno in chiave di “ponte” verso altri, in vista di costruzioni nuove sempre nella prospettiva mediterranea e continentale e, per santa utopia, universale. La sua stessa adesione e militanza più che quarantennale alla Massoneria giustinianea ne certificava l’autenticità dell’imprinting ideologico che definirei dialogico e laicamente comunionale.

Per fatto personale. Quaranta e passa anni di incontri, conversazioni, scambi amicali ho creduto possano consentirmi di partecipare alle occasioni che, con il sentimento ed il ricordo, possono restituirgli – dichiarato in pubblico – il grazie per la sua signorilità, per la generosità del suo darsi, nelle circostanze più diverse, a segnalare quei tanti delle minoranze forse sconfitte che hanno seminato per noi e per tutti testimonianza e sacrificio. Lo dico, nello specifico, per gli uomini della democrazia repubblicana e sardista che hanno servito la causa ideale nella temperie dell’antifascismo, nelle fatiche della costruzione della repubblica italiana, una e indivisibile, e insieme della autonomia speciale della Sardegna al modo del suo grande concittadino Camillo Bellieni. Per questo, onorato, ho avuto con me Vindice – un nome di battesimo, questo, che ci riporta alle atmosfere sattiane e di certo socialismo umanitario dell’asse Nuoro-Sassari fra Ottocento e Novecento – nelle presentazioni pubbliche di opere che raccontavano l’originalità della elaborazione intellettuale e politica, così come la virtù cittadina mostrata nella prova, dei Lussu e dei Melis, dei Saba e dei Pintus, dei Fancello e dei Siglienti, dei Mastino e di quanti altri con loro.

Porto questo vanto morale: Vindice fra i relatori di quei certi titoli…, di Sardismo e Azionismo negli anni del CLN, di Con cuore di sardo e d’italiano, di Storia del Cavaliere senza macchia e senza paura, pubblicati con il concorso finanziario dell’Associazione Cesare Pintus; Vindice autore collettaneo di Per Alberto Mario Saba, Vindice moderatore-presentatore, a palazzo Sanjust, di lavori massonici come Liberi accettati pensatori, in Barbagia, come Professione ideologica e militanza civile degli Artieri del Tempio in Sardegna fra Ottocento e primo Novecento, come Le carte della “Vittoria”. Il fondo massonico della Biblioteca comunale di Cagliari.  Vindice anche, quel certo giorno dell’autunno 1979, fiduciariamente impegnato da Armando Corona, allora presidente del Consiglio regionale, di adattare meglio al suo linguaggio la relazione che per lui avevo steso per l’ apertura del convegno asproniano di Nuoro, cui partecipò anche Giovanni Spadolini.

E aggiungo: un uomo siffatto, che s’era professato – presentandosi alla loggia Gio.Maria Angioy all’Oriente di Sassari nell’autunno 1971 – di idealità radical-socialiste, non poteva non essere dentro, protagonista-testimone, nel momento dell’urgenza, alle vicende civili e politiche che imponevano nettezza di collocazione, allora nel pieno delle battaglie dei giornalisti de La Nuova Sardegna contro l’arroganza censoria della SIR proprietaria del giornale ormai da quattro anni. Dal 1967, anzi, egli fu uno degli esponenti di coagulo della redazione che cercava di difendere ogni spazio di libertà in quel giornale che aveva conosciuto stagioni alte e stagioni mediocri e scivolose, di recuperi e anche di qualche nobiltà. E in quell’anno stesso in cui Satta-Branca (seguito poi dai consoci di minoranza) passò la proprietà de La Nuova Sardegna a Nino Rovelli, defilandosi progressivamente dalla direzione effettiva, e concedendo spazio crescente al vicedirettore, poi condirettore responsabile, Aldo Cesaraccio (in sintonia con la SIR e le sue ragioni o i suoi interessi), lanciò – Vindice – una testata figlia legittima ma non riconosciuta altri che da Satta Branca stesso, galantuomo, una testata che avrebbe dovuto o voluto salvare gli spazi di libertà informativa nell’antica azienda: La Nuova Sardegna del lunedì. Salvo errore (è materia che dovrò approfondire ed a Cagliari la documentazione è forse lacunosa), durò appena quattro mesi  quella testata che portava la firma di Satta come direttore formale e di Vindice Ribichesu come condirettore responsabile – trenta numeri in tutto, 25 nel secondo semestre 1967, 5 nei primi due mesi del 1968 – e poi s’affermò la volontà proprietaria di dare per esaurito l’esperimento. Ne dirò poi.

Certo è che da questo – anche da questo – risale la coerenza della figura civica e professionale di Ribichesu, l’onore che rendeva a quella marca ideale cui dichiarava di riferirsi – il radical-socialismo – ed a quell’altra, di espressione massonica, che sarebbe stata una divisa morale, etico-civile, per quarant’anni e passa. Direi proprio: degno di un Soro-Pirino, per dire un Venerabile massone sassarese, amico di Mazzini, tra i fondatori della Società operaia di mutuo soccorso cittadina, eletto deputato ma con rinuncia immediata al fine di non giurare fedeltà al re, e degli altri con lui come Antonio Zanfarino (medico e a lungo consigliere comunale, nonno materno del presidente Cossiga), Pompeo Calvia il poeta dialettale, Annibale Rovasio bersaglio fisso dei fascisti sassaresi: loggia attiva fino al 1925, in risveglio nel 1945 con qualche oltranzismo di antifascismo repubblicano che si dovette poi temperare nel nome dell’ecumenismo massonico…

Nel concreto, l’apporto che sento di poter recare alla ricostruzione biografica della ricca personalità di Vindice Ribichesu è, intanto, e soprattutto, quello afferente la sua attività giornalistica e saggistica; a seguire, od originalmente incrociato ad esso, quell’altro relativo alla sua militanza nella Libera Muratoria isolana.

L’Opac Sardegna è poverissima di spogli: sono appena 76 i titoli che rimandano a monografie e, appunto, a spogli di giornali da cui derivare la firma di Ribichesu. Per la metà (esattamente 37) si tratta di articoli usciti sulla terza pagina de La Nuova Sardegna fra il 1958 (“L’artigianato sardo nella casa moderna nuovo obiettivo per la produzione isolana”, 11 maggio) e il 1974 (“Anche se non scoppia la crisi il problema del ritorno rimane” e “Non si vuole risolvere i veri problemi dell’emigrazione”, 2 e 9 febbraio, ultime puntate di sei sull’emigrazione isolana in Europa, all’insegna di “Se gli emigrati tornassero in massa in Sardegna”). Nulla, si può ben dire, rispetto alle cinque-seimila firme che potrebbero censirsi soltanto dalle colonne dei quotidiani, su La Nuova Sardegna soprattutto (ma non soltanto: non ho avuto il tempo, infatti, di controllare Tuttoquotidiano nella sua seconda stagione, fra l’estate del 1976 e l’autunno 1978, quando il giornale – dopo il fallimento della Sedis – fu pubblicato, in autogestione di giornalisti e tecnici, «per il costante impegno della Federazione Nazionale della Stampa Italiana e della Federazione Nazionale dei poligrafici» ).

Il tanto delle sue collaborazioni in un arco ampio di testate di vario orientamento, sul filo rosso peraltro della cultura sarda e della democrazia militante, è collocabile naturalmente all’epoca successiva alla uscita dal giornale sassarese, quando il nuovo incarico di addetto (e poi capo) dell’ufficio stampa del Consiglio regionale gli consentì presenze più sciolte, ora scritte – su giornali e su libri – ora orali, in quanto relatore, conferenziere, moderatore. Esse si combinano spesso, ma non si esauriscono in esse, con partecipazioni attive ai programmi di diversi sodalizi culturali lato sensu: dalla Edes a Fondazione Sardinia, dall’istituto Gramsci alla Libera Muratoria.

Mi sono applicato, in questi giorni che han seguito il decesso di Vindice – il suo passaggio all’Oriente Eterno –, di onorarne la memoria frugando nella mia biblioteca ed emeroteca per il tanto almeno di duplicare, o triplicare e anche più quanto sbrigativamente porta l’Opac Sardegna. Perché questo mio regesto costituisca il nucleo di un più compiuto censimento cui altri potranno liberamente partecipare.

E intanto però ecco alcune parole sulla attività professionale della sua prima stagione.

Apprendistato e carriera a La Nuova Sardegna. Ancora studente universitario coinvolto nelle attività dell’Orus – che a Cagliari aveva l’omologo nell’Oruc e che, se non sbaglio, nel 1954 aveva organizzato un congresso universitario regionale del genere di quello nuorese cantato, come rigoglio di gioventù modernista, da Sebastiano Satta nel 1902! – aveva collaborato, senza firmare alla pagina sassarese de L’Unione Sarda che proprio dal 1954, sotto la direzione di Fabio Maria Crivelli, aveva teso a progressivamente allargare la foliazione, a renderla più ordinata nella distinzione territoriale della cronaca, con Sassari che ebbe finalmente spazi tutti suoi – tempi di Angelo Demurtas e Filippo Canu – e anche corsivi quotidiani, quelli portati dal titoletto “Grattacielo” e per lo più siglati da Manlio Brigaglia. Così anche a Il Corriere dell’Isola, che era stato fondato nientemeno che dall’ideatore-direttore di Riscossa – l’azionista (del PId’A!) cattolico, fattosi poi democristiano, Francesco Spanu Satta – e dal 1953 era passato alla direzione di Goffredo Santevecchi: un giornale di fatto voce dell’Etfas allora impegnata nella nelle fatiche (elettoralmente ben remunerate) della riforma agraria, con molte pagine speciali curate dagli uffici stessi dell’ente di trasformazione come da quelli della Coltivatori Diretti. E comunque palestra, una palestra per i giovani amanti della scrittura giornalistica e il sogno della professione.

Se dal 1958 comincia ad apparire la firma di Vindice Ribichesu su La Nuova Sardegna – ma una più attenta verifica potrebbe antedatare di uno o due anni –, del 1961 è la sua iscrizione all’albo dei professionisti. La carriera al giornale è tutta una progressiva naturale conquista. Redattore, capocronista, redattore capo – in un Almanacco della Sardegna ho trovato l’organico redazionale del 1963: dodici giornalisti in tutto, con Cesaraccio e Antonio Pinna, Roberto Stefanelli e Giovanni Pisano, Angelo Giagu ed Enrico Clemente, Gian Carlo Pinna Parpaglia e Tonino Carta, Eliseo Sirigu e Gian Adolfo Solinas, Pietro Rubinu ed appunto Vindice Gaetano Ribichesu (Alberto Pinna sarebbe arrivato di lì a pochi mesi) –, direttore, come ho detto, dell’edizione del lunedì (fatta in cooperativa, fra il 1967 ed i primi del 1968, coprendo lo spazio che per vent’anni era stato de La Gazzetta Sarda, una iniziativa editoriale di Sebastiano Pani, l’uomo del granturismo).

Nel 1994 così egli ricordava l’ambiente in quei lunghi anni – gli stessi da lui vissuti, fra il 1958 e il 1974, nella sede di via dei Mille prima, di via Porcellana e via Murroni  poi – in cui La Nuova Sardegna era quella realtà che lo spirito continentale dei nuovi proprietari (quelli del 1980, del gruppo Editoriale L’Espresso), delle nuove direzioni cosiddette progressiste ma piuttosto presuntuose, ma forse dei nuovi tempi più ancora di tutto, avrebbe modificato o alterato o anche, per certi versi, corrotto: «il giornale era un vero “difensore civico”. Se un qualunque cittadino avesse subito una prepotenza o avesse subito una multa che riteneva ingiusta non andava né dal sindaco né si rivolgeva all’autorità giudiziaria: scriveva prima al giornale sicuro d’essere tutelato. Chi ha avuto nel giornale determinati ruoli può testimoniare di essere stato coinvolto perfino in vicende strettamente private».

