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Ttip (Transatlantic Trade and Investment Partnership): il trattato che schiaccia l’Isola

Posted By cubeddu On 16 maggio 2015 @ 10:53 In Blog,Economia,Economia sarda,Europa,Politica internazionale,Politica sarda | Comments Disabled

L’UNIONE SARDA, 13.05.2015

Mentre ci sembrava così fondamentale combattere per portare all’Expo il nostro maialetto arrosto (sulla provenienza, ci sarebbe già da scrivere un libro) e i dolci tipici fatti con le mandorle che arrivano dall’estero, l’agricoltura e l’agroindustria della Sardegna rischiano di finire stritolate nelle maglie dell’accordo che pian piano si sta definendo in segreto tra Stati Uniti e Unione Europea. È il Ttip (Transatlantic Trade and Investment Partnership), un trattato di libero scambio che punta allo smantellamento delle barriere normative (ad esempio quelle sulla sicurezza degli alimenti) in materia di commercio e investimenti. Un’intesa, in cui la parte del leone naturalmente la fanno gli Usa, che agevolerà non poco le multinazionali e penalizzerà, invece, i piccoli produttori che tentano di ritagliarsi uno spazio di mercato puntando sulla bontà e magari conquistando i marchi Dop o Igp. «Le produzioni della Sardegna potranno salvarsi solo con la valorizzazione della qualità e delle garanzie di sicurezza alimentare», avvisa Alfonso Orefice, esperto di politiche agricole ed ex direttore generale dell’assessorato all’Agricoltura. Lui è tra i componenti del comitato Stop Ttip Casteddu che nell’Isola sta creando un movimento di opinione contro l’accordo e che nei giorni scorsi ha inviato una lettera al presidente della Regione. «Chiediamo al governatore Pigliaru e alla Giunta – spiega Enrico Lobina, consigliere comunale di Cagliari che ha pubblicato il documento sul suo sito – di prendere una posizione netta contro la definizione del trattato, anche attraverso l’articolo 52 dello Statuto che dà alla Regione la possibilità di intervenire quando il Governo intende stipulare accordi commerciali con Stati esteri, qualora questi accordi riguardino scambi di specifico interesse della Sardegna». Se il trattato passa, avverte Alfonso Orefice, «verrà messa ancora di più fuori mercato l’agricoltura di terre come la nostra e ci sarà campo libero per quella cultura alimentare che prescinde dai controlli e dalla bontà dei prodotti. La tendenza è quella della carne agli ormoni, degli Ogm, della massificazione delle produzioni». In realtà, l’Unione Europea ha già stabilito che non rinuncerà al cosiddetto principio di precauzione, mentre sugli Ogm c’è il diritto dei singoli Stati di vietarli. Ma è vero che nella bozza di accordo c’è una clausola, la Investor to State Dispute Settlement (Isds), che dà modo alle imprese private di far causa agli Stati davanti a una corte arbitrale (privata) per annullare provvedimenti considerati discriminatori. Gli avvocati delle potenti multinazionali, giusto per essere chiari, potranno fare la voce grossa non solo coi governi nazionali ma pure con le Regioni e i Comuni, e non ci vuole chissà quale fantasia per immaginare come potrebbe finire una simile battaglia. Manca soltanto questo, a una regione con un milione di ettari di terra incolta e che importa l’80 per cento di ciò che le famiglie mettono ogni giorno a tavola. Un’isola dove gli agricoltori che ancora resistono fanno i conti con la crisi e le difficoltà del mercato. «Resistere e difendere il valore della tipicità e della qualità dei prodotti, non c’è altro da fare per garantirsi la fiducia dei consumatori», ribadisce Alfonso Orefice. L’agricoltura della Sardegna, sottolinea, «è fortemente identitaria, rispettosa dell’ambiente. L’allevamento delle pecore da latte, per esempio, a parte alcune innovazioni legate alla mungitura e alla qualità del prodotto, è lo stesso tramandato nei secoli e tale potrebbe restare per molto tempo ancora». Biodiversità, tradizione, storia. La resistenza contro il potere delle multinazionali si fa con queste armi.

 

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