Nella primavera 1967 il passaggio azionario e l’inizio di crescenti disagi nella redazione condizionata dagli interessi extraeditoriali della nuova proprietà, con manifestazioni di inquietudine, stati di agitazione del personale, scioperi sindacali per contestare la mano presente e pressante della SIR. Una efficace testimonianza su quelle vicende è stata resa da Alberto Pinna nel convegno sulle lotte operaie alla SIR di Porto Torres, organizzato dall’ufficio-studi della CGIL di Sassari nel maggio 1982, i cui atti sono pubblicati nel 1983 in Gli anni della SIR, a cura di Sandro Ruju, per i tipi della Edes, in quella collana cagliaritano-sassarese chiamata “Documenti & Opinioni”, registrata nel 1978 come periodico bimestrale, proprio con Vindice Ribichesu come direttore e Virgilio Lai responsabile.

Questa “Documenti & Opinioni” fu una collana editoriale – val la pena di accennarlo – che negli anni ’70, dopo l’esodo di nove giornalisti da La Nuova Sardegna alla volta di Tuttoquotidiano e/o dell’ufficio-stampa del Consiglio regionale, portò nei circuiti delle librerie saggi e atti di convegni che registravano i temi caldi del decennio. E in quella tribolatissima parte finale del decennio – la stessa del terrorismo e dell’omicidio Moro – furono titoli che accompagnarono la produzione giornalistica, insieme orgogliosa e sofferente, dell’Isola.

Ho accennato allo sforzo compiuto dai giornalisti critici di dar vita in cooperativa, nell’estate 1967,  ad una nuova testata da essi vissuta come espressione di professionalità autenticamente interpreti del vissuto cittadino o provinciale (sassarese) e regionale: Arnaldo Satta accettò di mettere il suo nome nella gerenza, benché la condirezione responsabile fosse assunta da Vindice Ribichesu.

Presentando il giornale, sul numero 1 recante la data  del 3 luglio 1967, sotto il titoletto “Un giornale nuovo” questi scrive: «Un giornale nuovo perché ha uno stile redazionale e tipografico diverso da quello del giornale confratello, il quotidiano; tradizionale perché accoglie il principio che il giornale deve essere aperto a tutti, senza preclusioni che non siano quelle poste dalla legge. Un principio di libertà, questo, che costrinse La Nuova Sardegna a tacere per vent’anni, ne ha fatto poi la fortuna, come dimostra il consenso sempre crescente che i lettori sardi le danno. Solo consentendo anche nelle nostre colonne un libero dibattito di idee spesso contrastanti, possiamo meglio servire i nostri lettori, ai quali potremo così offrire un’informazione quanto più possibile obiettiva e chiara.

«Assenza di preclusione ideologica non significa certo assenza di ideologia: significa essere disposti sempre a confrontare la propria con altre. Questo, in definitiva, è l’essenza della democrazia».

E infine: «Abbiamo fiducia che non deluderemo i vecchi e nuovi lettori: con i quali il rapporto da noi instaurato non deve esaurirsi nell’atto dell’acquisto del giornale, ma deve essere perfezionato con giudizi, suggerimenti, indicazioni ed anche critiche, intese sempre a dare un giornalismo sempre migliore, sempre attento ai problemi del nostro tempo, soprattutto a quelli della Sardegna, che attraversa momenti così difficili».

Sono anni caldissimi anche questi e già questi – e il 1967 è forse l’epicentro temporale di una stagione critica quanto è perfino difficile dire – tanto più per l’ordine pubblico, per le esplosioni di banditismo, per le proteste sociali in cumulo di pastori, minatori, studenti, ecc. e per le fatiche attuative del Piano di Rinascita, anche per il difficile rapporto della Regione con il governo nazionale ed il Parlamento, ma forse soprattutto per la inadeguatezza della nostra classe dirigente da taluno liquidata genericamente e banalmente come subalterna agli interessi italiani, mentre si radica il modello polarizzato dello sviluppo industriale (di industria sporca di base), e il turismo evolve verso le formule di verticalizzazione costiera in aree ancora limitate.

Su questi temi, tanto nella foliazione del lunedì quanto in quella ordinaria del quotidiano, Vindice Ribichesu torna spesso. Nei giorni della cattura di Mesina, fra Orgosolo e Mamoiada – marzo 1968 – firma, come inviato speciale a Nuoro ed Orgosolo, diversi articoli, fra i quali – vado per titoli – “La solidarietà per la sorte del ‘poveraccio’ nell’abbraccio di Peppino Capelli a Mesina: ‘Mi ha salvato la vita due volte’”, “Mesina: ‘Ci uccideranno se vi porto dagli ostaggi’” con sommario: “In casa della madre – La dedica di Carmen da Tenerife e un ciuffo di capelli biondi – Avrebbe voluto fare il radiotecnico”. Nel gran novero dei servizi di prima pagina a tutta firma anche, di cronaca particolarmente gustosa, quelli sul processo, a Perugia, al confidente della Mobile Biagio Marullo, «incriminato di ben 9 furti in appartamenti oltre alla tentata rapina della gioielleria e al resto», che si era dipinto «come uno 007 non con licenza di rubare così come era apparsa agli ingenui, ma con licenza di sconfiggere il banditismo sardo».

Per sorridente paradosso, proprio nel primo numero de La Nuova Sardegna del lunedì, ma nuova formula aziendalizzata, con Cesaraccio – il signor nemico Cesaraccio condirettore responsabile al suo posto –, il 12 maggio 1969, Vindice firma l’editoriale “Una difficile scelta per i sardi”, con riferimento alle imminenti elezioni regionali. Basta qualche riga per dare l’idea della vivacità ed efficacia della scrittura: «Che non si parli, per favore, di maggiore età o di maturità dell’autonomia regionale. La si smetta coi luoghi comuni e se fra un mese i Sardi eleggeranno il VI Consiglio regionale si rifletta sul numero della legislatura, ma soltanto per trarre un bilancio non soltanto di ciò che si è fatto, ma anche di ciò che non si è fatto e che molto probabilmente si sarebbe potuto fare. Siamo però in piena campagna elettorale e questo discorso, fatto da noi, può essere troppo variamente interpretato: limitiamoci alla cronaca…».

E più oltre: «Questa della Sardegna è la prima consultazione politica dopo l’anno della contestazione. La si può giudicare in vari modi ma la contestazione è stata più di una volta l’occasione perché partiti, sindacati, organizzazioni economiche si guardassero dentro […] e si riconoscessero, sempre più spesso, superati dalla realtà».

E verso la conclusione: «Gli ormai prossimi anni Settanta possono essere – soltanto che si sia capaci di conseguire l’obiettivo – gli anni dell’effettivo decollo economico della Sardegna del quale troppo spesso si è parlato sproposito, un decollo economico, però, che non sia sacrificio dell’uomo, riduzione del sardo a stolido prestatore d’opera, a macchina in definitiva estranea al processo del quale è soltanto un meccanismo. A nulla vale un po’ di benessere in più – appena al di sopra della sopravvivenza – se non si vive più da uomini».

Del molto altro che segue nel tempo e che può dare una idea pesata e misurata del profilo ideale e professionale di Vindice negli anni lontani di preparazione alla sua… seconda stagione di vita, quella vissuta a Cagliari cioè – potrei ancora citare un articolo che conservai allora, giovane o giovanissimo lettore critico, in parallelo, de L’Unione Sarda e de La Nuova Sardegna. Un articolo di prima pagina, di spalla, del 24 febbraio 1972. Titolo grande: “Valpreda: prima udienza-fiume”, sotto l’occhiello “Il processo per i sanguinosi attentati di Milano e Roma”. Il commento dell’articolista è così sintetizzato: “Un’istruttoria e il dubbio”.

Eccone alcuni passaggi: «E’ un processo politico, non c’è dubbio; è il processo più importante della non lunga storia della nostra giovane repubblica. Ed è il più inquietante. non solo per l’agghiacciante carattere terroristico del fatto, non solo per il numero delle vittime, ma anche perché svela clamorosamente quanto fragili siano (o quanto sono ritenute fragili) le strutture della nostra democrazia. Una democrazia che appare […] tanto debole da poter barcollare e forse cadere sotto un impulso emotivo, sotto la spinta di un isterismo collettivo. E ciò che più chiaramente ha rivelato questa lunghissima istruttoria durata ben 25mesi pare che sia proprio questo: che spesso si è agito in preda all’isterismo, anche se gli effetti politici del terribile attentato non sono stati quelli che gli attentatori si proponevano.

«Che Valpreda e gli altri siano innocenti non lo possiamo certo dire noi prima dei giudici, ma possiamo ben dire che il dubbio sotto la cui ala si è aperto questo processo non è certamente dettato dalla sola presunzione di innocenza che c’è (o dovrebbe esserci) fino alla sentenza. E’ un dubbio che investe tutto il procedimento al punto che da più parti ci si attende che la vera istruttoria sia quella dibattimentale e che in quella sede sia data risposta agli innumerevoli interrogativi che questa brutta faccenda ha posto. Questo processo non deve essere il classico confronto tra innocentisti colpevolisti, che ogni processo indiziario, ogni “giallo” può determinare  nell’opinione pubblica; deve essere una ricerca appassionata della verità, perché non è in gioco soltanto la sorte di persone come Valpreda, forse vittime di una macchinazione diabolica, ma è in gioco la”credibilità” della nostra democrazia. Ogni sistema giuridico ha in se stesso la possibilità dell’errore, ma se Valpreda è innocente, non si tratta certamente di un semplice errore giudiziario…».

Conclusione: «Se davvero, come si sostiene, è stata organizzata una “strage di stato”, il processo di Roma non deve rappresentare una pietra sopra un brutto episodio, ma deve essere il primo atto di un processo più vasto, politico soprattutto, che deve finalmente proclamare che l’Italia non è una repubblica fondata sulle variazioni umorali di una massa non di cittadini,  ma di isterici. La risposta a chi crede di poter dare scossoni alla storia con gli attentati dinamitardi l’ha già data, del resto, la compostezza della popolazione di Milano in quella livida giornata invernale dei funerali delle povere vittime del massacro di piazza Fontana: un dolore profondo, vero, che nessuna provocazione fascista ha potuto trasformare in ira cieca».

Massoneria atto primo (e dintorni). Quando scrive così del caso Valpreda, Vindice Gaetano Ribichesu  ha già da cinque mesi presentato domanda di iniziazione alla Fraternità liberomuratoria; la sua richiesta è stata anche già votata favorevolmente una prima volta, altre due confermeranno all’unanimità, nella primavera 1972, la volontà della loggia sassarese di averlo fra le proprie Colonne.

Nel “testamento” che gli vien chiesto di stendere perché i suoi propositi e il suo mondo valoriale siano meglio conosciuti dalla comunità alla quale ha liberamente chiesto di legarsi – esigua in quanto a numeri, ma di tradizioni antiche (la loggia fu fondata nel 1893, giusto un anno dopo La Nuova Sardegna!) e non meno prestigiose –, insiste, declinando i propri debiti, sui verbi relazionali: verso se stesso, «conoscermi sempre meglio per meglio conoscere gli altri e saper ritrovare in ognuno il meglio che può dare»; verso l’umanità, «essere un individuo capace di comunicare con un altro individuo»; e verso patria, «Le tradizioni, la cultura, il senso della tolleranza e della umana convivenza, una comunanza di gusto e di interessi che non si chiude in se stessa ma guarda al resto dell’umanità».

Iniziato così fra le Colonne della più antica delle logge isolane, tre anni dopo, a seguito del trasferimento di residenza e professionale a Cagliari, chiederà ed otterrà l’affiliazione, con il grado già di Compagno d’arte, alla loggia Risorgimento, essendo Venerabile il professor Paolo Carleo (noto nella vita pubblica sarda come docente di economia agraria in facoltà di Economia e Commercio e come esperto del Centro di programmazione regionale, egli legherà il suo nome alla presidenza del tribunale massonico che espellerà, nel 1981, Licio Gelli dal Grande Oriente d’Italia).

E’ pertanto nel contesto della frequenza alle attività della Gio.Maria Angioy che Ribichesu sviluppa, in coerenza con le premesse, le sue azioni in difesa della libertà di stampa, costantemente ribellandosi, con i suoi colleghi, alle indebite intromissioni della proprietà nel lavoro redazionale. La circostanza vale a dimostrare – se i fatti valgono qualcosa – l’impegno effettivo della Massoneria, e certamente della Massoneria sarda, ad accogliere nel suo seno, senza condizionamento alcuno, personalità che della testimonianza civile hanno fatto una religione.

Le tensioni redazionali sfoceranno, si sa, nell’abbandono di diversi giornalisti, nelle dimissioni cioè da La Nuova Sardegna e nel loro passaggio a Tuttoquotidiano, la testata che esordirà, nella edicola sarda, il 12 luglio 1974. Merita peraltro aggiungere che già da un anno e per quasi un anno – cioè dall’estate 1973 (6 agosto) al 1° luglio 1974 – quegli stessi giornalisti critici hanno fatto gruppo e, data la disponibilità offerta dal professor Manlio Brigaglia a firmare come responsabile il giornale, hanno formato una cooperativa e pubblicato Il lunedì della Sardegna, testimone di molte rilevanti vicende del momento, in Sardegna e fuori: si pensi ai golpe militari in Cile e in Grecia, si pensi allo scandalo petroli in Italia, si pensi all’epidemia vibrionica a Cagliari ed alle prime affermazioni del fenomeno droga nei maggiori capoluoghi, si pensi anche – di pari impatto sociale nell’Isola – al trasferimento dichiarato (e mai però concluso) di Gigi Riva ad un club continentale, ed ancora si pensi al rinnovo elettorale regionale, al referendum abrogativo della legge sul divorzio e al dibattito che coinvolse e anche divise aree culturali importanti e lo stesso mondo cattolico…  Le collezioni de Il lunedì della Sardegna danno poi un dettagliato, puntuale resoconto della battaglia in corso per la difesa della libertà informativa nell’Isola, con la mobilitazione delle forze politiche e sindacali e non soltanto della categoria…

Vindice lascia La Nuova Sardegna insieme con i suoi compagni. Ma la sua destinazione non è Tuttoquotidiano, bensì l’ufficio-stampa del Consiglio regionale dove nello stesso 1974 Giorgio Melis – altro nome di punta del giornalismo isolano, per un anno in aspettativa da L’Unione Sarda – ha messo su il notiziario Sardegna Autonomia. Di esso, fin dal primo numero del 1975, Ribichesu assume la direzione responsabile.

Formalizzata la sua assunzione a far data dal 1° luglio 1974, nominato appunto direttore del notiziario il 25 febbraio successivo, il 30 maggio 1985 egli prenderà le funzioni di capo dell’ufficio-stampa e delle pubblicazioni del Consiglio. Conserverà l’incarico per dodici anni, fino al 31 marzo 1997, cioè fino all’andata in quiescenza.

Evidentemente più libero di distribuire le sue risorse di giornalista “pensante”, da molti via via richiesto, tempestivamente inizia una serie di collaborazioni con testate periodiche le più varie, intanto anche seguendo da presso le vicende tribolate dei suoi colleghi di Tuttoquotidiano. Costretti nel 1976, dopo il fallimento della Sedis – la società editrice della testata – a chiedere al giudice fallimentare l’affidamento dello stabilimento per poter proseguire, in cooperativa – la InES, Iniziative Editoriali Sarde, presieduta da Gian Carlo Pinna Parpaglia – le pubblicazioni del giornale. Il che durerà, fra mille patimenti, per altri due anni. Va meglio specificato: la gerenza del giornale indica negli organi di direzione, unitamente al Comitato di redazione ed al Consiglio di fabbrica, la stessa Associazione della Stampa Sarda: con Sergio Calvi (poi Antonello Madeddu) presidente, Ribichesu vice e Francesco Piras segretario e con rinforzi successivi di Gianfranco Leccis, Enrico Clemente, Alberto Testa e Franco Fiori.

Virtuosità delle circostanze contrarie. Potrebbe dirsi, e si è detto, che  le vicende amare de La Nuova Sardegna, con la conclusiva costrizione di una intera pattuglia di giornalisti a lasciare il posto di lavoro per tuffarsi nelle incognite del nuovo giornale, Tuttoquotidiano appunto, costituiscano una sconfitta non soltanto per la libertà di stampa, rimasta a Sassari sottomessa all’arroganza del potere proprietario (anzi padronale), ma per gli stessi attori della scissione: sassaresi obbligati a trasferire le residenze delle proprie famiglie all’altro capo dell’Isola.

Eppure la cosa potrebbe essere vista non soltanto sotto luci negative. Già partendo dalla esperienza de Il lunedì della Sardegna a direzione Brigaglia (scritto a metà fra Sassari e Cagliari, ma stampato a Cagliari, con quei cronisti uniti in cooperativa che non firmano – né lo possono – e scendono la domenica sera da su a giù con i pezzi impostati, e li impaginano e stampano, prima di ritornarsene in piena notte quasi mattina fra via Muroni e il Rosello con le prime copie da diffondere per dire di inquinamenti di acque e terre e malefatte varie, materiali e sociali, di una SIR politicamente copertissima). Proprio così: a partire dall’esperimento de Il lunedì ed a proseguire con il vissuto tormentatissimo di Tuttoquotidiano e, dopo il 1978, con quello della sede regionale RAI o ancora dell’ufficio-stampa del Consiglio regionale… quel trasloco può essere vissuto, in linea generale, come una occasione di scoperta fortunata e crescente fraternità municipale fra i due capoluoghi, fra le due cittadinanze. Diversi di quei giornalisti sassaresi protagonisti dell’impresa – e Vindice Ribichesu è uno di questi, e un altro è Gian Carlo Pinna Parpaglia, suo sodale e amico fidato come un fratello – piantano radici a Cagliari, con i figli che crescono nelle scuole e nelle università cittadine e s’affermano poi, in loco, nelle professioni. Sognano sempre Sassari – la loro culla – ma amano e comprendono, quei giornalisti nati e cresciuti indipendenti (mai neutrali), Cagliari.

Massoneria atto secondo (e altri dintorni). Il trasferimento familiare e professionale nel capoluogo comporta anche, secondo i regolamenti del Grande Oriente d’Italia, un nuovo incardinamento: il passaggio cioè dalla loggia sassarese ad una delle quattro funzionanti a Cagliari. La scelta cade sulla Risorgimento n. 770, costituitasi nello stesso anno della sua iniziazione, nel 1972 (anno massonico 1972-73), sotto il maglietto di un austero funzionario di banca, galantuomo socialista come quelli “d’un tempo” remoto: Lucio Salvago.

La loggia cui, per quarant’anni esatti, Ribichesu assicurerà presenza, lealtà e lavoro, esordì a Cagliari in contemporanea a quella oristanese che si intitolava nientemeno che ad Ovidio Addis, umanista, storico e archeologo e mille altre cose, dirigente del Partito Sardo d’Azione – quello “d’un tempo” anch’esso, il partito dei Melis e dei Mastino, degli Oggiano, dei Soggiu, dei Puggioni , ecc. E la cosa fa pensare proprio alle ispirazioni etico-civili della Massoneria sarda prima dei travolgimenti dei tempi più recenti, disincantati e meno puntuali agli incontri con gli ideali.

Il titolo distintivo della loggia, richiamandosi a quello che aveva riportato sulla scena cittadina la Libera Muratoria dopo il ventennio fascista, rimandava evidentemente, come altre sul continente, e come anche la seconda delle sulcitane, al risorgimento patrio, unitario e democratico, per il quale morì ventenne Goffredo Mameli, e che fu mazzinianamente curato in Parlamento e nella pubblicistica da un Giorgio Asproni, fatto massone quando la capitale era già a Firenze. Certo ha un significato, a rileggerli oggi, gli articoli a tutta pagina di Vindice Ribichesu allora giovanissimo – 26enne e ancora precario a La Nuova Sardegna – in mortem di Clelia Garibaldi: “Scompare con Clelia Garibaldi l’ultima testimone del Risorgimento”, “L’omaggio di tutto il mondo alle spoglie di Clelia Garibaldi”. Anno 1959, 90° della Repubblica Romana, decennale del monumento di Ettore Ferrari, già Gran Maestro di Palazzo Giustiniani, a Mazzini nella capitale. Nel piazzale oggi intitolato a Ugo La Malfa.

La pratica viene perfezionata nei primi mesi del 1975. La comunicazione formale alle varie officine della circoscrizione regionale (che hanno diritto all’informativa) si associa, fra le altre, a quella del passaggio all’Oriente Eterno, a causa di un incidente automobilistico, di Aldo Fossataro, incardinato nella loggia veterana di Cagliari, la Nuova Cavour.

Ma non trova soltanto gli echi della grande storia, Vindice Ribichesu, nella sua nuova compagine cagliaritana: trova nel 1975 una sfilza di giovani, di studenti universitari – dieci forse – oggi medici, ingegneri, economisti, avvocati. La liaison empatica sembra un fatto di natura, immediato, e porterà frutti.

E’ nelle cose stesse di una realtà associativa – anche di questa specifica appartenente della categoria delle Fratellanze – che i militanti, anche quelli meno propensi agli incarichi direttivi o magisteriali, siano chiamati a far la loro parte in logica di turnazione. Non pare il caso di dettagliare qui la sequenza delle dignità o degli uffici via via ricoperti nell’interesse delle comunità di loggia o d’interloggia, ma ricorderei almeno, già degli anni ’70, la partecipazione di Vindice alle iniziative della Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo. Per tre volte non può ricusare di svolgere le funzioni eminenti di Oratore – nell’anno massonico 1979-80, nel 1982-83 e, molto più in qua nel tempo, nel 2003. Nel 1981-82 ricopre il ruolo di 1° Sorvegliante, il dignitario che, quando necessario, sostituisce il Venerabile nella presidenza delle tornate rituali.

E’ l’Oratore d’occasione, di fianco al Venerabile Mario Giglio, per l’insediamento della loggia Sardegna, di gustosa definizione “glocalist” a Cagliari; ed Oratore di ruolo della sua Risorgimento, in appoggio al Venerabile Delitala – figlio di tanto padre, il pittore massone Mario Delitala – nel 1982, allorché Armando Corona diventa Gran Maestro dell’Ordine.

Per un repertorio giornalistico. Il “mal di penna” – e poi si dirà “della macchina per scrivere” o “della tastiera del pc” – trova sfogo, ho detto, negli anni. Le testate giornalistiche cui non nega la collaborazione richiestagli sono una decina e più, e talvolta si tratta di una collaborazione continuativa (così con Il Cagliaritano, così con Nazione Sarda, così con l’Almanacco di Cagliari, così con Ichnusa – di cui è anzi anche membro di redazione –, così con Esse come Sardegna, ecc. Ma non meno numerose sono le partecipazioni a curatele ed a libri collettanei, a presentazioni o introduzioni a studi, ecc. così come a convegni i cui atti sono destinati a successiva pubblicazione degli atti.

In tale contesto giocano le sue presenze attive nei programmi associativi ora della Edes, ora di Fondazione Sardinia, ora dell’Istituto Gramsci – società e sodalizi in cui svolge ruoli di dirigenza consiliare –, ora anche della Cesare Pintus ecc.

Esporrò qui di seguito l’esito (certamente parziale) dello spoglio di riviste come l’ho potuto compiere in tempi evidentemente brevi o brevissimi e un primo elenco delle sue varie partecipazioni ad opere in volume. E peraltro va detto che, per queste soprattutto, occorrerebbe sottolineare la loro derivazione da partecipazioni associative precise: così, dopo che nella Editrice Democratica Sarda, in maggioranza proprio in Fondazione Sardinia e nell’Istituto Gramsci. Aggiungerei anche, poiché si tratta, in parte almeno, anche qui di volumi, la Libera Muratoria giustinianea.

Nei libri e nelle associazioni. E’ del 1976 la pubblicazione dei testi di studio e testimonianza politica del convegno convocato ad Iglesias in memoria dell’eccidio operaio iglesiente dell’11 maggio 1920. Titolo: L’incontro dei movimenti operaio e sardista. Nel corpo gli interventi di Alberto Boscolo, Giuseppe Caboni, Raffaele Camba, Umberto Cardia, Armando Congiu, Giovanni Lilliu, Giovanni Battista Melis, Michelangelo Pira, Antonio Romagnino. Il volumetto, sobrio, umile, francescano, curato e prefato da Vindice Ribichesu è uno dei primi titoli della Edes, l’editrice di cui ho detto sopra, nata a Cagliari ma di sangue prevalentemente sassarese, e trasferita poi nel capoluogo turritano, che vanta oggi un catalogo di prim’ordine in sede regionale ed ha marcato nel tempo l’area della editoria politica, civile e sociale dell’Isola, proponendo titoli sulla età contemporanea della Sardegna, tanto più sulla ripresa democratica del secondo dopoguerra.

Sono anni, quelli ’70, in cui la Edes – ancora fresca di fondazione – s’afferma rapidamente come soggetto culturale, non soltanto come fabbrica di libri. Basti pensare ai dibattiti suscitati da molte delle sue opere, ed alle dodici antologie dei periodici politici dell’immediato secondo dopoguerra – nel coordinamento anche Manlio Brigaglia, Nino Carrus e Graziella Sedda Delitala –, Stampa periodica in Sardegna 1943-1949.

Meriterebbe ricordare almeno gli esordi della società editrice cui Vindice Ribichesu – e con lui il suo fratello cagliaritano, od ogliastrino-cagliaritano, Virgilio Lai  e naturalmente gli altri più impegnati, cominciando dai due Pinna, Alberto e Gian Carlo – offrì risorse di progettazione e di lavoro. Nelle biblioteche di molti di noi, allora giovani e giovanissimi, iniziarono a giungere quei titoli che, nell’articolazione progressiva delle sezioni del catalogo, raccontavano la Sardegna presente e anche però quella del passato, delle vicende della politica e della religione e della letteratura o del teatro dialettale:  da Il referendum sul divorzio in Sardegna, a cura di Clara Gallini e Luca Pinna, a Cagliari: la questione delle abitazioni, a cura di Roberto Badas, Enrico Milesi e Antonello Sanna,  a Teatro e cultura popolare. Il circuito alternativo dell’ARCI in Sardegna. i gruppi teatrali di base e il ruolo dell’associazionismo, di Salvatore Pinna. E però anche Gramsci e la svolta degli anni Trenta, a cura di Umberto Cardia, e Il processo Togliatti-Spanu Satta di Silvano Reina. Di fianco a questi titoli ecco poi, dello stesso periodo, le produzioni classiche  come Su bandidori e Ziu Paddori di Efisio Vincenzo Melis, Sa coja de Pitanu di Luisu Matta, Bellu schesc’e dottori di Emanuele Pili e, fra le novità di livello anch’essa in lingua sarda variante campidanese, S’arroppapaneri di Salvator Angelo Spano; in italiano invece la ballata Quel maggio 1906 del giovanissimo Sergio Atzeni – curatore, con altri, dell’intera sezione –, o, più tardi, Quattro sassi di Filippo Canu, autore presente anche in altre collane della Edes. Ecco un assaggio parzialissimo di quanto allora dall’intelligenza del gruppo formatosi a La Nuova Sardegna e costretto ad altre vie per rivelarsi seppe produrre.

Circa la Fondazione Sardinia, fondata nel 1991, con Ribichesu primo presidente della serie, e nel novero personalità dell’area autonomista, federalista e/o nazionalitaria come Mario Melis e Michele Columbu, Giovanni Lilliu e Placido Cherchi, Giovanni Battista Columbu e Gianfranco Contu, Bachisio Bandinu e Paolo Pillonca, Piero Marcialis e Federico Francioni, Mario Cugusi e Giacomo Meloni, Piero Salis-Marras e Italo Ortu, e altri ancora, naturalmente oltre a Salvatore Cubeddu, direttore fin dall’inizio del sodalizio. Delle molte virtù d’essa varrebbe giusto citare almeno le raccolte dei Fondi d’archivio del Partito Sardo d’Azione e di Giovanni Battista Melis, ed altri conferiti nel tempo, custoditi (e censiti e studiati) in locali purtroppo angusti e inadeguati alla importanza dei depositi.

Per le sue funzioni di presidente-fondatore soprattutto, la firma di Vindice Ribichesu accompagna non soltanto le attività convegnistiche della Fondazione nei suoi primi anni di vita, ma anche diverse delle pubblicazioni esitate nel tempo, in particolare lo studio in due volumi Sardisti, di Salvatore Cubeddu, e svariati Quaderni affidati, soprattutto nei primi anni ’90, alle competenze di Lorenzo Del Piano, Eugenia Tognotti, Gianfranco Contu, Simona De Francisci, ecc.

Circa l’Istituto Gramsci – o la sua sezione sarda presieduta da Nereide Rudas e diretta da Eugenio Orrù – occorrerà dire che Vindice Ribichesu, consigliere del direttivo insieme con diversi autorevoli intellettuali di area progressista, partecipa negli anni – dal 1999 al 2008, dunque lungo un decennio pieno –, con relazioni e interventi tematici o di approfondimento, a ben 19 manifestazioni. Questi i soggetti: “Un’idea di Sardegna e il cammino dell’Autonomia”, “La Sardegna: un’isola, una storia, una cultura”, “Autonomia federale e federalismo”, “La rinascita nella comunicazione della sinistra sarda”, “Convegno Premio Gramsci”, “Presentazione del libro Dentro la modernità”, “Rivisitando Giorgio Asproni: la Sardegna di Cattaneo, Mazzini e Garibaldi”, “Presentazione dell’Antologia X Edizione Premio Gramsci”, “La questione sarda e l’Autonomia” (con l’Istituto per la storia del Risorgimento), “Vecchie e nuove criminalità in Sardegna”, “Premio letterario Gramsci X Edizione”, “Lo statuto sardo nel 2000”, “Presentazione del libro Le fiamme di Toledo, di Giulio Angioni), “Massoni sardi nel Risorgimento: giornata mazziniana”, “La Sardegna in Garibaldi, Mazzini e Cattaneo”, “Premio letterario Antonio Gramsci e presentazione del libro Antonio Gramsci in contrappunto, di Giorgio Baratta), “Sa die de sa Sardigna” (dibattito sulle figure di Angioy ed Asproni), “Presentazione della Grande Enciclopedia della Sardegna, a cura di Francesco Floris”.

Sulla questione della libertà di stampa. Ecco ora una scheda degli scritti di Vindice Ribichesu rifluiti, a vario titolo, in volume, iniziando da quelli che fanno riferimento all’attività giornalistica ed alla libertà di espressione e di stampa:

Intervento su “Informazione e controinformazione in Sardegna”, atti del convegno L’informazione in Sardegna, in Id. a cura di Manlio Brigaglia, Sassari, Dossiers Libreria Dessì, 1973, pp. 175-177.

Intervento alla Conferenza di produzione di Tuttoquotidiano, Cagliari, 12-13 luglio 1977, in Almanacco della Sardegna 1977-78. Un giornale, una storia, Cagliari 1978, pp. 121-125.

Saggio su “Le tecnologie e il sindacato [dei giornalisti]”, in Almanacco della Sardegna 1980, Cagliari, pp. 1-16.

Presentazione di La Voce della Libertà, un contributo alla storia di Radio Sardegna, di Simona De Francisci, Edizioni Fondazione Sardinia, Cagliari 1992, pp. 7-8.

Contributo su “L’autonomia persa e il microfono negato”, in Radio Brada. 8 settembre 1943: dalla Sardegna la prima voce dell’Italia libera, a cura di Romano Cannas, prefazione di Jader Jacobelli, Roma, Rai-Eri, 2004, pp. 173-188.

Contributo su “Tecnologie e libertà [d’informazione]”, in Oltre la linea d’ombra, a cura di Eugenio Orrù e Nereide Rudas per conto dell’Istituto Gramsci, Cagliari, Tema, 2012, pp. 255-258.

Su socialismo, federalismo e democrazia. Questi i testi consegnati a volumi, prevalentemente collettanei o atti di convegno, di marcata definizione politica o storico-politica:

Postfazione a Sebastiano Dessanay, Identità e autonomia in Sardegna. Scritti e discorsi 1937-1985, Cagliari-Sassari, Edes, 1991, pp. 283-299.

Intervento su “Dalla storia al progetto”, atti di convegni lussiani, in Dalla storia al progetto: tre convegni in ricordo di Emilio Lussu, a cura di Giuseppe Caboni, Cagliari, Cerlt, 1991, pp. 89-93.

Intervento come presidente/moderatore del convegno di studi “Emilio Lussu e il sardismo” (Cagliari 6-7 dicembre 1991), in atti Emilio Lussu e il sardismo, a cura di Gianfranco Contu, Cagliari, Edizioni Fondazione Sardinia 1994, pp. 9-11.

Contributo su “Quell’inesauribile gusto dell’autonomia”, in L’uomo dell’altipiano. riflessioni, testimonianze, memorie di Emilio Lussu, a cura di Eugenio Orrù e Nereide Rudas, Cagliari, Tema, 2003, pp.375-380.

Contributo di studio sulla figura di Antonio Gramsci titolato “Le stagioni del falso riformismo”, in Il pensiero permanente. Gramsci, oltre il suo tempo, a cura di Eugenio Orrù e Nereide Rudas, Cagliari, Tema, 1999, pp. 298-302.

Intervento su “Francesco Fancello giornalista” nel convegno di studi “Omaggio a Francesco Fancello politico, giornalista, scrittore” tenutosi a Cala Gonone-Dorgali il 26-27 maggio 2000 ad iniziativa dell’associazione Raichinas e Chimas, in Omaggio a Francesco Fancello politico, narratore, giornalista, Cagliari, Condaghes, 2001, pp. 112-125.

Presentazione della tavola rotonda su “La partecipazione popolare nel federalismo italiano. L’Assemblea Costituente del popolo sardo”, in Il Federalismo sardo, atti del Convegno Cagliari 6-7 dicembre 2001, a cura di Salvatore Cubeddu, Cagliari, Edizioni Fondazione Sardinia, 2002, p. 175.

Contributo alla convegnistica (sei dibattiti) promossa dall’Istituto Gramsci della Sardegna fra 2001 e 2002 su “Storia cultura e società nella Sardegna di oggi”: specificamente alla tornata su “La rinascita nella comunicazione della sinistra sarda. Riflessioni sull’opera di Giuseppe Podda, militante, giornalista, scrittore” con un intervento titolato “Una fonte inesauribile”, in Dialoghi di un anno. Storia cultura e società nella Sardegna di oggi, Cagliari, Tema, 2003, pp. 201-203.

Contributo alla convegnistica (cinque dibattiti) promossa dall’Istituto Gramsci della Sardegna fra 2003 e 2004 sulle figure di Emilio Lussu, Nino Carrus, Giuseppe Fiori e Giovanni Moi: specificamente alla tornata su “Giuseppe Fiori: un lungo impegno” con un intervento titolato “Ha sempre guardato lontano”, in Etica e politica. figure e testimonianze della Sardegna del ‘900, a cura di Eugenio Orrù e Nereide Rudas, Cagliari, Tema, 2004, pp. 174-176.

Contributo alla convegnistica (sette dibattiti) promossa dall’Istituto Gramsci della Sardegna su aspetti vari del vivere in Sardegna – dalle istituzioni all’arte, dal disagio giovanile e la tossicodipendenza alla questione identitaria e agli studi gramsciani ecc.: specificamente alle due tornate su “la Sardegna: un’isola, una storia, una cultura” e su “I luoghi dell’arte” con interventi titolati rispettivamente “Libertà d’insegnamento” e Per una città vera”, in Dentro la modernità. Identità, simboli, linguaggi, a cura di Eugenio Orrù e Nereide Rudas, Cagliari, Tema, 2005, pp.  155-156 e 211-212.

Contributo di testimonianza sulla figura di Umberto Cardia titolato “L’idea di una storia bibliografica della Sardegna”, in Umberto Cardia: la cultura e l’etica, a cura di Eugenio Orrù e Nereide Rudas, Cagliari, Tema, 2006, pp. 345-347.

Contributo di testimonianza sulla figura di Gianfranco Contu titolato “La Sardegna e il federalismo di Gianfranco Contu”, in Questione sarda e dintorni: Liber amicorum per Gianfranco Contu, a cura di Alberto Contu con gli amici del Circolo G.B.Tuveri di Cagliari), Cagliari, Condaghes, 2012, pp. 35-40.

Fra politica ed istituzioni. Ecco i titoli rilevati in un’ideale sezione che valorizza i dati istituzionali del dibattito pubblico isolano e, con essi, le esperienze di governo della classe dirigente sarda:

Contributo sulla figura di Paolo Dettori  con titolo “Dalla ‘rivoluzione bianca’ alla politica contestativa”, in appendice a Paolo Dettori, Scritti politici e discorsi autonomistici, a cura di Pietro Soddu, Sassari, Gallizzi, 1976, pp. 403-406.

Contributo su “L’organizzazione della Regione sarda” alla sezione “Storia e istituzioni dell’autonomia della Sardegna” in La Sardegna, a cura di Manlio Brigaglia, vol. II  “La cultura popolare, l’economia, l’autonomia”, Cagliari, Edizioni della Torre, 1982, pp. 75-82.

Contributo titolato “L’idea autonomistica tra storia e cronaca” al volume Lo Statuto della Sardegna, con introduzione storica e commento a cura di Lorenzo Del Piano, Cagliari, Studiograf, 1984, pp. I-LV.

Intervista a Efisio Corrias  in Efisio Corrias, le mie esperienze autonomistiche, Sassari, Edes, 1991, pp. 21-248.

Presentazione dei due volumi di Salvatore Cubeddu, curati per la Fondazione Sardinia, Sardisti, Sassari, Edes, 1993 e 1995, rispettivamente pp. 15-17 e 11-13. Nel secondo volume, a parte vari altri richiami in bibliografia (fra cui quello ad un articolo sul congresso provinciale democristiano di Nuoro dei “giamburrasca” antiPSd’A, e quello ad una lettera indirizzata da Michelangelo Pira all’on. Giovanni Battista Melis circa il carisma di Emilio Lussu, e di cui è traccia in un articolo, a firma di Ribichesu, uscito su Tuttoquotidiano), merita evidenziare come l’autore abbia proposto la commossa testimonianza resagli dallo stesso Ribichesu circa gli ultimi giorni di vita di Antonio Simon Mossa, leader dell’ala separatista del sardismo degli anni ‘60. Eccola:

«E’ un episodio estremo, perché fu il nostro ultimo incontro. Un incontro casuale allo scrittoio di una banca. Stavo compilando un modulo quando mi sentii toccare una spalla. “Ciao – mi disse – volevo venire a trovarti al giornale, ma non mi è stato possibile”. Sapevo della sua malattia e anzi credevo che fosse ancora nella clinica continentale dove era stata fronteggiata la terribile malattia che lo aveva colpito. Alle mie domande sul suo stato di salute rispose con un’alzata di spalla e con il suo solito sorriso a mezza bocca, quasi un ghigno, sotto il suo grande basco che sfiorava il colletto alzato del cappotto, che indossava nonostante l’estate incipiente.

«Mi indicò sua moglie che parlava con un funzionario della banca e con fredda indifferenza disse: “sono qui per passare i conti a mia moglie perché tra qualche giorno devo morire”. Al mio viso allarmato, alle parole che stavo per dire ha opposto subito quasi con rabbia: “Ma non è di questo che volevo parlarti!”. Voleva parlarmi della Sardegna, della commissione parlamentare d’inchiesta sul banditismo, del nuovo piano di rinascita e della classe dirigente sarda.

«Quando era in ospedale aveva letto alcuni miei articoli, e prendeva lo spunto da essi per i suoi giudizi, spesso giocati sul filo del paradosso. Riferendosi alle polemiche che c’erano state a proposito del modo con il quale era stata affrontata dal governo l’ennesima recrudescenza  di banditismo disse: “Qui mafia non ce n’è, siamo troppo individualisti, non sopportiamo gerarchie… se davvero ci fosse stata la mafia, che all’origine era una specie di autogoverno in opposizione ad un potere dispotico e lontano, noi saremmo stati già indipendenti…”. Poi cominciò a parlarmi d’altro un po’ disordinatamente, ma raccomandandomi di continuare a battere su certi temi. All’improvviso mi strinse la mano e scappò via verso sua moglie dicendo “Bè, ciao!”, come se dovessimo rivederci presto».

Coordinamento espositivo dei discorsi dell’on. Melis, in La Sardegna in Europa: gli interventi di Mario Melis al Parlamento europeo, Cagliari, Editar, 1994.

Presentazione del Quaderno della Fondazione Sardinia curato da Gianfranco Contu, Il federalismo nella storia del sardismo, Sassari, Edes, 1994.

Presentazione del Quaderno della Fondazione Sardinia curato da Lorenzo Del Piano, Regionalismo e autonomismo in Sardegna e in Sicilia (1848-1914), Sassari, Edes, 1995.

Presentazione del Quaderno della Fondazione Sardinia curato da Eugenia Tognotti, Un progetto americano per la Sardegna del dopoguerra (Comunisti e zanzare) 1946-1950, Sassari, Edes, 1995.

Contributo alla sequenza di cinque seminari organizzati da Fondazione Sardinia, titolato “Governare la Sardegna come uno stato”, in L’ora dei sardi, a cura di Salvatore Cubeddu, Cagliari, Fondazione Sardinia, 1999, pp. 59-63.

Sceneggiatura del documentario (in DVD) Tu e la storia, curato da Andrea Meloni con la guida ideale di Giovanni Lilliu, sulla storia della Sardegna, Cagliari, Aservice, 2006.

La scrittura come testimonianza.  L’Opac Sardegna ha censito, come ho riferito sopra, 37 articoli firmati usciti sulla terza pagina del quotidiano sassarese fra il 1958 ed il 1974. Eccone l’elenco cui fa seguito il regesto – certamente parziale (una pista da esplorare è, fra le altre, quella de Il messaggero sardo) – degli articoli apparsi su un considerevole numero di periodici (qui secondo l’ordine cronologico di inizio della collaborazione) nonché, conclusivo, quello riguardante il notiziario del Consiglio regionale affidato alla sua direzione redazionale:

“L’artigianato sardo nella casa moderna nuovo obiettivo per la produzione isolana” (11 maggio 1958), “L’omaggio di tutto il mondo alle spoglie di Clelia Garibaldi” (4 febbraio 1959), “Scompare con Clelia Garibaldi l’ultima testimone del Risorgimento: tra l’indifferenza dell’Italia ufficiale” (5 febbraio 1959), “I cestini dell’artigianato sardo avranno un posto nella casa europea” (3 giugno 1959), “L’omaggio del popolo italiano a Garibaldi davanti alla tomba dell’eroe sullo scoglio di Caprera: nel centenario dello Stato unitario” (28 marzo 1961), “Anche nell’epoca dei missili l’artigianato ha diritto di cittadinanza: sempre più vasti i consensi per la rassegna sassarese” (10 giugno 1962), “Il premio letterario ‘Grazia Deledda’ volano di cultura per la Sardegna: ampio dibattito a Nuoro promosso dall’EPT” (4 aprile 1967), “A Tel Aviv da Buchenwald” (7 giugno 1967), “Un confine tra due modi di concepire la vita: viaggio nell’altra Germania” (19 luglio 1967), “Le proposte della magistratura per la riorganizzazione dello Stato: il 13° congresso dei magistrati a Catania” (29 settembre 1967), “Anche i magistrati vogliono essere ‘creatori d’avvenire’ nella società d’oggi: il 13° congresso della magistratura a Catania” (30 settembre 1967), “Nelle incertezze tra assolutismo e democrazia la causa dell’attuale crisi della giustizia: il 13° congresso dei magistrati a Catania”(1° ottobre 1967), “Nel conflitto tra generazioni di dirigenti la Repubblica Democratica Tedesca guarda all’Europa: viaggio nell’altra Germania” (19 novembre 1967), “Un soprassalto di civiltà” (17 maggio 1968), “Kodra un uomo di confine: in margine ad una mostra di pittura” (30 ottobre 1969), “Il coraggio di un prete: a proposito di un libro di Don Fiori sul celibato del clero” (28 novembre 1969), “Il ‘riscatto’ di Antonio Cossu” (25 marzo 1970), “Il corteo di Lunissanti ha proceduto fino a Tergu: la settimana santa a Castelsardo” (25 marzo 1970), “Sassari fuori le mura.1” (16 maggio 1970), “Da libero Comune a città-territorio: Sassari fuori le mura.2” (17 maggio 1970), “Una città che ha nostalgia di mare: Sassari fuori le mura.3” (27 maggio 1970), “Di città si vive: Sassari fuori le mura.4” (4 giugno 1970), “Una scoperta anche per l’uomo di cultura la ‘Storia delle letterature d’Oriente’: libri per l’estate” (31 luglio 1970), “Una nuova immagine per l’industria: in margine al Congresso europeo di marketing” (5 giugno 1971), “Un appello all’unità dal 1° congresso dell’emigrazione sarda in Svizzera: pieno successo dell’iniziativa della Lega Sarda.1” (23 giugno 1971), “Se continuerà l’emorragia di lavoratori la Sardegna non raggiungerà più l’Europa: il 1° congresso dell’emigrazione sarda in Svizzera.2” (25 giugno 1971), “Ritrovano nella solitudine delle città straniere l’unità etnica e culturale della Sardegna: il primo congresso dell’emigrazione sarda in Svizzera.3” (3 luglio 1971), “Alle luci del Cremlino si brinda con vernaccia al successo della ‘Canepa’: festose accoglienze in Russia alla corale sassarese.1” (24 dicembre 1971), “Nella città delle notti bianche il più significativo successo della ‘Canepa’: a Leningrado, culla della moderna cultura russa.2” (30 dicembre 1971), “Occasione per una verifica” [nella rubrica “Sardegna come presente: arte”] (3 febbraio 1972), “Se dovessimo tornare in Sardegna qualcosa finalmente si muoverebbe: a Zurigo, crocevia dell’emigrazione sarda in Europa.1” (23 gennaio 1974), “Non devono pagare il prezzo dello sviluppo: se gli emigrati ritornassero.2” (24 gennaio 1974), “Da Stoccarda tempio del consumismo tedesco la crisi appare un’eventualità molto lontana: se gli emigrati ritornassero in massa in Sardegna.3“ (25 gennaio 1974), “La confederazione si farà anche senza la Regione: se gli emigrati tornassero in massa in Sardegna. 4” (26 gennaio 1974), “Il funerale del vecchio compagno” [racconto] (27 gennaio 1974), “Non si vuole risolvere i veri problemi dell’emigrazione: se gli emigrati tornassero in massa in Sardegna. 5” (2 febbraio 1974), “Anche se non scoppia la crisi il problema del ritorno rimane: se gli emigrati tornassero in massa in Sardegna.6” (9 febbraio 1974).

L’Opac Sardegna segnala inoltre, schedata presso la Biblioteca nuorese ISRE, la busta dei ritagli-stampa del 1967 titolato “Il premio letterario Grazia Deledda volano di cultura per la Sardegna: ampio dibattito a Nuoro promosso dall’Ept”.

Rinascita Sarda. “Autonomia e informazione: la stampa isolana nella programmazione democratica” (n. 24/25 dicembre 1974), “La rivolta della classe inesistente: Sassari nel ventennio” (n. 7-8/25 aprile 1975).

Il Cagliaritano. “Dimensione autonomia” (n. 12/dicembre 1975), “Un passo avanti” (n. 2/ febbraio 1976), “Vent’anni dopo: i giovani turchi e il congresso nazionale democristiano” (n. 3/marzo 1976), “La novità: la situazione” (maggio 1976), “Il sospetto: osservazioni” (n. 6/ottobre-novembre 1976), “Il nuovo manicheo: osservazioni” (n. 9/dicembre 1976), “Chi è per l’intesa autonomistica e chi per il naufragio: osservazioni” (n. 3/aprile 1977), “Ottana: siamo spettatori paganti del teatro dell’assurdo: osservazioni” (n. 4/maggio-giugno 1977), “Debbono cambiare anche i partiti: osservazioni” (n. 6/luglio 1979), “Il congresso dc e la giunta di garanzia autonomistica: osservazioni” (n. 2/febbraio 1981), “In California si decide il futuro dei sardi: osservazioni” (n. 3/marzo 1981),  “Passa il bilancio: la giunta doppia Capo Horn: osservazioni” (n. 4/aprile 1981), “Il ruolo della Regione nel governo dell’economia: osservazioni” (n. 5/maggio 1981), “Le regole del gioco: osservazioni” (n. 7-8, luglio-agosto 1981), “L’onestà di Aniasi e finanze regionali”: osservazioni” (n. 9/settembre 1981), “Un’occasione sprecata: osservazioni” (n. 10/ottobre 1981), “De Michelis e i veri separatisti: osservazioni” (n. 11/novembre 1981), “La più vicina delle terre lontane. Sardegna, un ponte tra l’Europa e l’Africa: osservazioni” (n. 1/gennaio-febbraio 1982), “Tanta voglia di chiarezza. La gente e la crisi regionale: osservazioni” (n. 2/marzo 1982), “Berlusconi e soci: tanta voglia di Sardegna” (n. 3/aprile 1982), “Pertini, Garibaldi e altre cose sarde: osservazioni” (n. 4/maggio 1982), “Piera miele amaro: incontri” (n. 7/novembre 1982), “Passa il piano Costa Smeralda e torna De Michelis: osservazioni” (n. 1-2/gennaio-febbraio 1983), “Tutti (o quasi) gli uomini del presidente [Craxi]” (n. 3/aprile 1984), “Berlinguer sei con tutti sardi. Le tante virtù personali che ci rendono orgogliosi di avere avuto un conterraneo già entrato nella storia” (n. 5/giugno 1984), “Un  presidente giusto giusto [Cossiga]” (n. 6-7/1985), “Ecco perché i politici sardi hanno la digestione lenta. Terminata la sfilata dei congressi, alla Regione rispunta il ‘teorema Sardegna’ col ‘rospo’ ormai ingoiato” (n. 3/aprile 1987), “Si vota, ma per cosa? Mentre tutti ormai avvertono l’eccesivo peso che i partiti esercitano in ogni settore della vita pubblica e privata” (n. 4/maggio 1987), “Ma cinque anni di legislatura ora sono troppi” (n. 6/giugno 1987), “Un uomo solo ma in buona compagnia. Dal colle del Quirinale ha detto le cose che tutti pensavano [Cossiga]” (aprile 1992).

La grotta della vipera. “Giornali ‘minori’ e problemi dell’informazione” (n. 8, autunno 1977).

Nazione Sarda. “La direzione va sempre a petrolio: la crisi de ‘La Nuova Sardegna’ e i rapporti con la SIR” (novembre 1977), “Perché ci vogliono imporre una centrale termonucleare: la Regione sarda, ridotta ad una appendice periferica dello stato, neppure protesta” (dicembre 1977), “La regionalizzazione dei partiti: l’enunciazione di obiettivi politici come la democrazia partecipata, il decentramento dei poteri, l’autogestione contrasta in modo stridente con la pratica quotidiana del potere accentrato” (novembre-dicembre 1978), “Il potere ha assunto le caratteristiche dell’organizzazione mafiosa: non soltanto la ‘questione morale’ che deve essere messa all’ordine del giorno, ma la struttura dello Stato” (15 dicembre 1980/15 gennaio 1981).

Ichnusa. “L’informazione alla porta di casa” (n.1/marzo-aprile 1982), “Nord contro Sud, centralismo contro autonomia” (n. 3/dicembre 1982-febbraio 1983), “Le elezioni regionali sono già cominciate” (n. 4/marzo-luglio 1983), “L’ottimismo della volontà può ancora vincere” (n. 6/marzo-giugno 1984), “Lentamente, ma cambiando” (n. 9/ luglio-ottobre 1985), “La stagione dei congressi e i conti in rosso dell’Azienda Sardegna” (n. 10/maggio-giugno 1986), “Si riparla della rinascita” (n. 11/luglio-dicembre 1986), “Vento sardista e aria da basso impero: elezioni, ma chi ha vinto?” (n. 12/maggio-agosto 1987), “Elezioni in archivio, le ‘cantonate’ dell’informazione” (n. 15/settembre-ottobre 1988), “Da quando quest’isola non è più l’ombelico del mondo” (n. 18-19/dicembre 1989), “L’educazione a distanza: trasparenza anche…” (n. 18-19/dicembre 1989), “Criminalità, un tema che ritorna” (n. 21/novembre-dicembre 1990), “Parlamento nuovo, quasi Costituente. Aprile è il più crudele dei mesi.1” (n. 23/marzo 1992-febbraio 1993).

Il Solco. “Sessantatre anni fa ecco il partito dei sardi: l’esperienza di trincea fu una scuola di politica e di rivoluzione per progettare una società futura liberata dal sottosviluppo” (n. 2 nuova serie/15 aprile 1984).

L’Almanacco di Cagliari. “Il grande sconosciuto: il Consiglio regionale della Sardegna, un pianeta da esplorare” (1987), “Alla ricerca d’una ‘magna carta’?: lo statuto speciale per la Sardegna fu approvato dalla Costituzione il 31 gennaio 1948” (1988), “L’autonomia nelle schede: l’8 maggio 1949, la Sardegna andò alle urne per eleggere il primo Consiglio regionale” (1989), “Tra America e Russia: la consultazione del 18 aprile 1948, da cui doveva scaturire il primo parlamento italiano del dopoguerra, ebbe anche in Sardegna un carattere drammatico” (1991), “Contro il centralismo: federalismo, una corrente sempre presente nel pensiero politico sardo dai primi decenni dell’Ottocento” (1993).

Sardegna Fieristica. “Investire in cultura: l’Università di Sassari fu fondata da Filippo III il 19 febbraio 1617” (1988), “La bomboniera del Corso: il Teatro Civico di Sassari nacque nel XVI secolo” (1990), “Dal feudatario al sindaco: una pregevole opera architettonica nel cuore di Sassari, Palazzo Ducale”  (1991), “Tutti alle urne! il 2 e 3 giugno 1946, in Sardegna, come nel resto d’Italia, si svolsero due storiche votazioni” (1992), “Dalla ‘secchia rapita’ alla cooperazione: anche in Sardegna è ora di accantonare i campanilismi” (1993), “Tra platea e loggione: il Teatro Verdi di Sassari, una vicenda cominciata nel lontano 1884” (1994).

[Nuova] Rinascita sarda. “L’intricato rapporto con l’informazione” (n. 2-3/marzo 1988), “La Sardegna come pietra di paragone” (numero speciale nel decennale della morte di Michelangelo Pira, ottobre 1990).

Esse come Sardegna. “Piano delle acque o piano per il potere? Una programmazione che sta nel cassetto” (n. 1/gennaio-marzo 1989), “Saremo collegati con l’Europa in tempo reale: un ‘sistema nervoso’ che spezza l’isolamento” (n. 2/aprile-giugno 1989), “Nove sono passate e la decima è quella dell’Europa: aperta la nuova legislatura della Regione sarda” (n. 3/luglio-settembre 1989),  “Energia a volontà dal carbone gassificato del Sulcis: se finisse l’ostruzionismo di Enel ed Eni” (n. 4/ottobre-dicembre 1989), “L’informazione locale diventata un grande ‘business’: non essendo più il semplice supporto del potere” (n. 5/I trim. 1990), “Oggi è la Barbagia che invoca più regole e più Stato: secondo la commissione d’inchiesta regionale” (n. 6/II trim. 1990), “Un’autonomia che guardi anche all’Europa: la riforma dello Statuto della Regione sarda” (n. 7/III trim. 1990), “Non è più tempo di governi ‘assembleari’: una legge scomoda intralcia l’esecutivo regionale” (n. 8/IV trim. 1990), “La parola d’ordine per l’industria è ‘investire in cultura’: la nuova fase del processo di sviluppo” (n. 9/I trim. 1991), “70 anni di storia di un partito sardo e diverso: è stata celebrata la fondazione del Psd’az.” (n. 10/II trim. 1991), “Un ‘occhio’ a Bruxelles non basta per stare in Europa: è necessaria anche la riforma della Regione” (n. 11/III trim. 1991), “Non è solo questione di lingua: la legge che tutela la cultura delle minoranze” (n. 12/IV trim. 1991).

Argentaria. “Quale futuro per l’Italia con la crisi della Prima Repubblica?” (n. 2/luglio 1993).

La Nuova Città. “Un ruolo insostituibile: periodici in Sardegna, in ritardo la legge regionale per l’editoria” (ottobre 1997), “Voglia di novità e di ancoraggio: sardismo diffuso” (marzo-aprile 1998).

Società Sarda. “Ridisegnare la specialità” (n. 7/1° quadr. 1998), “L’arcipelago sardista” (n. 11/2° quadr. 1999).

Come pare evidente od ovvio, la parte maggioritaria dei contributi giornalistici di Vindice Ribichesu è consegnata alla rivista del Consiglio regionale Sardegna Autonomia, fondata nel 1974 da Giorgio Melis e da lui raccolta, nella responsabilità redazionale, l’anno successivo. Si tratta di una ventina, poco più, di articoli firmati o almeno siglati (V.R. oppure V.G.R.): pochi nei primi anni, più frequenti in quelli successivi, nonostante la irregolarità delle uscite. La testata sospese le pubblicazioni, una prima volta, nel 1980, per riprenderle, con restyling del formato e una più ricca foliazione, nel 1985. Eccone il repertorio:

“Pastori e operai” (n. 1/gennaio 1975), editoriale (n. 1 nuova serie/giugno 1985), “Politica e cultura nella società che cambia: significativo dibattito sulla nuova ‘Rinascita’” (n. 4/luglio-settembre 1986), “Estate dei record per il turismo sardo: primi consuntivi sulla stagione turistica” (n. 4/luglio-settembre 1986), “I nuovi indirizzi dell’intervento straordinario: dopo un travagliato dibattito sul nuovo piano di Rinascita” (n. 1/gennaio-febbraio 1987), “La questione meridionale e il primato della politica: in margine alla Conferenza della CGIL a Cagliari” ( n. 1/gennaio-febbraio 1987), “Ancora attuali le problematiche sollevate dai consultori nel 1947: la nascita dello Statuto sardo nelle interviste di Radi8o Sardegna” (n. 5/ottobre-novembre 1987), “Il ‘616’ dieci anni dopo: bilancio di un fallimento: il trasferimento alle Regioni di competenze statali” (n.1/gennaio 1988), “C’è un’isola verde lontana: celebrati i 250 anni della fondazione di Carloforte” (n. 2-3/febbraio-maggio 1988), “Carbonia, città in erba compie cinquant’anni: fu edificata in regime di autarchia nel 1938” (n. 2-3/febbraio-maggio 1988), “Nelle radici dell’Autonomia l’aspirazione dei sardi alla Zona franca: solo nel dopoguerra, a 60 anni dalle prime istanze, si parlò concretamente dell’istituto, ma furono gli stessi sardi a negarlo” (n. 4-5/settembre-novembre 1988), “1947. I deputati sardi esaminano il progetto di statuto speciale. Come si modificò a Roma la bozza proposta dalla Consulta” (n. 2/maggio 1989), “29 maggio 1949: si insedia a Cagliari il primo Consiglio regionale sardo. 40 anni fa una data storica per la Sardegna” (con Gian Carlo Pinna Parpaglia, n. 3/luglio-agosto 1989), “Per Sardegna e Corsica prospettive comuni dal ’93. A Bastia e Corte due intense giornate di colloqui” (n. 4-5/settembre-ottobre 1989), “A cavallo delle Bocche un ponte di 15 chilometri: avveniristico progetto presentato in Corsica” (n. 4-5/settembre-ottobre 1989), “O criminalità o progresso” (n. 2-3/aprile-luglio 1990), “Si volta pagina nella storia dell’Isola: nuovi risvolti storici al Congresso internazionale sulla Corona d’Aragona” (n. 2-3/aprile-luglio 1990), “Il valore della specialità: a Venezia le regioni italiane progettano il loro futuro” (n. 6/novembre-dicembre 1991), “La scomparsa del giornalista Ovidio Fioretti” (n. 1-2/gennaio-aprile 1992), “Deus salvet sa Sardigna: una frase, tante interpretazioni. l’ha pronunciata il presidente Scalfaro al termine del suo discorso” (n. 1-2/giugno 1994), “Progettare il futuro attraverso la cultura: una serie di iniziative, a suggello della X legislatura” (n. 1-2/giugno 1994), “Tutte le incisioni di Goya alla Cittadella dei Musei: estate culturale ai massimi livelli per Cagliari e la Sardegna” (n. 1-2/giugno 1994).

Dai molti articoli sopra riesposti ecco le poche righe che più direttamente fanno riferimento alla missione della rivista:

«Fornire dati che agevolino la migliore conoscenza dei problemi di interesse regionale da parte di tutti i cittadini è il compito principale di questa rivista assieme a quello di far meglio conoscere l’attività del Consiglio regionale della Sardegna. Con questo programma assumo, da questo numero, la direzione di “Sardegna Autonomia”» (n. 1/gennaio 1975),

«La IX legislatura del Consiglio regionale della Sardegna compie il suo primo anno e “Sardegna Autonomia” è al suo primo numero di una nuova serie […]. Si sostiene – anche molto autorevolmente – che la più adeguata definizione della società post-industriale sia quella di “società dell’informazione”. Questa tematica qui appena accennata pone problemi sempre nuovi a coloro che sono stati eletti per amministrare e soprattutto per legiferare. Il Consiglio regionale, in tutte le sue strutture si sta rinnovando per meglio rispondere alle necessità dei tempi nuovi. In questo quadro si pone anche la ripresa di “Sardegna Autonomia” e il rafforzamento, in corso, dell’Ufficio stampa. Ciò (insieme con il ricorso a tecnologie avanzate in vari uffici – dall’archivio ai resoconti – insieme con la nuova sede ormai in fase di completamento, insieme anche con le riforme regolamentari in fase di elaborazione) migliorerà certamente non soltanto il livello dei servizi offerti ai legislatori regionali perché possano più agevolmente svolgere il loro alto compito, ma migliorerà anche la trasparenza dei processi che portano alle scelte legislative e, quindi, il controllo sociale» (n. 1/ giugno 1985).

«Questo numero di “Sardegna Autonomia” è dedicato interamente alla fase iniziale dell’undicesima legislatura. Nello scorso numero avevamo pubblicato i risultati delle elezioni a doppio turno del Consiglio. Ora riepiloghiamo quanto è avvenuto nella prima riunione del nuovo Consiglio fino all‘approvazione della Giunta presieduta da Federico Palomba. Giunta che Palomba stesso ha definito “di rinnovamento”. Rinnovamento. All’insegna di questo termine si era svolta la campagna elettorale di tutti gli schieramenti politici. E rinnovamento c’è stato, almeno nella composizione del Consiglio: su ottanta consiglieri eletti sessanta sono nuovi […]. Per rinnovamento si intende anche questo: che sono presenti in Consiglio tre forze politiche nuove (Forza Italia, Patto Segni e Rifondazione comunista); che, rispetto alla scorsa legislatura, ha mantenuto la vecchia denominazione soltanto il gruppo sardista; che la giunta, in base alle nuove regole che si era dato il Consiglio, è composta interamente da persone estranee alle strutture politiche; significa che a reggere tre assessorati su dodici sono state chiamate delle donne [….].E’ per questo motivo che “Sardegna Autonomia” ha deciso di dedicare interamente questo numero della rivista alla fase iniziale della legislatura, con l’avvertenza che gli interventi in Aula, per ragioni di spazio, sono stati sintetizzati» (n. 3-4/dicembre 1994).

Nel mezzo della traversata, collocata nel 1986, è da segnalare l’elezione di Vindice Ribichesu a presidente del Comitato regionale radio-TV, succedendo a Fiorenzo Serra.

Massoneria atto terzo (e nuovi dintorni). A dire ancora di Consiglio regionale… Saldamente incardinato nella sua loggia Risorgimento all’Oriente di Cagliari, nella successione delle sedi ubicate la prima (e comunque dal 1960 e fino al 1977) nella storica piazza del Carmine, quindi nella via Zagabria cuore del moderno quartiere di Genneruxi, infine alla sommità dell’incontro fra le vie Lamarmora e Canelles nell’antica cittadella di Castello, Vindice Ribichesu ha modo, lungo giusto quattro decenni, di portare all’interno della Comunione liberomuratoria sarda – varia per statuto tanto sul piano delle radici ideali quanto delle esperienze materiali – la ricchezza del suo vissuto personale, civile e professionale. Lo fa da quello che, incorruttibilmente, egli è: colto uomo della sinistra, critico e aperto, sensibile alle declinazioni federaliste dell’arte di governare non meno che alle ragioni della giustizia sociale (che è sempre più che soltanto giustizia distributiva). Lo fa alimentando le molte piante valoriali da cui sa trarre ispirazione per il suo oggi: e si tratta spesso, o pressoché sempre, di precedenti testimoniali che hanno non soltanto figura ma carne e sangue davvero, la carne e il sangue delle persone che hanno vissuto nell’anticonformismo della intelligenza e della dirittura. Li ha incontrati, quei precedenti, nella storia vera della Fratellanza bersaglio facile dei semplificatori di fuori, nemici del Bertold Brecht cantore della lode del dubbio: «Sono coloro che non riflettono, a non dubitare mai. / Splendida è la loro digestione, infallibile il loro giudizio. / Non credono ai fatti, credono solo a se stessi. Se occorre, / tanto peggio per i fatti. La pazienza che han con se stessi / è sconfinata. Gli argomenti / li odono non l’orecchio della spia».

Quando nell’autunno 1993 scoppiò, febbrile, fra le redazioni dei giornali quel gioco da fiera paesana consistente nello scoprire e trafiggere i massoni i cui nominativi erano stati diffusi quasi in contemporanea, per vie autonome ma parallele, da un magistrato titolare d’inchiesta e dal presidente della commissione antimafia in progressivi stazionamenti pci-pds-ds, e in Sardegna v’era chi, nell’area già comunista, cercava conferma alla squalificante presenza nelle logge di avversari interni… – il che insaporiva ulteriormente l’abbeveratoio – Vindice Ribichesu come altri funzionari e giornalisti del Consiglio regionale entrò, passivo, nella mischia. Passività responsabile. Bersaglio anche lui. Ho scritto molto intorno a quella vicenda, e non vi insisto. Ma chi vale per signorilità e pratica effettiva della sua autonomia di giudizio, chi mostra nelle cose il suo senso istituzionale ed ha per la buona e vera politica un rispetto religioso, chi conosce la storia e sa bene che, al netto delle umane debolezze, non è poi difficile individuare chi lotta per una causa positiva e chi per una sbagliata e perfino indecente, non ha nulla da temere. Mai nulla da temere. Bastano ed avanzano, con la buona coscienza, la stima e l’amicizia confermate dalle persone che valgono, per essere fatte esse stesse della medesima pasta.

D’altra parte, lo spirito laicamente critico di Vindice si impastava della nativa tolleranza che era di quella Sassari, sì anche cionfraiola e disincantata, ma al dunque lucida e determinata, che l’aveva cresciuto nelle delicate stagioni della sua formazione. Conosceva anche i massoni che a Sassari, giusto settant’anni a questi giorni – nei tempi della sua adolescenza –, avevano ridato vita alla Gio.Maria Angioy. Ne conosceva il rigore, l’afflato antifascista e repubblicano, lo sguardo patriottico che non opponeva l’Italia alla Sardegna, ma, com’era nella parola di uomini di statura municipale, nelle professioni e nelle amministrazioni, nelle aziende anche nell’esercito, come Annibale Rovasio e Giovanni Boeddu, come Paolo Camboni e Menotti Campra, come Giovanni Manazzu e Renato Lay, come Gavino Dore e Giuseppe Masala, come Paolo Lombardi e Lodovico Congiatu, come Michelino Conti e Renato Solinas, presto come Bruno Mura – comunista figlio di massone, corsivista di Riscossa fra il 1944 ed il 1946 – fondeva la sorte dell’Isola con quella della patria di Mazzini e Garibaldi, portatrice di una missione storica, educatrice non imperialista.

«La R.L. Giommaria Angioy di Sassari – si legge nel documento di risveglio dopo la dittatura – nell’atto della sua ricostituzione, mentre riafferma i principi di Libertà-Fratellanza ed Uguaglianza Universale, e ricorda con orgoglio di avere sempre durante tutti i venti anni di vergognosa Tirannide fascista mantenuto intatta la propria compagine ed il collegamento con la maggiore parte dei Ffr. di Loggia con le forze antifasciste clandestine, e di avere sempre tenuto viva la lotta contro il fascismo…».

Ancora: «La R.L. Giommaria Angioy proclama che ormai per la ricostituzione e l’avvenire di una nuova Italia veramente democratica, non vi possa essere che la forma di Governo Democratico Repubblicano».

Conosceva, Vindice Ribichesu, il massacro figurativo cui i liberi muratori della sua città erano stati sottoposti dalla dittatura in fieri, e cui non avevano mancato di concorrere i clericali locali del tempo, quelli de Il Corriere di Sardegna e di Libertà, sempre alla caccia, anche loro, dell’avversario plutocratico-massonico-agrario-ebraico-pescecanesco-usuraio…  Quando anche s’era osato, appunto in chiave di dileggio e di oltraggio, elencare i nomi dei Fratelli chiamati a reggere gli uffici del capitolo scozzese: Camboni, Lanza, Clemente, Margelli… (I trasparentisti del 1993 forse ignoravano di avere così nobili predecessori!). «Certo sor Rovasio, noto capoccione della Loggia Massonica di Sassari, il quale da qualche tempo a questa parte si è baldanzosamente collocato capintesta dell’antifascismo sassarese, va travasando ora su La Voce  Repubblicana ora su La Nuova Sardegna il sugo di certe sue trovate filosofiche… che levati!», scriveva il foglio dei fasciomori Il Giornale di Sardegna.

Ribichesu aveva conosciuto, prima della propria iniziazione, quel Rovasio, primario di psichiatria e militante sardista, direttore dell’ospedaletto di Cicigolis durante la grande guerra, per due anni poi presidente della sezione sassarese dell’Associazione Nazionale Combattenti e nel 1943 biografo di Lussu per le edizioni del Nuraghe di Carta Raspi… Aveva conosciuto anche un altro massone, prima della propria iniziazione: era Mario Berlinguer, amendoliano azionista e socialista, un altro degli Artieri della Gio.Maria Angioy nella stagione prefascista, nella stagione già dell’Aventino che infatti ne avrebbe causato, per legge di Mussolini, la decadenza da parlamentare.  

Attivo nella sua loggia Risorgimento si presta sovente, Ribichesu, a coordinare o moderare i dibattiti in occasione della presentazione pubblica di iniziative del Grande Oriente d’Italia, ed anche delle mie, autonome seppure idealmente coordinabili con quelle istituzionali del GOI: nel 2001 presenta Diario di loggia, nel 2005 gli altri libri che ho prima menzionato. Di più: nel 2005 – i tempi sono presi dal mazzo degli appunti, qui soltanto indicativi, che avevo sottomano – si fa relatore sul tema “Massoni mazziniani sardi in epoca risorgimentale”, nell’occasione della giornata dedicata a Lando Conti, già sindaco repubblicano di Firenze trucidato dalle Brigate Rosse, iniziato alla Massoneria pratese appena diciottenne.

Nel mezzo, evidentemente, infinito altro: ricorderei in particolare la direzione della rivista Labirinto, lanciata (invero non felicemente) quasi dieci anni fa dal presidente Allieri, e il suo articolo “Giornalismo e massoneria nella Sardegna dell’Ottocento”.

In quanto ai lavori proposti nei lavori ordinari della sua loggia, ne citerei soltanto alcuni, presi anch’essi quasi a caso, degli anni più recenti – dal 2000 in qua – eccezion fatta per un corposo saggio sulle “Origini della massoneria sarda”, rifluito poi nel libro celebrativo del 25° anniversario della fondazione della loggia Risorgimento, nel 1997. Del 2000 ricorderei una “Introduzione alla globalizzazione” – così il titolo –, del 2003 una “tavola architettonica” sul rapporto fra fede e ragione – tema che fu trattato anni addietro, presso la loggia intitolata al massone Francesco Ciusa, da Fabio Maria Crivelli, con riferimento diretto a Pascal e Voltaire –,  ed  un’altra anche sul “Breviario Voltaire” da lui trovato in una bancarella del mercatino dei libri usati, antichi o soltanto vecchi; del 2005 un’altra tavola ancora sull’“Origine del sentimento di autonomia”; del 2007 un’ulteriore di taglio storico, evocativa di quanto visse la Fratellanza algherese della Antro di Nettuno negli anni della presa di Roma e successivi…

E’ di appena tre mesi fa – cento giorni giusti, data 17 marzo 2015  – l’ultimo lavoro dedicato all’”Opera filosofica storica e politica del Fr. Gianfranco Contu”. Debbo alla gentilezza ed alla liberalità dell’attuale Maestro Venerabile della loggia Risorgimento e del suo predecessore la cartella con il testo che vale qui ad onorare, straordinariamente insieme, i due amici, i due compagni d’ideali, i due liberi muratori esemplari d’una etica civile che regge pochi confronti. E prima di renderlo noto mi viene da ripensare ad altri appartenenti al circuito giustinianeo sardo, che non erano diversi in loggia da come si presentavano fuori dal Tempio ed erano conosciuti e stimati ed amati nei contesti più vari, per quanto di onesto ed originale e colto veniva dalla loro intelligenza e dalla loro coscienza libera, amante della democrazia e della virtù. Perché, limitando lo sguardo alla stessa area politico-ideale di Ribichesu e Contu, mi vengono alla mente almeno Francesco Masala e Antonello Satta. Personalità magnifiche, arricchenti ogni contesto che li abbia avuti presenti, certamente anch’essi non avrebbero temuto la gogna antimassonica dei nemici di Brecht (né si sarebbero negati all’esortazione morale libertaria: «Tu, tu che sei una guida, non dimenticare / che tale sei, perché hai dubitato / delle guide! E dunque a chi è guidato / permetti il dubbio!»).

Ribichesu: «Onore a Gianfranco Contu»

«Il carissimo Fratello Gianfranco Contu è passato all’Oriente Eterno poco più di un mese fa: è stato uno dei più lucidi intellettuali sardi dell’ultimo secolo e merita certamente di essere celebrato qui, tra queste colonne, perché le ha onorate.

«Medico ginecologo e docente universitario ha lasciato numerose opere scientifiche relative alla sua professione, ma il merito maggiore – almeno ai miei occhi – sta nel complesso delle numerose opere di carattere filosofico e storico-politico.

«Una delle sue prime opere in volume è stata dedicata alla “riscoperta” di un filosofo sardo dell’800: Giovanni Battista Tuveri. Dimenticato dalla cultura corrente e rivalutato solo dopo l’opera di Gianfranco grazie anche  all’avvento dell’autonomia speciale della Sardegna.

«Tuveri infatti  aveva impostato la “Questione Sarda” nel processo di unificazione nazionale ancora da realizzare dai monarchi sabaudi, che nonostante avessero ottenuto il titolo reale grazie al Regnum Sardiniae, amministravano l’Isola come una colonia.

«Nonostante fosse un cattolico e un moderato, Tuveri elaborò la teoria del dovere e il diritto dei popoli oppressi di uccidere il tiranno. Da queste scelte deriva la necessità di strutture federali.

«E’ proprio partendo dalle opere del Tuveri che Gianfranco ha allargato i suoi studi sul federalismo in Europa e in America diventando uno dei maggiori esperti nel settore (lo aveva sostenuto il prof . Martin Clark dell’università di Edimburgo alla Fondazione Sardinia presentando un libro di Alberto Contu, figlio di Gianfranco).

«Gli studi e le opere di Contu possono, ancora oggi, illuminare i governanti europei ancora gelosi dei poteri dei governi nazionali, mentre l’evoluzione economica e politica dei vari Continenti suggerisce per l’Europa la costruzione di un Stato federale: gli Stati Uniti d’Europa. Contu, infatti, ha illustrato a sufficienza la differenza sostanziale che c’è tra federalismo e confederalismo: oggi l’Unione europea altro non è che un confederalismo di governi nazionali che non rinunciano ai propri poteri sovrani. Tutto ciò dimostra l’attualità degli studi di Gianfranco, che ci fanno capire  meglio quanto avviene oggi.

«Gianfranco Contu era anche un organizzatore di cultura: ha fondato i Circoli Tuveriani e la rivista Studi Tuveriani che ha amministrato con la collaborazione del figlio Alberto (anche lui autore di numerosi libri), ha aderito alla Fondazione culturale Sardinia scrivendo nei suoi quaderni e ha raccolto, in volumi, gli atti di alcuni dei suoi convegni (su Lussu e sul Sardo-Fascismo); è inoltre stato responsabile per la Sardegna del rinato movimento di “Giustizia e Libertà”: quando si sono ricostituiti è stato responsabile per la Sardegna dei circoli di “Giustizia e Libertà”.

«Quando ha compiuto 80 anni i circoli  Tuveriani (con Alberto Contu) hanno pubblicato un “liber amicorum” in suo onore e lo hanno presentato in una manifestazione pubblica, svoltasi a Palazzo Viceregio con rappresentati della cultura (non solo sarda), del mondo della medicina,  dell’Università e delle istituzioni culturali. Il libro degli amici è intitolato “Questione sarda e dintorni”.

«La dedica recita: ”a Gianfranco Contu con gratitudine e affetto per aver coltivato i valori fondamentali della tolleranza, del rispetto e dell’onestà intellettuale, del contributo a diffondere e valorizzare i temi della Questione Sarda oggi più che mai bisognosi di profondità storica per trasformarsi in progetto e azione”. Firmato: “i figli, gli amici, gli estimatori”. Una dedica – mi pare – intrisa di valori massonici.

«Nel suo contributo al Liber Amicorum, il segretario nazionale di “Giustizia e Libertà”, Nicola Terracciano, definisce Gianfranco “un raro sardo libertario e liberalsocialista”. Oggi si direbbe Lib-Lab. Terracciano elenca una serie di personaggi che sono stati fondamentali nella Repubblica: da Parri a Bobbio, da Leo Valiani a Aldo Garosci (che lo stesso Contu ha commemorato a Firenze quando è morto), da Bruno Zevi a Emilio Lussu, etc…

«Gianfranco infatti era un lussiano, fin da giovanissimo, ed è rimasto coerente, seguendolo fino al PSI, mantenendo però la sua libertà di giudizio e il suo impegno di storico.

«Gli studi su Tuveri lo hanno portato alla storia politica della Sardegna e in particolare degli anni del primo dopoguerra quando gli ex combattenti della Brigata Sassari e degli altri reparti hanno fondato prima un movimento dei reduci e poi si sono presentati alle elezioni amministrative con la Lista “Elmetto” ottenendo un successo  inaspettato. Il che ha convinto gli ex combattenti a fondare il Partito Sardo d’Azione. Già il Movimento dei reduci aveva  auspicato che dopo l’orribile tributo di sangue, la prima guerra mondiale, l’Europa pensasse ad un’unione continentale. Il successivo PSd’Az  fu più preciso e nello statuto  (del 1921) pose come fine “gli Stati Uniti d’Europa”, cioè quel che si sta chiedendo oggi.

«L’ultima opera in volume  s’intitola “l’altra guerra di Spagna”, una raccolta di saggi, articoli, polemiche sulla guerra civile spagnola degli anni Trenta del secolo scorso. Si trattò, infatti, di una guerra “altra” che Stalin ha  condotto, per impadronirsi del governo repubblicano,  contro le forze non comuniste europee e d’America. A Barcellona ci fu una vera e propria mattanza di libertari, repubblicani, giellisti tra i quali anche molti sardi che furono fucilati: uno di questi, Dino Giacobbe (già ufficiale di artiglieria della Brigata Sassari) riuscì a scampare al massacro. Fu sottoposto ad un’inchiesta condotta dal Dottor Ercoli (Palmiro Togliatti), uno dei capi che Stalin aveva inviato in Spagna.

«Anni fa mi capitò di intervistarlo e di raccogliere la sua testimonianza che coincideva con il racconto che ha fatto Gianfranco nel suo saggio. Tra le altre cose che gli contestarono fu quella che aveva cercato protezione alla Lega dei diritti dell’Uomo, filiazione della Massoneria. Tra le sue  carte fu trovato, nascosto sotto la ricopertura di un libro, il rito di iniziazione della Loggia “Il Nuraghe” che gli antifascisti e anche qualcuno che aveva aderito al fascismo, avevano creato in Sardegna.  Ce ne aveva parlato Simonetta Giacobbe Columbu nel convegno della Fondazione Sardinia sul Sardo-Fascismo. Gianfranco Contu ha fatto una premessa alla raccolta di saggi, mentre la prefazione è dello storico Santi Fedele, molto positiva per tutta l’opera storica di Gianfranco e per la capacità mostrata nel ritrovare le prove e le fonti dei temi che tratta. Santi Fedele è Gran Maestro Aggiunto del Grande Oriente d’Italia».

 

 

 

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